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Vi spiego l’evasione fiscale
 
di Valter Morizio
 

Tra i commenti ricevuti all’articolo di Anna Paschero, che ribatte alle discutibili argomentazioni di Luca Ricolfi sull’evasione fiscale, abbiamo ricevuto da un amico lettore questo ampio e interessante intervento che rilanciamo per ampliare il dibattito su uno dei temi più scottanti e ineludibili delle riforme in Italia.

In parte mi riconosco nelle parole del professor Ricolfi. L'evasione fiscale bisogna conoscerla in tutti i suoi aspetti, capirla per poterla combattere, altrimenti si fanno solo proclami ma non si incide sul problema. Partendo dalla mia esperienza personale legata al settore dell'edilizia, uno di quelli a più alta "tensione evasiva", ma che può estendersi anche ad altri settori, vorrei fare alcune considerazioni e sfatare alcuni tabù ideologici e poco attinenti alla realtà.
Cominciamo a sfatare che gli evasori sono solo gli artigiani, commercianti, professionisti e imprenditori. Lo sono anche i lavoratori dipendenti, specie nelle piccole imprese, quando ad esempio pretendono (il termine non deve apparire categorico, ma è aderente alla realtà) di essere pagati in nero quando compiono ore straordinarie, in particolar modo i lavoratori più qualificati. Richiamo l'attenzione che un fatto analogo è successo su vasta scala presso le concerie Mastrotto di Vicenza. L'alternativa, al rifiuto da parte del datore di lavoro, è che il lavoratore vada a fare la ristrutturazione del bagno della sua vicina di casa in nero, con il rischio che, dovendo finire il lavoro iniziato in nero si metta in mutua o chieda le ferie. Quindi l'imprenditore che ha bisogno di poter contare sul proprio dipendente, sia per i lavori straordinari sia in un rapporto continuativo, si vede "costretto" ad aderire alla richiesta del dipendente. Di qui si innesca un fenomeno, noto allo stesso sindacato che nulla fa di concreto per combatterlo (spesso sono i lavoratori sindacalizzati ad attuarlo), che chiamerei dell'uovo o della gallina (chi nasce prima): l'imprenditore esegue lavori in nero, per poter avere entrate con cui pagare i propri dipendenti in nero; oppure si può anche leggere al contrario: i lavoratori vogliono essere pagati in nero perché sanno che l'imprenditore esegue tali lavori. Si innesca quindi un processo a catena che coinvolge tutti, dall'imprenditore, al dipendente, al commerciante che vende i materiali, al cliente finale che viene "indotto" a far eseguire i lavori in nero (se non tutti una parte). Tutti complici, nessun complice.
Questa catena si spezza solo se si effettuano alcune scelte politiche, quali la defiscalizzazione delle ore straordinarie, tali da renderle più convenienti delle ore contrattuali, e la possibilità di poter detrarre da parte del committente le spese effettuate con aliquote che siano maggiori dell'IVA che si va a pagare sulle fatture. Cioè il cittadino deve poter trovare conveniente farsi fare una fattura con IVA al 10% se può detrarne l'importo complessivo (IVA compresa) pari almeno al 30% (e il 30% è l'utile d'impresa che normalmente si applica) per non rendere comunque conveniente all'imprenditore uno sconto sulle opere maggiore del proprio utile.
Esiste poi l’evasione “di necessità”: oggi con la crisi e con l'ingresso sul mercato del lavoro di molte imprese costituite da lavoratori artigiani stranieri molte ditte nazionali e non sono costrette al lavoro sommerso per sopravvivere al mercato. Esiste un mercato fatto di troppa concorrenza sleale, a torto o a ragione (al di sopra di considerazioni razziste) addebitabile all’immigrazione regolare ed irregolare. Anche qui abbiamo il fenomeno dell'uovo e della gallina. È un fatto però che molte imprese costituite con titolare e lavoratori stranieri o eseguono lavori in nero, con l' uso di certificazioni false (il DURC), o pur fatturando non versano le tasse e i contributi. Si gioca con il fatto che queste ditte nascono e muoiono dopo pochi anni (il tempo necessario per scomparire prima dei controlli) e successivamente si riciclano con altre denominazioni e altri titolari. Il fenomeno trova ampia “giustificazione” innanzitutto dovuta al fatto che i contributi assicurativi versati ai fini pensionistici in Italia non vengono riconosciuti dal nostro Stato quando il lavoratore torna al suo Paese di origine. Quindi non vi è interesse per il lavoratore straniero di fatturare, pagare tasse e contributi, se quando torna al suo Paese (Romania ad esempio) non gli valgono per la pensione. Anzi, si incentiva una tipica azione di “rapina” in Italia: eseguire tanto lavoro in nero per poter accumulare più risparmi possibili da inviare a casa. Questa distorsione di mercato determina una reazione a catena, che per essere colpita richiede azioni politiche efficienti, quali controlli rapidi (anzi, istantanei) e il riconoscimento dei contributi versati a fini pensionistici non solo in Italia, ma ovunque.
Non credo di aver svelato nulla, sono "fenomeni " noti alle associazioni di categoria, ai sindacati e alle stesse forze politiche. Il problema è che si fanno tante chiacchiere, ma non si affrontano realmente i problemi, per convenienza.
Solo quando la politica smetterà di ragionare per "convenienza", ma per giustizia, si potrà combattere con efficacia l'evasione fiscale a tutti i livelli. Finché si parlerà dell’evasione fiscale in termini morali, non si andrà da nessuna parte.


piergiorgio fornara - 2011-10-17
Probabilmente fino a quando continuiamo a fare la guerra tra poveri (artigiani o dipendenti) coloro che di professione sono evasori continueranno a ridere. gli artigiani o gli operai che fanno il cameriere o altri lavoretti dopo le 8 ore almeno lasciano gli euro sul territorio ma coloro che continuano a trasferire moneta in Svizzera o Antigua sottraggono non solo valuta al nostro Paese ma anche investimenti e lavoro. Sarebbe curioso sapere con quali soldi il nostro premier ha pagato le case ad Antigua. Fino a quando il fisco non riuscirà a ridurre simile piaga il povero pantalone sarà costretto a pagare tasse anche per i milioni di euro che ogni tanto rientrano con uno scudo. Naturalmente le considerazioni sono ben più estese e meriterebbero dibattiti ben più approfonditi.
Valter Morizio - 2011-10-01
Cara Anna, nella mia lettera ho fatto un discorso un po' più articolato di quanto riferisca nel tuo intervento, ho voluto richiamare l'attenzione su tre dati (non sono gli unici esistenti in una "materia " molto articolata e complessa): 1) l'evasione fiscale non è prerogativa solo di alcune categorie economiche, le partite IVA; 2) che la presenza sul mercato, di imprese a titolarità straniera, determina fenomeni di concorrenza sleale che induce all'evasione fiscale chi opera nel settore; 3) che alla evasione fiscale, quasi tutti contribuiamo, con i nostri comportamenti quotidiani. Non esistono, quindi cara Anna, SOLO specifiche categorie, ma il fenomeno è di massa, ed è un errore affrontare il problema in termini morali, e dividere in modo manicheo i BUONI dai CATTIVI, perché ognuno di noi a seconda delle convenienze, è alternativamente buono e cattivo. Non ho detto che professionisti (categoria a cui appartengo, con denuncia verso la parte alta della mia categoria), artigiani, commercianti ed imprenditori NON evadono, non sono ipocrita, ma non accetto l’ipocrisia che esenta certe categorie economiche. Neppure quelle dei lavoratori pubblici, penso agli insegnanti anche del tuo stesso Comune, che danno lezioni private in nero a 30 €/h e non solo un ora al giorno e sono laureati come me. E gli studenti universitari che danno lezioni private ai liceali (è una catena infinita e ognuno può portare gli esempi che vuole e conosce)? E i cinquantenni pensionati che fanno gli imbianchini o aiutano la moglie a pulire le scale dei condomini? Senza parlare dei cassaintegrati. E’ noto a tutti (sindacati compresi) che molti lavoratori della Bertone di Grugliasco, in cassa integrazione da anni non abbiano “gradito“ il ritorno in fabbrica dopo il Piano Marchionne ed abbiano votato contro l’accordo sindacale perché era per loro più “conveniente” rimanere in cassa a fare lavori in nero (i controlli non esistono). E portare questi dati non è per nulla discorsivo del fenomeno, che ribadisco è di massa, di cui TUTTI siamo responsabili, non solo alcuni. La “criminalizzazione” di alcune categorie contro altre, che non sono del tutto “vergini”, non giova alla soluzione del problema e non giova neppure alla “sinistra” politicamente parlando, che infatti non sfonda elettoralmente parlando. L’evasione fiscale è un fenomeno di malcostume collettivo della nostra società, favorito dalla politica tutta, che quando deve prendere dei provvedimenti atti a colpirlo invece di chiudere le porte lascia aperte/socchiuse. E’ evidente che esiste la grande evasione/elusione, ma anche la piccola (e la mia mamma dice che tanti pochi fanno un tanto). Non sono io, che prendo in giro i cittadini onesti a cui penso di appartenere, ma quelli che con falsa ipocrisia gesuitica esentano ed assolvono i comportamenti di determinate categorie, anche se quelle contribuiscono al 93% alle spese dello Stato e degli enti locali, che non è vero perché questo riguarda l’ IRPEF, non l’ IVA e le tasse sulle società (artigiani e commercianti operano tramite società di persone e società di capitali). Poi vorrei ricordare che anche per alcune categorie esiste la ritenuta d’acconto del 20 % (ma perché il Governo ha abbassato la ritenuta sui lavori edili soggetti al recupero fiscale del 36% e del 55% al 4%? in proposito non ho letto un riga né visto una discesa in piazza da parte dell’opposizione contraria a questo provvedimento che aiuta l’ evasione). I 120/160 miliardi evasi ogni anno non sono imputabili solo a determinate categorie (pensiamo solo ai proventi della criminalità organizzata). Ho citato il caso Mastrotto, per evidenziare che il fenomeno degli straordinari in nero non è solo del settore dell’edilizia, ma è ben più esteso e contempla non solo le tasse, ma anche i contributi. Spiegare l’evasione fiscale, vuol dire conoscerla nella sua fenomenologia molto articolata e complessa , non vuol dire giustificarla. Conoscere per combattere, e non fare solo della facile propaganda populista. Nella mia lettera, sempre alla luce della mia esperienza, ho fatto anche alcune proposte di metodo e di contenuto sulla lotta alla evasione, di cui però non trovo traccia, cara Anna, nella tua replica. Un modo concreto di affrontare i problemi. Fino a prova contraria, spiegare come e perché avvengono certi fenomeni, non vuol dire giustificare, oppure è meglio non parlarne e sventolare le bandiere in piazza? Per inciso anch’io nei tuoi stessi anni ho fatto l’ assessore al bilancio in un Comune della prima cintura di Torino e ho combattuto l’evasione sulla tassa rifiuti, recuperando un gettito del 40%. Poi però non sono stato più rieletto, guarda caso.
Anna Paschero - 2011-10-01
L'esordio della lettera di Walter Morizio non lascia dubbi sul seguito: “sfatare che gli evasori sono solo artigiani, commercianti, professionisti e imprenditori perché lo sono ANCHE i lavoratori dipendenti”. Quell'”anche” è una implicita ammissione che artigiani, commercianti, professionisti etc. sono evasori. E fin qui ci siamo. Ma l'esempio del lavoratore dipendente, per lo più sindacalizzato (le cui imposte, ricordiamo, sono prelevate dal suo reddito mensile prima che egli lo percepisca materialmente e con queste paga per il 93% strade, scuole, ospedale o tutto quello che lo Stato fornisce che fa l'imbianchino in nero nell'appartamento della vicina di casa, proprio non ci sta, caro Walter. E' distorsivo di un fenomeno che ha ben altre radici, come tutti sappiamo bene, che affondano in un malcostume culturale e corruttivo, che ha attecchito in modo robusto ad un sistema Paese oggi alla deriva anche per questo. Chi si occupa di legalità e di giustizia dovrebbe saperlo e non dovrebbe prendere in giro i cittadini onesti. Spiego il perchè con i dati dell'Agenzia delle Entrate riferiti alle dichiarazioni 2008, che sono oggi definitivi e sufficientemente dettagliati per poterci ragionare. Da essi emerge che il contributo dato alle casse erariali dalle varie categorie di contribuenti vede sempre ai primi posti lavoratori dipendenti e pensionati, con una loro netta prevalenza sia in termini numerici (sono l'88% dei contribuenti), sia in termini di redditi dichiarati e tasse pagate (il 93% del totale). Cominciamo dall'edilizia, settore citato da Morizio: i redditi medi dichiarati da ingegneri, architetti, geometri e agenti immobiliari vanno rispettivamente da un massimo di 37 mila a un minimo di 22 mila euro, naturalmente lordi. Le altre categorie, ad eccezione di notai (405 mila) farmacisti (126 mila) vanno da un massimo di 49 mila euro degli avvocati ad un minimo di 10 mila euro dei parrucchieri. In mezzo ci stanno albergatori, giornalai, ristoratori, gioiellieri, meccanici e tassisti. Il cosiddetto popolo delle partite IVA che, a ben vedere, non dimostra particolari privazioni nel suo tenore e stile di vita. Cifre che si commentano da sole e che spiegano perché ogni anno nel nostro Paese ci sono dai 120 ai 160 miliardi di imposte evase. Walter cita il caso Mastrotto di Vicenza (che riguarda il pellame e non l'edilizia) alla ribalta delle cronache per l'elevato valore di imposte evase in pochi anni, non solo dovute al pagamento in nero degli straordinari dei propri dipendenti. Anziché “spiegare l'evasione fiscale”, cosa di cui in questa difficile fase dell'economia e dei conti pubblici nessuno sente il bisogno, bisogna studiare interventi correttivi capace di debellarla definitivamente. Ogni teoria volta a giustificarla, a spiegarla, a voler addossare comportamenti elusivi a tutti, (anche ai lavoratori dipendenti) , non aiuta questa difficile e coraggiosa operazione, che tutti insieme invece dovremmo incoraggiare, soprattutto quelli che come noi svolgono una incessante e meritoria attività in Associazioni che promuovono la giustizia, l'etica e una miglior cultura civica.
Lino Busceti - 2011-09-29
Dopo un'analisi così profonda e precisa, resta l'amarezza per i lavoratori dipendenti e per i pensionati i quali non hanno e non devono avere la possibilità morale di evadere. L'amarezza numero due è quella che le forze politiche di destra e anche quelle di sinistra non si sono mai impegnate veramente per combattere seriamente la questione dell'evasione.