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L’italianissimo Bossi
 
di Alessandro Risso
 

Non ci saremmo mai aspettati di vedere in Umberto Bossi la riproposizione di Alberto Sordi, con la sua capacità di assumere le sembianze – e i difetti – dell’italiano medio.
I miti celtici, la Padania come “terra promessa”, la secessione, il federalismo, l’operosità e l’onestà padana da contrapporre a “Roma ladrona”, il movimento anti casta e anti burocrazia, fiero baluardo contro le infiltrazioni mafiose provenienti dal Sud: tutto questo faceva della Lega Nord un partito “diverso”. Almeno in teoria. La realtà, a ben vedere, comprende l’omertosa copertura data negli anni agli affari di Berlusconi, cui si sono aggiunte ripetute vicende di ordinaria concussione alla Regione Lombardia, che coinvolgono esponenti di primo piano del Carroccio, anche in combutta con la ‘ndrangheta. Eppure la Lega è riuscita ancora fino all’ultimo a conservare un’aura di verginità, così come il grande capo Bossi, pur condannato nel 1994 per aver ricevuto una tangente di 200 milioni dall’Enimont.
Da qualche giorno il velo della propaganda è miseramente caduto, mettendo a nudo un piccolo mondo di latrocinio e malcostume, politico e famigliare. Che rende Bossi e il suo entourage tanto simili ai personaggi delle commedie dell’Albertone nazionale.
Non solo per la celebre foto dei maccheroni di cui lo rimpinza la Polverini, che fa il paio con la cofana di spaghetti di “un americano a Roma”. Ma per quel motto che Leo Longanesi aveva individuato come carattere dominante degli italiani e proposto di inserire nel tricolore repubblicano al posto dello stemma sabaudo: “Tengo famiglia”.
L’intuizione del sagace intellettuale italiano era poi stata autorevolmente confermata da un accademico americano, Edward Banfield. Il sociologo, dopo aver vissuto alcuni mesi in un paesino della Basilicata alla metà degli anni ’50, pensò di aver individuato la caratteristica fondamentale del carattere italiano in quello che definì “familismo amorale”. Nel suo libro Le basi morali di una società arretrata spiegò questo concetto come volontà di “massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo”. A leggere le cronache, pare proprio un abbinamento azzeccato quello tra il Senatùr e il “familismo amorale”. Certo, Bossi ha allargato la famiglia nucleare al giro agli amici di cui si fida, alla “badante” Rosi Mauro, al compagnone Calderoli, ai giovani devoti Cota, Bricolo e Reguzzoni, al fido tesoriere Belsito. Una famiglia allargata, come avveniva nelle cascine della pianura padana e come avviene nel Sud, dove “la famiglia” passa da “cerchio di affetti” a “cerchio di affari”. Magico o no, anche il “cerchio” di Bossi divideva potere e quattrini.
Oltre al disinvolto e illegale utilizzo di denaro pubblico, lo squarcio sulla famiglia Bossi ha messo in luce un altro carattere profondo della provincia italiana: la bramosia di ottenere il diploma di laurea. Questo desiderio non va confuso con l’amore per la cultura e la passione per lo studio. Anzi, di questi è meglio diffidare. Tanto, per fare politica non bisogna dimostrarsi colti, usare l’intelligenza dei ragionamenti. E' sufficiente mettersi in sintonia con il popolo che si vuole rappresentare, interpretandone gli istinti. Per la politica di pancia bastano e avanzano pernacchie e diti medi alzati. Tempo perso leggere Bobbio e Montesquieu. Ma il pezzo di carta ci vuole, fa status symbol, dà il giusto tono anche a una carriera facilitata, inorgoglisce i genitori. Uno straccio di laurea bisogna esibirla, anche a costo di strapagarla in qualche riservato diplomificio estero. Quella laurea che l’Umberto millantava (alla prima moglie aveva fatto credere di essere un medico) era rimasta nei suoi sogni per i figli. Come un qualunque padre piccolo borghese (non ricordate ancora l’ineguagliabile Sordi?).
Ecco dunque un'ennesima riprova che fa di Bossi un campione dell’italiano più stereotipato. Egoista, con scarsissimo senso delle istituzioni e di uno Stato utile solo come vacca da mungere, insofferente alle regole ma che pretende rispettate dagli altri, fustigatore di sprechi e ruberie ma pronto ad arraffare quando si presenta l’occasione, sostenitore della meritocrazia ma non se c’è da sistemare il figlio un po’ tonto e sfaticato.
Insomma, possiamo vedere in Umberto Bossi una perfetta maschera della commedia italiana, non tanto diverso da uno Scilipoti qualsiasi.
Dopo tutto, entrambi hanno sostenuto fino all’ultimo Berlusconi nello stesso governo.


Luchino Antrnella - 2012-04-16
Buongiorno,tutti sapevano chi era Bossi ma qualcuno adesso si rende conto di come ha distrutto l'Italia? (anche con il concorso dei suoi ex alleati). Sorrido quando ultimamente sento le dichiarazioni dei nostri politici (di tutti gli schieramenti); ma dove vivevano, sulla luna, su Marte? Si stupiscono perche' gli italiani odiano i partiti; noi cittadini veniamo spremuti come limoni e i nostri politici in questo momento che esempio ci danno? Continuano a discutere, a dialogare, a concertare, e alla fine finira' tutto a tarallucci e vini e noi continueremo a pagare (alla Toto': e io pago.....). Il premier Monti chieda pure sacrifici, ma li chieda a tutti!!!! Cordiali saluti.
giuseppe cicoria - 2012-04-15
Tutti coloro che riescono a conservare uno straccio di autonomia mentale sapevano chi era Bossi: un moderno Masaniello che, dopo aver fatto tanti danni, sarebbe stato,prima o poi, smascherato per le consuete italiche miserie umane che anche lui possedeva! Non posso che essere contento che ormai la commedia sia finita ma non posso non esprimere il mio dolore per il male fatto a tanti illusi italiani che credono in questi "El Cid Campeador"! Sappiamo che i partiti sono ormai odiati dagli italiani per la gestione pessima del Paese e per l'arroganza dei loro dirigenti nell'impossessarsi, senza controllo e senza pericolo, delle risorse dei cittadini ma la prima cosa da eliminare è il "leaderismo". I padroni dei partiti depredano "legalmente" il Paese ma poi come si vede, in presenza di tanto ben di Dio, sperperano, lasciano sperperare e talvolta si ritagliano sostanziose risorse per "l'alto contributo da essi dato alla democrazia"! Attualmente abbiamo un'uomo simbolo:Monti. Anche LUI si sta perdendo e rischia di fare danni definitivi all'Italia se non smette di credere che nella concertazione ci sia il bandolo delle matassa. Giacchè si parla impropriamente di situazione di sospensione della democrazia, Egli faccia quello che serve e non quello che chiedono i vari Berlusconi, Casini, Bersani o la Camusso! Se non lo fa: ciao ninetta.....!!
Valeria Astegiano - 2012-04-13
Il "familismo amorale" alberga in tutti i partiti, a tutti i livelli, fino al piccolo comune. Lusi è così diverso???? Gli altri partiti sono così diversi???? Tutti avrebbero delle belle storie da raccontare. Si può cominciare....
Isabella Calastri - 2012-04-12
Bell'articolo. Vorrei anche però un'analisi sul pari comportamento di Lusi e dei vertici della Margherita, soprattutto in tema di dimissioni.
franco maletti - 2012-04-12
Beppe Mila, fino a quando non riusciremo a distinguere tra il Paese degli Onesti e il Paese dei Furbi, saremo condannati a rimanere sempre allo stesso livello! Come "arrampicatore sui vetri" conosco i miei limiti da circa venti anni, consapevole che la vera libertà si conquista soltanto con il duro lavoro della cultura. Comunque preferisco essere definito un arrampicatore sui vetri piuttosto che un arrampicatore sociale.
Roberto Giardino - 2012-04-11
Mah... l'unica cosa che mi viene da pensare è che caduta la Lega, è caduto l'ultimo baluardo verso la discesa in campo di Montezemolo. E passeremmo dalla padella alla brace, ancora alla ricerca di un salvatore della Patria (l'ennesimo, dopo Berlusconi), ma sempre incapaci di trovare la strada che porti alla politica come sana partecipazione civile e non insana appartenenza a una Casta!
Beppe Mila - 2012-04-11
Franco Maletti, che c'azzecca questa arrampicata sui vetri relativa agli esodati , con un articolo così complesso e diverso come questo sulla Lega e Bossi?
Lino busceti - 2012-04-11
Non ci sono parole per dare un contributo. Se penso ai 3 milioni di pensionati che vivono sotto la soglia della povertà a a quei 7 milioni che non riescono ad arrivare alla 4 settimana, e se continuo a pensare a tutti i miliardi che i partiti percepiscono per la loro sopravvivenza si fa per dire, o per il loro spreco. Mi chiedo se noi del PD abbiamo delle responsabilta e se abbiamo fatto il possibile per eliminare questa ingiustizia? O finiamo anche noi nel calderone dei finanziati.
Franco Maletti - 2012-04-11
Attenzione però a non considerarci tutti così diversi da poterci ridere su. Anche noi popolari. Mi spiego meglio: in un mio recente articolo avente per oggetto gli esodati, (forse per la scarsa chiarezza dovuta a limiti di spazio) ha ricevuto delle critiche ingenerose. Tali da mettere in discussione (da parte di qualcuno) la mia fede popolare. Eppure mi sembrava e mi sembra molto chiaro: quando migliaia di persone, nell'imminenza di una modifica del sistema pensionistico, pur non avendo ancora maturato il diritto alla pensione decidono di dimettersi per mettere il governo di fronte al fatto compiuto (basandosi erroneamente sulla convinzione che "vedremo se il governo avrà il coraggio di negarmi la pensione adesso che sono disoccupato...") commettono quelle furbizie assimilabili a quelle degli evasori delle quote latte. Si confida cioè sempre su un "santo protettore" che alla fine interviene e fa diventare "legittimo" quello che non lo è. Alla faccia di tutti gli altri che si comportano onestamente. E allora, per tornare al mio articolo, chiarisco che non me la prendo tanto con chi in certe situazioni ci si è trovato suo malgrado, ma con chi scientemente ha deciso di "fare il furbo". Magari convinto anche da qualche sindacalista in malafede. Concludo invitando a riflettere sul fatto che a volte un eccesso di pietà significa tollerare una palese ingiustizia. E questo sì, non sarebbe da "popolari".
poma - 2012-04-11
Sono perfettamente d'accordo con te.
Beppe Mila - 2012-04-11
Eh già, proprio così. L'ultima frase racchiude tutto e spiega perchè siamo a questo (brutto) punto. Il problema vero è che in troppi si dimenticano due cose: la prima è che per un ventennio bene o male Berlusconi ha dettato l'agenda in Italia e la seconda, più grave, che tutti tendono a dimenticare i molti, troppi , che lo hanno sostenuto.