La manifestazione di oggi in valle di Susa sarà probabilmente molto partecipata e riproporrà una opposizione diffusa nei confronti della realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino – Lione. Auspico che tutto avvenga senza incidenti, e che le frange violente che fino ad oggi hanno di fatto assunto la guida del movimento siano isolate e messe in condizione di non nuocere. La convocazione della manifestazione lontana dal cantiere costituisce comunque un fatto positivo, anche se non può nascondere gravi elementi critici che la caratterizzano. La prima cosa che mi interessa rilevare è quella relativa alle modalità di convocazione. Comunità Montana ed Amministrazioni comunali hanno scelto di affiancare i “movimenti No Tav” nella promozione della marcia, confondendo rappresentanze istituzionali e movimentismo indistinto, senza preoccuparsi della presenza nei movimenti di componenti che hanno messo in conto l’utilizzo di metodi violenti e la sperimentazione di tecniche insurrezionali di tipo paramilitare. Una confusione grave, soprattutto alla luce dei fatti inoppugnabili contestati recentemente dalla procura della Repubblica di Torino e confermati dal tribunale del riesame. Equiparare la libertà di dissenso con le reiterate azioni violente oggetto di precise iniziative della magistratura distorce in modo inaccettabile i fatti e rischia di scivolare nella complicità. Mi sarei aspettato non solo una separazione delle responsabilità nell’organizzazione della manifestazione, ma anche una sorta di “premessa etica” che condannasse la criminalizzazione dell'operato della magistratura e le intimidazioni nei confronti del giudice Caselli, e riconoscesse l’operato delle forze che hanno il compito di tutelare la convivenza comune. Ci sono parole che, quando non vengono pronunciate, proiettano una sensazione di doppiezza e di strumentalità francamente inaccettabili. Tanto più in un momento in cui qualcuno è tentato di sfruttare il disagio sociale per riproporre strategie di violenza e di eversione. Le preoccupazioni manifestate dalle forze dell’ordine sono gravi e vanno adeguatamente valutate.
Anche le “parole d’ordine” della manifestazione meritano una riflessione. Si mescolano questioni tra di loro molto differenti: un trasporto pubblico locale adeguato, la difesa della scuola e degli ospedali, una riorganizzazione dei poteri locali che salvaguardi il ruolo democratico dei comuni sono obiettivi importanti e condivisibili. In Parlamento e in Consiglio regionale il PD si batte con determinazione su questi temi, con una grande ed aperta iniziativa politica e con una costante capacità di proposta di merito. E certamente la Valle di Susa merita un supplemento di iniziativa su questi temi. Ma proprio l’ossessiva concentrazione dell’attenzione di una parte degli amministratori locali sulla TAV e l’esclusione dal dibattito locale di ogni altro tema rende impossibile riprendere in modo condiviso le questioni dello sviluppo della Valle, della tutela dei servizi per i suoi abitanti. Dietro la retorica e la mobilitazione emotiva c’è un’incapacità di analisi dei problemi veri della Valle di Susa e il rifiuto di confrontare le diverse strade per la loro soluzione, compresa una valutazione non preconcetta delle ricadute delle grandi opere sullo sviluppo del territorio. Che accettino questa semplificazione i professionisti della protesta e semplici cittadini in buona fede può capitare, che lo facciano amministratori che hanno scelto di rappresentare le loro comunità in una logica di interesse generale è un fatto che considero grave. La questione, come appare evidente, non è soltanto riconducibile alla legittimità del dissenso, che abbiamo sempre garantito, ma al ruolo politico che il PD intende svolgere nella concreta realtà della Valle di Susa. Un ruolo politico che congiuntamente le segreterie regionale e provinciale di Torino avevano riassunto in cinque punti impegnativi, proposti ai circoli ed agli amministratori.
Si tratta di punti a cui i comportamenti di questi mesi hanno dato inequivocabilmente una risposta negativa. Il punto centrale del ragionamento invitava, pur prendendo atto delle posizioni contrarie alla TAV, ad accettare il confronto nel merito ed a discutere delle ricadute concrete della nuova opera. Questa impostazione comportava una separazione dell’azione degli amministratori da quella del movimento, non solo nel giudizio sui metodi e sulla violenza, ma anche nella strategia di fondo: da una insensata e velleitaria lotta all’opera, alla discussione nel merito della stessa. Le modalità di convocazione e il “messaggio” della manifestazione di sabato rendono evidente che questo obiettivo non è stato raggiunto. Ancora una volta non ci si limita a contestare l’opera, giudicandola inutile e costosa, ma non si riconosce la legittimità delle decisioni prese a tutti i livelli politico-istituzionali e delle procedure per l’attuazione delle stesse. Bisogna ricordare che tutti i ricorsi al TAR contro il cantiere sono stati respinti. Pertanto definire la TAV “illegittima” significa voler fondare le proprie convinzioni ed azioni su una “fonte del diritto” fantomatica, che sta al di fuori delle istituzioni della Repubblica.
Bisogna anche che ci interroghiamo sul fatto che stiamo assistendo ad una “mutazione genetica” del movimento No TAV, che non riguarda più solamente l’opposizione a una grande infrastruttura, ma mette insieme la contestazione alla politica con il rifiuto dell’idea riformista dello sviluppo, raccoglie indignati di ogni specie insieme a reduci delle lotte extraparlamentari ed alle varie sigle della galassia anarchica e insurrezionale, dando vita ad un fenomeno che presenta connotazioni reazionarie nei contenuti e sovversive nei metodi.
Ora al PD si pone una questione delicata. Ci sono linee diverse, che non trovano una composizione neppure nella costruzione di una prassi condivisa e in un percorso di discussione. Non ho mai pensato che le questioni politiche si risolvono con provvedimenti disciplinari. Tuttavia vedo che è in discussione la stessa capacità di una comunità politica di riconoscersi reciprocamente, di parlarsi, di lavorare intorno a percorsi comuni. Occorre prenderne atto.
Per questo vorrei precisare meglio il pensiero che ho espresso in replica all’ultima direzione regionale, parlando in modo improvvisato su un argomento che non era all’ordine del giorno. Il PD sta iniziando il suo nuovo anno sociale. Domani, in una manifestazione pubblica, apre la campagna del tesseramento per il 2012 in Provincia di Torino. Penso che il rinnovo dell’iscrizione degli amministratori della Valle di Susa non possa essere automatica, ma debba essere decisa con voto della Direzione provinciale del Partito, alla luce del dibattito che si è svolto fino ad oggi. Per una chiarezza e una lealtà reciproca che non può più essere rinviata. |