Un rinnovato protagonismo politico dei cattolici. Per i cattolici l’assenteismo dal sociale è un “peccato di omissione”. È sufficiente ricordare queste due autorevoli e precise frasi pronunciate a Todi per rendersi conto che anche per i cattolici italiani si è aperta una nuova fase nella vita pubblica. Non solo per i cattolici che coltivano una vocazione politica ma per tutti i credenti che adesso ritengono necessario riaffermare con forza e maggior visibilità la loro presenza.
Il dibattito giornalistico è prevalentemente concentrato sul ritorno, o meno, della Democrazia cristiana. La risposta è corale: no, la DC non ritorna. Ma dietro questa risposta, un po’ burocratica e protocollare, si nasconde la vera preoccupazione per molti – e l’auspicio di altrettanti – che una sorta di nuova DC possa ritornare. Una fase politica si sta per chiudere ed è naturale che, di fronte al fallimento del sistema politico della seconda Repubblica, si riaffaccino sulla scena pubblica protagonisti e aggregazioni politiche precedenti.
È comunque sospetto l’accanimento di molti osservatori a rinnegare e a ripudiare l’eventuale ritorno, in forma seppur aggiornata e corretta, della DC. Dietro a questo diktat si percepisce una preoccupazione: il riproporsi di un passato che può destabilizzare l’assetto politico. Certamente non parte dalla Chiesa, dai suoi vertici e dal variegato mondo curiale l’input decisivo per la nascita di un partito politico. Sarebbe, questa, una innaturale invadenza di campo e una singolare ipoteca confessionale e integralistica nella politica italiana. Ma questo rischio non c’è e quindi è inutile parlarne.
Semmai, si tratta di sciogliere un nodo politico che interpella tutti, dal PD al PDL alla stessa UDC: il rinnovato protagonismo pubblico dei cattolici italiani, si deve declinare nei rispettivi partiti oppure sarà caratterizzato da una sostanziale ricomposizione nel medesimo partito?
Questa è la vera domanda a cui occorre dare una risposta pertinente e responsabile. Perché da questa risposta noi capiremo se i cattolici si distribuiranno equamente in tutti i partiti, se continueranno, forse, ad essere considerati un po’ “ospiti” nelle rispettive forze politiche o se prevarrà la forza e il coraggio di costruire, seppure con altre esperienze culturali, un progetto politico autonomo e originale. Da Todi è partita comunque una sfida che, com’è ovvio, non ha fornito una risposta a questa domanda. Anche perché sarebbe puerile pensare che una formazione politica nasce attraverso una ingenua sommatoria tra gli iscritti alle varie associazioni. Già nel passato era miseramente fallita un’operazione basata sull’assembramento delle varie sigle.
Ma la scommessa partita da Todi è profondamente diversa dal passato perché il fermento che oggi attraversa l’area cattolica italiana è forte e vitale. Un fermento che se resterà confinato nell’ambito prepolitico e culturale non avrà effetti diretti sulla scena pubblica ma che comunque contribuirà a modificare l’attuale assetto politico. E se così sarà, è persino ovvio rilevare che gli attuali contenitori elettorali – o partiti – sono destinati a cambiare in profondità.
Penso che almeno due errori non saranno più commessi: la delega in bianco a qualche partito per risolvere le “pratiche cattoliche” in agenda e la cosiddetta “deriva gentiloniana”, cioè lo scambio tra consensi e tutela di interessi che per qualche tempo ha contrassegnato il rapporto tra i cattolici e la politica nella lunga stagione berlusconiana. Due rischi che con il protagonismo politico dei cattolici sono destinati definitivamente a scomparire.
Per il momento, comunque, i cattolici democratici del PD devono continuare a giocare un ruolo da protagonisti nel proprio partito. Senza remore e senza complessi di inferiorità, consapevoli che il pluralismo politico dei cattolici non significa la rinuncia alla propria identità e alla propria tradizione culturale. |