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Pensioni, un tema scomodo
 
di Franco Maletti
 

Il mio recente articolo avente per titolo “Pensioni e Giustizia” (più sotto in elenco) non ha sollevato il dibattito che mi sarei aspettato. Così come solitamente capita quando si affrontano argomenti scomodi e le osservazioni che vengono fatte finiscono per toccare propri personali interessi.
Una persona più coraggiosa delle altre mi ha posto una serie di domande che, presumo, siano le stesse di coloro che non hanno gradito il contenuto dell’articolo. Le riassumo.
Come mai nessuno parla dei “diritti acquisiti” dai lavoratori e che, come tali, dovrebbero essere intoccabili?
Perché ci hanno cambiato le regole sulla pensione di anzianità sotto il naso?
Perché i diritti acquisiti rimangono tali soltanto per la cosiddetta “casta politica”?
Possibile che i sacrifici vengano chiesti solo e sempre alle medesime fasce sociali?
Per concludere: “Mi viene da pensare che, un giorno o l’altro, a noi degli anni ‘50 imputeranno la colpa di vivere!”
Augurandomi che si apra un più ampio dibattito su questo sito, comincio a rispondere.
I “diritti acquisiti” . Teoricamente non potrebbero essere toccati. Ma in realtà anche i Sindacati se ne sono resi complici mettendoli in discussione, già dai tempi della abolizione della famosa scala mobile: la presunzione era che così i lavoratori sarebbero stati maggiormente fidelizzati al sindacato perché costretti, di volta in volta, a coalizzarsi nella rivendicazione degli aumenti salariali altrimenti non più ottenibili per automatismo. Così oggi, per effetto della crisi, tutto è degenerato. Non ci sono più certezze. Gli stessi diritti vengono messi in discussione da una politica (quella di Berlusconi) tendente a non riconoscere la validità delle Leggi. Fino a spingersi a mettere in discussione la stessa Costituzione Italiana.
Pensione e cambio delle regole. Il meccanismo pensionistico funziona come una specie di “catena di sant’Antonio”: nel senso che il diritto alla pensione è garantito dal versamento dei contributi da parte di chi lavora. Se il numero di quelli che versano i contributi diminuisce, la Cassa non ha i soldi per pagare. Se l’importo dei contributi non aumenta perché, complici i Sindacati, si preferisce in alternativa aumentare il business dei Fondi Pensione (per chi si può permettere di aderirvi), ecco che allora l’Inps non è in grado di garantire la pensione a tutti (e per un tempo molto più lungo rispetto al passato) perché (grazie a Dio) la vita si è allungata per tutti noi. Oggi avere il posto di lavoro garantito e a tempo indeterminato è un privilegio: un minimo di solidarietà nei confronti di chi questo privilegio non ha e non ha mai avuto mi sembra doveroso.
La “casta”. Anche se i diretti interessati ovviamente lo tacciono, vorrei far presente che in Italia non esiste soltanto la casta dei politici, ma anche quella dei lavoratori: sono quei lavoratori dipendenti di Enti e di grandi Aziende che, col passare del tempo, hanno accumulato diritti ipertrofici ai quali per nulla al mondo vogliono rinunciare. Sono quei lavoratori, gelosamente protetti dal Sindacato perché da questi “mantenuti” attraverso il pagamento della tessera, che intendono il termine “solidarietà” come un valore soltanto se, nel cambio, loro non ci rimettono mai, ma anzi ci guadagnano. Si tratta di una casta di inamovibili, per i quali il posto di lavoro continua (tramite interminabili periodi di Cassa Integrazione) anche quando la loro Azienda è fuori mercato oppure non esiste più. Si tratta, (diciamolo), di un “parassitismo” ai danni della intera società in un mondo del lavoro dove oggi la maggior parte dei lavoratori questi privilegi se li sogna…
I sacrifici. Per una valutazione del “giusto sacrificio” di ciascuno, bisogna prima fare alcune considerazioni. Con la caduta del Muro di Berlino e con l’ampliamento della Comunità Europea, l’Italia non può essere (figuriamoci la “padania”) una specie di villaggio di Asterix, dentro il recinto del quale ognuno può sentirsi sicuro e protetto. Con la mondializzazione dei mercati ci sono le interdipendenze: una volta noi stavamo bene (ammettiamolo) grazie al fatto che, in altre parti del Mondo, qualcuno faceva letteralmente la fame per garantire il nostro livello di benessere. Rassegniamoci: anche se non ce lo dicono, quel “benessere” non ci sarà mai più. E dovremo imparare ad accontentarci di un livello di vita inferiore, ma via via adeguato a quello di tutti gli altri esseri umani della Terra.
A noi degli anni ’50 imputeranno anche la colpa di vivere? La risposta è: sicuramente no. Ma se continueremo a rifiutare e riconoscere le cose che ho scritto sicuramente ci imputeranno la colpa di essere degli egoisti.


Mario Gassino - 2011-11-15
Di "caste" ce ne sono tante, e anche i lavoratori garantiti lo sono. Mi danno però meno fastidio quelli che sono andati in pensione a 55 anni, dopo 35 anni di lavoro e di regolari contributi (i baby pensionati dello Stato sono un altro discorso), e che ogni mese ritirano mille euro, rispetto ai parlamentari con il loro vitalizio o ai mandarini dei ministeri con pensioni d'oro del tutto ingiustificate. Lamberto Dini con 40.000 euro al mese (spero siano lordi almeno) non ha senso. Da qui bisogna partire per mettere in discussione il tabù dei diritti acquisiti.
Elena Dovico - 2011-11-15
Nell'articolo ci sono tante verità. La verità è spesso scomoda, specialmente quando ha ripercussioni significative sul reddito degli individui e sul bilancio delle famiglie. Non credo che siamo ancora pronti culturalmente ad accettare che sia necessario "accontentarci di un livello di vita inferiore", anche perchè speriamo tutti di avere una vita serena e soprattutto la desideriamo per i nostri figli. Ma certamente sarà più vivibile una società in cui tutti hanno un livello decoroso di vita piuttosto che una con un terzo di benestanti e due terzi di poveri.