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Le fibrillazioni nel PD
 
di Giorgio Merlo
 

Dovrebbe essere evidente a tutti che quando si chiude una fase politica è l’intero sistema politico a entrare in fibrillazione. Chi pensa che il lento ma inesorabile tramonto del berlusconismo colpisca solo e soltanto il PDL è un illuso. Come è un illuso chi ritiene che la divisione cronica di un partito e la delegittimazione costante della sua classe dirigente possano rappresentare, a lunga scadenza, un punto di vantaggio per la costruzione dell’alternativa al centrodestra. Che il richiamo all’unità del partito sia ormai un fatto poco più che retorico e formale è fuori di dubbio. Anche se resta decisivo per garantire un futuro credibile al PD.
Ma come è possibile pensare di essere credibili quando, ad esempio, già non si contano più le cosiddette “correnti generazionali” che attraverso distinte e separate convention presentano il conto in vista dei futuri organigrammi. Correnti con la carta d’identità in mano e con la precisa finalità però di occupare ruoli e responsabilità che nella biasimata prima Repubblica non si osavano neanche citare. C’è chi, infatti, punta alla candidatura a futuro Presidente del Consiglio per il centrosinistra e chi si accontenta nel pretendere la sola segreteria nazionale del PD. È persin scontato rilevare che queste cosiddette correnti entrano in contrasto tra di loro. Il tutto, però, viene ammantato da grandi parole d’ordine sul rinnovamento, sul cambiamento, sulla nuova classe dirigente che – disinteressatamente – si affaccia alle porte della politica. Come se non fosse una spregiudicata battaglia di potere condotta da raffinatissimi professionisti della politica.
Accanto alle rivendicazioni generazionali che prenderanno il largo nelle prossime settimane, c’è da registrare una preoccupante diversità di opinioni sulla prospettiva politica del Partito democratico. In discussione non è la moltiplicazione delle correnti all’interno del partito. Anzi, la “pluralità” organizzata nel PD è la vera cifra democratica che distingue i partiti padronali che caratterizzano la geografia politica italiana da quelli che mantengono, pur tra mille difficoltà, un dibattito libero e democratico. Semmai è la pluralità delle ricette sulla prospettiva politica del PD che preoccupa. C’è chi continua a pensare al futuro del PD come la riproposizione della vecchia, stantia e fumosa alternativa di sinistra – pur camuffata con parole diverse e all’insegna dell’unità di tutti i “progressisti” – e altri che, invece, ritengono prospettiva del PD quella di costruire una coalizione di governo con forze e movimenti estranei ad ogni richiamo massimalista, estremista e piazzaiolo.
Come si possono conciliare questi due progetti così lontani l’uno dall’altro, se non alternativi?
Proprio su questo versante si registra un’assenza di indirizzo politico capace di ricondurre a unità il controverso dibattito interno. Se questo non avviene, o tarda ad avvenire, il rischio che il tramonto del berlusconismo trascini dietro di sé anche le irrisolte difficoltà del PD non è una semplice battuta.
Accanto a questi elementi, non possiamo non registrare il riemergere del vecchio vizio del PD di delegittimare in modo strisciante il segretario di turno. Il tutto, com’è ovvio, ammantato sempre da parole e da riflessioni improntate al massimo rispetto per il segretario e per la linea politica che interpreta. Certo, adesso sarebbe necessaria una maggior incisività dell’azione del vertice del partito. Perché sono utili il buon senso e il rigore morale che Bersani ha incarnato sin dall’inizio della sua segreteria, ma è altrettanto necessario governare con decisione i sommovimenti e i tentativi di destabilizzazione che albergano nel PD, tanto a livello centrale quanto periferico. Senza questa assunzione di responsabilità, è l’intero PD che rischia di sbandare politicamente, costretto ad oscillare tra il richiamo della piazza, le richieste di potere delle varie etnie generazionali e i sommovimenti sotterranei delle correnti.
L’antidoto dell’unità del partito è, dunque, la vera sfida e il vero impegno intorno cui si può ridare slancio e vigore al Partito democratico. Purché si recuperino capacità di guida e chiarezza sulla prospettiva politica.


Dino Ambrosio - 2011-10-18
A me sembra che quello che a suo tempo aveva fatto vincere le elezioni a Prodi con l’Ulivo era il fatto di aver esteso l’adesione (ahimè) a tutti i partiti di centr sinistra, ma soprattutto il fatto di avere formulato un programma articolato, dettagliato e credibile su cui il suo Governo si era impegnato a lavorare. Certo ora i problemi sono diversi e di ben maggiore gravità ed è molto più difficile dare delle risposte serie agli elettori; ma se il PD ed il centrosinistra non saranno capaci ad elaborare un programma in grado di dare delle risposte non illusorie, ma originali, autorevoli e compatibili soprattutto con la realtà economica ed occupazionale disastrosa in cui ci troviamo, un programma capace di far recuperare i voti di chi, avendo perso ogni speranza, ha seguito le illusioni dell’antipolitica, non vinceremo le elezioni. Non dimentichiamo che stavolta, speriamo non sarà più proponibile la litania dell'anti-berlusconismo e ciascuno dovrà correre con le proprie gambe, con le proprie idee e le soluzioni realiste che sarà capace ad elaborare. A me sembra che finora però i maggiorenti del centrosinistra siano più impegnati a conquistare o mantenere un posto al sole che ad elaborare una proposta politica. Niente di nuovo, beninteso, ma non è certo un presupposto che faccia ben sperare.