Stampa questo articolo
 
La necessaria autoriforma dei partiti
 
di Giorgio Merlo
 

La riforma dei partiti non è più prorogabile. Se non vogliamo riconsegnare l’Italia a una nuova ondata populista simile a quella del ’94, con inevitabili rischi di caduta verticale della rappresentanza e della stessa dialettica democratica, i partiti adesso devono battere un colpo. Certo, sono in profonda crisi per grandi responsabilità proprie e per il clima di criminalizzazione scatenato da una feroce campagna mediatica dei grandi organi di informazione. Anche questa evidente a tutti. E le vicende legate alla Lega oggi, a Lusi e alla Margherita ieri e all’ex An ieri l’altro confermano, però, in modo persin plateale, che la riforma dei partiti in Italia non può più essere rinviata. Una riforma che è necessaria anche perché l’alternativa democratica ai partiti continua a non esistere. O meglio, l’alternativa esiste ma sarebbe un concentrato di populismo, di autoritarismo e di cesarismo pericolosi e devastanti per chi continua a nutrire fiducia e speranza in una democrazia rappresentativa. Non a caso, è proprio la miglior cultura cattolico democratica ad insegnarci la profonda differenza che esiste tra la “democrazia dei partiti” e la “democrazia delle persone”. La prima fatta dal confronto tra soggetti collettivi; la seconda retta da una cerchia oligarchica e dispotica che può tranquillamente convivere con una democrazia di fatto “sospesa”. Ma questa riforma, però, va fatta dal Parlamento. Severino, Fornero e chicchessia pensino a governare, peraltro in modo eccellente come stanno facendo, i loro settori di competenza. Al Parlamento il compito di affrontare e risolvere i nodi politici. E la riforma dei partiti è appunto uno di questi temi. Certo, un conto è evocare la riforma, altra cosa è tradurla in un articolato legislativo. Ma, al di là delle ricette e della riforma cha sarà approvata dal Parlamento, è indubbio che attorno al futuro dei partiti si gioca la stessa credibilità della nostra democrazia. Una democrazia senza partiti non esiste. E un sistema politico che si basa esclusivamente sul ruolo decisivo e miracolistico del “salvatore della patria” è destinato a intraprendere, prima o poi, una deriva sudamericana se non autoritaria.
Certo, così non si può andare avanti. Come non si può tacere il danno dei cosiddetti “partiti padronali” o “personali” che ormai caratterizzano la stragrande maggioranza delle forze politiche italiane. È sotto gli occhi di tutti. Con i partiti personali, oltre a ridurre la democrazia a un semplice orpello ornamentale, la stessa gestione delle risorse è appaltata esclusivamente al “principale” e alla sua corte. È sufficiente farsi una domanda: quanti sono i partiti italiani che fanno certificare i propri bilanci a una società esterna? Uno solo, il PD. Quanti sono i partiti italiani che non riportano il cognome del leader nel simbolo del partito? Pochi, se non pochissimi. Due constatazioni per arrivare a una conclusione: nel nostro Paese l’affermarsi dei partiti personali, e quindi padronali, ha negato alla radice quell’impianto democratico, partecipativo e trasparente che dovrebbe sempre caratterizzare il profilo di ogni formazione politica. E questo al di là della sua connotazione, della sua origine e del suo progetto politico. Potremmo fare molti esempi che confermano questa pericolosa deriva e che spiegano, senza tante analisi sociologiche e politologiche, le ragioni di fondo di questo decadimento etico e politico dei partiti. Certo, per superare queste degenerazioni servono atti concreti e non solo declamazioni di principio dettate dall’emergenza. Atti concreti, e quindi legislativi, che sono però essenziali per garantire la democrazia, per conservare il pluralismo e per certificare la trasparenza nella gestione delle risorse.
Innanzitutto la premessa che senza partiti si archivia la democrazia. Anche quando il superamento dei partiti viene sostenuto per ragioni modernizzatrici o moralizzatrici, l’esito non può che essere sempre lo stesso: e cioè, un sistema politico affidato a singoli. Una sorta di “dittatore democratico”.
In secondo luogo i partiti hanno un ruolo decisivo ed essenziale nella società democratica se rispettano anche al loro interno e sino in fondo la prassi democratica e partecipativa. Quindi va denunciata senza intransigenza e con nettezza la deriva personalistica e oligarchica. Una deriva che, se non viene arrestata, crea inesorabilmente le degenerazioni cui abbiamo assistito in questi mesi. Quando c’è un capo o un padrone, e non solo un leader o un segretario, la democrazia è sospesa. Nella democrazia sospesa il dissenso e il confronto interni sono permessi sino a quando non mettono in discussione ciò che fa e ciò che decide il “capo”. E, su questo versante, più che di riforma dei partiti si deve parlare di autoriforma dei partiti.
Infine va ripristinata la piena trasparenza nella vita interna ai partiti, con una legge più severa e meno esposta alle furbizie. Ma soprattutto va eliminata quella discrezionalità di cui oggi godono quasi tutti i partiti.
Saranno solo i fatti a dirci se esiste la volontà politica per riformare realmente il mondo dei partiti o se prevarrà, ancora una volta, la tentazione gattopardesca. Ma adesso in discussione non c’è solo il futuro dei partiti, che sono e rimangono strumenti di impegno politico e di conservazione della democrazia nel nostro Paese. E su questo non sono ammesse furbizie o pigrizie di sorta.


Giuseppe Ladetto - 2012-04-20
E’ vero che non esiste democrazia senza partiti, ma purtroppo cresce l’onda di sfiducia e di risentimento degli italiani verso di essi. Pertanto è urgente e, come Lei scrive, necessaria l’autoriforma dei partiti. Ma in quale direzione deve andare tale riforma? Lei denuncia il danno prodotto dai partiti “personali” che caratterizzano oggi la maggior parte delle forze politiche italiane. In realtà uno slittamento verso forme più o meno marcate di leaderismo contraddistingue l’intero panorama politico dei paesi occidentali. Angelo Panebianco, sul Corriere della sera del 16 aprile 2012, scrive che l’antipolitica può essere contenuta solo se i partiti accettano di diventare altro da ciò che sono oggi: è necessario che i partiti, come avviene nelle democrazie meglio funzionanti, accettino di essere organizzazioni specializzate nella raccolta del consenso elettorale e nella fornitura di personale per cariche di governo, senza avere più la pretesa di dominare le istituzioni. In contemporanea, ciò richiede il rafforzamento dell’autonomia e dei poteri decisionali attribuiti alle istituzioni di governo. Ed aggiunge che compito dei partiti non è di essere, gramscianamente, i «principi», ma di essere più modestamente gli “sherpa”, le strutture di supporto di coloro che si sfidano sul piano elettorale allo scopo di diventare, essi sì, i principi, per quanto con mandato a termine. Se si vuole sconfiggere l’antipolitica, occorre che i partiti si rassegnino ad un ruolo assai più modesto che in passato. In pratica, secondo Panebianco, i partiti dovrebbero diventare semplici comitati elettorali come negli Stati Uniti. Ora credo sia legittimo non essere d’accordo con l’autorevole editorialista ancorché larga parte dei media auspichi, con lui, una drastica riduzione del ruolo dei partiti. La tipologia dei partiti è strettamente connessa o determinata dai sistemi elettorali. I sistemi maggioritari (a semplice o a doppio turno, o con premi di maggioranza) sono funzionali ai partiti leggeri, a schieramenti bipolari (tendenzialmente bipartitici) ove la figura del candidato diventa l’unico connotato per raccogliere voti. Inoltre, una forza politica seria deve sapere guardare lontano e proporre programmi che talora non sono ancora pienamente compresi dalla maggioranza degli elettori. Pertanto, “vincere le elezioni” per “andare al governo” non può essere il suo solo scopo, perché così facendo si limita a registrare quanto nell’immediato esige una potenziale maggioranza di elettori anche se essa esprime richieste contraddittorie e sovente irrealizzabili. Ed altrettanto accade con le tanto decantate primarie, utili più che altro per fare una sorta di marketing elettorale. Può essere talora assai più importante svolgere un ruolo di proposta e di convincimento, o di difesa di categorie deboli o di esigenze e di interessi trascurati. Oggi per dare una risposte alle molteplici crisi (economica, sociale, occupazionale, ambientale, per esaurimento delle risorse, per squilibri tra nord e sud del mondo, per processi migratori fuori controllo), tutte interconnesse, è indispensabile una sorta di rivoluzione culturale di cui solo dei partiti pesanti possono essere protagonisti. Quindi il rinnovamento deve salvaguardare i partiti pesanti (gramscianamente i partiti “principi”) perché gli unici in grado di ridefinire le priorità e la scala dei valori oggi imperanti (incentrati sul denaro e su un individualismo estremo). Se abbiamo bisogno di partiti reali capaci di realizzare progetti di lungo periodo per affrontare le molte e non passeggere crisi che ci investono, dobbiamo optare per i sistemi elettorali sostanzialmente a base proporzionale. Allora la denuncia dei partiti padronali o semplicemente del crescente leaderismo non basta se non si prende in considerazione lo stretto legame esistente fra sistemi elettorali e tipologia dei partiti. Nel partito democratico, purtroppo, sono presenti consistenti se non prevalenti posizioni (da Veltroni a Prodi e Parisi) a favore del sistema elettorale maggioritario. Nel partito democratico (e non solo in esso) molti guardano agli Stati Uniti per trarre ispirazione in materia, dimenticando che in tale paese (proprio per il sistema elettorale maggioritario e per le primarie) l’attenzione è tutta rivolta ai potenziali leader, il cui successo è in larga misura determinato dalle lobby che li finanziano, mentre la partecipazione elettorale dei cittadini è assai bassa.
giuseppe cicoria - 2012-04-17
Mi posso anche sbagliare ma a me sembra che nelle mie severe critiche, che possono essere anche non gradite, ci siano sostanziosi spunti di riflessione di come ci si dovrebbe comportare da parte dei partiti politici. Esse sono rivolte a concetti espressi e con nessun intento di "semiinsultare" chicchessia.. Se questi pensieri, dettati da vera passione politica ed orientati verso il bene comune, recano tanto disturbo all'onorevole, democraticamente mi asterrò per il futuro di leggere i suoi scritti così eviterò di formulare qualsiasi osservazione o contestazione! Cordiali saluti.
giorgio merlo - 2012-04-15
il sig. Cicoria normalmente legge i mei articoli con la lente del pregiudizio personale che lo porta, qualunque sia l'argomento, a valutazionmi di violenta contestazione, di regolare demolizione e di semi insulto. Cosa in sè legittima, ma alquanto curiosa nonchè singolare. Al sig. Cicoria chiederei, tuttavia, una cosa modestissima: accanto alla parte distruttiva - fatta, come sempre, e puntualmente, da contestazioni violente, demolizioni e semi insulti - se è possibile anche avanzare anche qualche proposta. Il che non guasta mai. Con stima. Giorgio Merlo
giuseppe cicoria - 2012-04-15
Il Tuo articolo è pieno di lodevole critica sulla gestione dei partiti ma non posso assolutamente concordare con Te quando non resisti nella Tua necessità autoassolutiva! Quando si prendono i soldi dai cittadini non si può pretendere di gestire il partito senza che nessun ci metta il naso! Le regole democratiche e di diritto esistono e non bisogna creare nessun ostacolo per aggirarle. Nell'attuale società esistono due gravi lacune o "piaghe": chi comanda (politici, amministratori delegati, ecc.) decide la sua remunerazione e si assegna il diritto di controllo! Le Società di revisione sono sempre state delle "foglie di fico" per nascondere le malefatte: i revisori sono sempre pagati o nominati dai committenti. Quindi, non deludono MAI chi li appalta. Il rispetto per i politici e per i partiti potrà essere parzialmente recuperato quando il Parlamento rinuncerà al suo "diritto democratico" di autofissarsi i suoi emolumenti. Si deve assolutamente smettere di pretendere soldi "a gogò", altrimenti si RUBA. Chi ruba deve andare in GALERA anche se onorevole. Chi ruba, d'altronde, perde eticamente il diritto di chiamarsi onorevole!
franco maletti - 2012-04-11
Comincerò a credere che il Partito Democratico sia diverso e più avanti degli altri nel processo di autoregolamentazione quando lo vedrò intervenire nei confronti di quelle democrazie mafiose che si sono instaurate a livello di Circolo e che soffocano sul nascere ogni dibattito e ogni critica costruttiva. Il falso consenso che viene costruito intorno ad una persona, fino ad imporla alla cittadinanza a prescindere dalle sue doti morali, fanno in molti casi un danno al PD stesso e alla immagine che vuole dare di sè. La subdemocrazia esistente nei partiti è quella che oggi arreca il maggior danno alla politica nel suo insieme. Tacciare di populismo chi denuncia queste cose significa respingere qualunque volontà di cambiamento.