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Le false indignazioni
 
di Franco Maletti
 

Credo che dopo vent’anni di berlusconismo, durante i quali Lui medesimo ci ha insegnato che qualunque atto è lecito se questo porta a vantaggi personali e che le regole devono essere accantonate se sono di ostacolo (compreso quelle della Costituzione Italiana), nessuno di quelli che hanno vissuto in questo periodo, potendolo fare, non sia stato almeno in parte tentato dall’approfittarne. È quindi facile per la destra più reazionaria sostenere che “tutti”, in fondo, siamo uguali a Lui.
Ad esempio, che l’Italia sia una Repubblica ampiamente fondata sulla “raccomandazione” non è mai stato un mistero per nessuno di noi. Ed è difficile stabilire quanti di noi, di fronte all’opportunità di ottenere così un buon lavoro, saprebbero dire di no.
Quando la Fornero o qualunque altro dei “professori” pongono l’accento sulle anomalie italiane, ecco che l’indignazione attraversa tutto il Paese. E nessun gruppo o ceto sociale è in grado di sottrarsi: chi fa politica e chi antipolitica, chi lavora e chi è disoccupato, chi è giovane e chi è anziano. In tutti scatta uno spirito conservativo che si oppone a qualunque ipotesi di cambiamento. Ogni occasione è buona per “fare le pulci”, per ironizzare sull’aggettivo usato, sulla frase, su una parte del ragionamento. È da almeno vent’anni che si sapeva che i processi di globalizzazione avrebbero portato all’eliminazione dei posti di lavoro garantiti per tutta la vita. E che per ciascun lavoratore ci sarebbe stata una alternanza tra periodi di lavoro e periodi di non lavoro, durante i quali avrebbe dovuto ri-specializzarsi se non voleva perdere il suo potenziale produttivo. Ma i sindacati hanno taciuto, preoccupandosi di chi pagava la tessera perché aveva un lavoro garantito, e dei “business” categoriali dei Fondi Pensione alternativi.
Ai nostri figli con titolo di studio superiore, per anni abbiamo detto di non accettare lavori umili o inadeguati: piuttosto li avremmo mantenuti noi. Con il risultato che gli stranieri sono venuti in Italia a fare quei lavori da noi rifiutati e oggi cominciano a stare economicamente meglio, divenendo in molti casi titolari di piccole imprese artigianali, che vanno dalle pulizie ai lavori nell’edilizia, dai trasporti all’assistenza agli anziani.
Nessuno poi riflette sul fatto che oggi essere proprietari dell’alloggio in cui si vive è come avere un’ancora incagliata sul fondo. Com’è possibile accettare un lavoro lontano dal luogo in cui si abita? Bisognerebbe lasciare l’alloggio vuoto per trovarne uno ammobiliato da affittare, a costi difficilmente sostenibili con uno stipendio “normale”. Occorrerebbe allora organizzare come minimo una rete immobiliare di interscambio, ma non ci pensa nessuno.
C’è poi tra i giovani (e non soltanto loro) la questione delle relazioni affettive. Se una persona lavora da una parte e l’altra chissà dove, come è possibile mettere su famiglia? E chi la famiglia ce l’ha già e magari ha anche dei figli? Dovendo obbligatoriamente lavorare in due bisogna per forza abitare vicino ai nonni.
Invece di indignarsi, c’è qualcuno che prova a trovare una soluzione a questi problemi? Una potrebbe essere di garantire un sussidio in caso di disoccupazione. Un’altra quella di istituire un servizio rapido di individuazione di posti di lavoro disponibili da offrire ai disoccupati. Riducendo, di fronte ad ogni rifiuto immotivato, il sussidio di disoccupazione stesso.
I fondi potrebbero essere reperiti facendo pagare ai datori di lavoro un’aliquota supplementare per i lavori precari. D’altronde chi, in deroga ai contratti nazionali, utilizza per i suoi interessi aziendali forme di lavoro atipico è giusto che paghi di più per questo lusso.
Invece tutto oggi sembra concentrarsi sull’articolo 18. Ma quanti sono coloro che lo conoscono veramente nella sua applicazione effettiva? Oggi chi viene licenziato, a ragione o a torto, sa che in quell’azienda non è più gradito. E allora chi è che si ostina perché venga riassunto? Il lavoratore, che deve starsene almeno per un anno a casa in attesa della sentenza, e sa che, se tutto va bene, avrà il risarcimento di alcune mensilità? L’avvocato che deve partecipare a un interminabile numero di udienze per arrivare a una sentenza negli ultimi tempi sempre più a rischio di soccombenza? Oppure soltanto il sindacato che spinge il lavoratore ad “andare avanti” per una questione di “principio”? Salvo poi lasciarlo da solo se la sentenza è soccombente?
Il governo Monti è sulla strada giusta. Indigniamoci di meno e collaboriamo di più e con maggior spirito costruttivo. Non è Monti il “nemico degli italiani”. Lo sono stati altri.


Andrea Griseri - 2012-02-13
Chi fa dell'ideologia fine a se stessa non sono i difensori ma i detrattori dell'art. 18: è un simbolo da abbattere e con esso un'intera civiltà giuslavoristica che si fonda sulla tutela del contraente debole. Certo si può ampliare il campo della cosiddetta giusta causa per consentire alle aziende di licenziare i lavoratori davvero inadeguati: ma una tutela contro le discriminazioni (non solo quelle sindacali come stoltamente ha detto il viceministro) è indispensabile. Lo sa bene chiunque conosca sia pure superficialmente la realtà delle nostre aziende private. Mettere a repentaglio un'intera generazione di lavoratori anziani ma non troppo da poter sperare nella pensione avrebbe effetti economicamente devastanti (per non menzioanre l'amoralità di simili misure): i consumi ripartono se c'è fiducia e se c'è denaro. I liberisti dimenticano strumentalmente questa semplice verità. Perchè l'abolizione di ogni tutela offre la ghiotta occasione di liberarsi di lavoratori non inadeguati ma forse un poco più costosi di un giovane di primo pelo. E puntare sui giovani non significa offrire loro il lavoro dei padri!
giuseppecicoria - 2012-02-10
Di oggi è la notizia che un dipendente è stato licenziato perchè mentre era in malattia partecipava ad una manifestazione di protesta . Il giudice lo ha reintegrato al lavoro perchè il tipo di malattia dichiarato non gli impediva la partecipazione alla manifestazione, a cui aderivano i cosiddetti "centri sociali"! Mi sembra siano queste le cose che fanno male all'art. 18. Mettetevi ora nei panni del datore di lavoro che è costretto a tenersi questo signore nella sua azienda! Poi torniamo al tavolo della discussione: si vedrà che ci sono delle cose che vanno cambiate e si deve smettere di difendere gli sbuccioni e furbi che danneggiano i lavoratori onesti e per bene e che fanno tanto male alla nostra economia!
Luchino Antonella - 2012-02-09
Buongiorno, mi permetta una domanda: se il lavoratore licenziato non viene più reintegrato nella stessa azienda, per continuare a vivere e mantenere magari una famiglia anche con figli ancora minorenni, dove reperisce le risorse per tirare avanti? E' facile fare certi discorsi quando si ha un tetto sulla testa e la pancia piena! Soprattutto sentire certe esternalizzazioni fatte da Ministre, a cui va tutto il mio rispetto, ma cui con molta umilta' mi sento di consigliare che prima di aprire la bocca dovrebbero attivare il cervello! Conosco giovani che sarebbero disposti a svolgere qualsiasi tipo di lavoro ma che purtroppo non riescono a trovare una occupazione perché non sono figli di papà. A questo punto l'articolo 1 della nostra Carta Costituzionale dorebbe riportare che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro "PRECARIO". Come mai alcuni dei figli dei nostri attuali componenti del Governo in carica non hanno un contratto di lavoro precario ma bensì a tempo indeterminato? Se siamo arrivati ad avere una situazione come quella in cui viviamo oggi è perché ci sono stati politici che hanno pensato solamente al loro tornaconto e a difendere gli interessi delle loro lobby. Continuo a rinnovare l'iscrizione all'Associazione I Popolari del Piemonte perché Presidente é il dottor Guido Bodrato, che appartiene a quella classe politica di un tempo che fu, un politico vero di tutto rispetto. La ringrazio anticipatamente dell'attenzione e cordialmente la saluto.