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Il proporzionale quasi naturale
 
di Giorgio Merlo
 

C’è da restare sorpresi di fronte alla polemica sulla bozza di accordo raggiunta tra PD, PDL e Terzo polo per la futura legge elettorale. Sorpresi perché dopo il fallimento del centrodestra berlusconiano, la stagione del cosiddetto “governo tecnico” e il superamento, di fatto, dello stesso blocco progressista, è persino naturale che all’orizzonte si stagli un profilo proporzionale per il sistema politico italiano. E questo non perché qualcuno è nostalgico dell’eterno ritorno al passato, ma per il semplice motivo che si è chiusa definitivamente una fase della storia politica italiana e se ne è aperta un’altra, seppur ancora carica di incognite e di punti interrogativi. A cominciare proprio dal sistema delle alleanze e dalla presenza di nuovi partiti sullo scacchiere politico nazionale.
Ecco perché, quindi, un sistema neo proporzionale appare più funzionale e più attrezzato a gestire e governare questa nuova fase politica. Sempre che la riforma decolli e arrivi al suo compimento nel dibattito parlamentare, sarebbe puerile pensare che un partito – soprattutto se di governo come il PD – affronti una lunga campagna elettorale all’insegna della confusione e dell’incertezza. È appena sufficiente ricordare la lunga stagione politica della “prima Repubblica” per arrivare alla conclusione che anche in un’epoca iper proporzionale è possibile conoscere anticipatamente le coalizioni che i singoli partiti mettono in campo. E non è difficile sottolineare che anche in quell’epoca la governabilità era garantita – seppur con crisi frequenti dovute alle specificità politiche dell’epoca – non meno rispetto alla stagione del maggioritario. Del resto, come è possibile riproporre, oggi, quella sorta di “bipolarismo selvaggio” e di permanente confronto muscolare di fronte allo sfarinamento delle coalizioni imperniate prevalentemente sulla delegittimazione dell’avversario? Chiusa la lunga parabola berlusconiana e la violenta polemica che l’ha accompagnata per ben 17 anni, sarebbe curioso se, da domani in poi, le lancette della politica italiana fossero riportate indietro per riproporre un modello di fatto già superato dalla storia.
Certo, poi tocca ai partiti, e in special modo al PD, costruire una coalizione e un programma di governo che sappia convincere i cittadini sulla bontà di questo progetto e di questa nuova impostazione. E questo perché la discriminante di fondo sarà rappresentata proprio dal profilo di governo della futura coalizione. O forse qualcuno pensa ancora nella cosiddetta area progressista che sia possibile dar vita ad una nuova stagione di governo in compagnia dei Diliberto, dei Ferrero e dei Di Pietro? Se così fosse, avremmo semplicemente la certezza che il centrosinistra si prepara a una stagione di opposizione o, nella migliore dei casi, ad una brevissima parentesi di governo destinata a infrangersi contro gli scogli alla prima difficoltà.
In secondo luogo, si definisce un sistema elettorale che restituisce ai cittadini la possibilità di scegliersi i propri rappresentanti. Principio sacrosanto. Salvo registrare che i principali detrattori di questo ipotetico nuovo impianto resta chi sostiene che ogni ipotesi abbozzata è sempre inferiore rispetto alle aspettative della cosiddetta pubblica opinione. Molti però cominciano a sospettare che il vero obiettivo dei “benaltristi” sia semplicemente quello di mantenere l’odiato “porcellum”. E questo per due obiettivi: costringere i partiti alle alleanze forzose e raccogliticce da un lato e, dall’altro, garantire ai segretari nazionali di formare le liste attraverso la nomina dei parlamentari. Un vecchio trucco ormai troppo noto. Ma, se l’ipotesi di accordo si impone, anche su questo versante si chiuderà la stagione della nomina dei parlamentari e la scelta sarà affidata ai cittadini elettori.
In ultimo, la stagione delle riforme non può naufragare. Certo, la riforma elettorale ha un senso compiuto se è accompagnata e preceduta da quelle istituzionali. Ma, sia detto per inciso, se le cosiddette condizioni politiche dovessero intralciare la revisione dell’impianto istituzionale del nostro Paese, la riforma elettorale non può attendere. E su questo versante non c’è “condizione” che possa rallentare o intralciare il percorso. Al di là di tutti coloro che si ispirano al tradizionale gattopardismo – e cioè che tutto cambi affinché nulla cambi – è compito adesso dei tre partiti che appoggiano il Governo Monti procedere con cautela ma con determinazione e coerenza. È in gioco il futuro istituzionale del nostro Paese, ma anche e soprattutto la credibilità e l’autorevolezza dei partiti. E questa volta non si può più fallire.


Leonello Mosole - 2012-04-03
Caro Giorgio, non ho mai amato il maggioritario, quindi posso ben condivdere che sia quasi "naturale" un ritorno al proporzionale. Quello non mi sembra proprio naturale è di non sapere prima quali saranno i miei compagni di viaggio. Penso anch'io che non sia "possibile dar vita ad una nuova stagione di governo in compagnia dei Diliberto, dei Ferrero e dei Di Pietro". Ma chi mi garantisce che questo non sia possibile dopo il voto? SOLO UNA COALIZIONE DICHIARATA PRIMA DEL VOTO. Io voglio sapere prima quale sarà la coalizione e chi la comanderà. Basta con questa storia che le coalizioni si sono fatte "contro"! E se il Nano di Arcore fosse mai ancora a capo di una coalizione io voterei per l'altra. Ti stupisce? Credo che non si sia fatto abbastanza per toglierlo di mezzo prima e qualcuno nel centrosinistra dovrebbe vergognarsi per avergli permesso di fare tutti questi danni, soprattutto non economici. A meno che questa nuova legge elettorale non significhi che il premier sarà Monti e la coalizione più o meno questa .... Ciao, e forza Toro!