Si è tenuta martedì 13 settembre, in piazza Castello a Torino, dalle ore 16.30 di fronte al Palazzo della Regione, una riuscita manifestazione promossa dal coordinamento dei Consorzi socio-assistenziali del Piemonte. L’iniziativa, che ha coinvolto amministratori locali, famiglie, associazioni di volontariato e cooperative sociali, intende difendere la positiva esperienza piemontese che ha costruito una efficiente rete di servizi sociali a sostegno delle persone svantaggiate e in difficoltà.
Quando nel dicembre 2009 il Governo Berlusconi licenziò – tanto per cambiare con un voto di fiducia – la legge finanziaria per l’anno seguente, inserì anche un comma che prevedeva “la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali”. Una norma voluta per eliminare enti inutili o poco utili, spesso doppioni di alti organismi, buoni a creare qualche poltroncina remunerata nei Consigli di amministrazione. L’intento è anche lodevole, ma dopo qualche settimana si scopre che nel novero dei Consorzi decapitati entrano anche quelli socio-assistenziali. Enti inutili? Ma dove?
L’assistenza è uno dei più rilevanti e delicati compiti affidati ai Comuni. In Piemonte abbiamo dal 1997 una delle più positive esperienze nazionali e internazionali di gestione dei servizi di assistenza, realizzata attraverso l’associazionismo tra Comuni che si sono strutturati in Consorzi collegati in rete. Questa modalità organizzativa ha superato le carenze della precedente gestione affidata alle ASL – che hanno sempre considerato l’assistenza una fastidiosa incombenza di serie B rispetto alla sanità – e risposto in misura crescente, anno dopo anno, alle aumentate esigenze di sostegno ai bisogni. Anche in questi ultimi anni di tagli crescenti ai bilanci degli enti locali, i Consorzi hanno saputo ottimizzare le risorse a disposizione e mantenere un’alta qualità di servizi. Ci sono margini di miglioramento, com’è ovvio, dato che alcuni Consorzi offrono prestazioni ottime e altri solo sufficienti. In provincia di Torino è poi ancora parzialmente disattesa la legge regionale 18/2007, che prevede come ambito ottimale dei Consorzi la coincidenza con i distretti sanitari, costituiti su una popolazione non inferiore a 70.000 abitanti. L’accorpamento dei Consorzi più piccoli, ad esempio in Canavese, permetterebbe risparmi di gestione e di struttura organizzativa.
Un conto però è migliorare l’esistente, partendo da una base solida e valida; altro discorso è buttare a mare ciò che funziona, per un ritorno al passato o per una riorganizzazione su basi peggiori.
Infatti la Regione, limitandosi a prendere atto della norma di legge nazionale e dimenticando la sua legge del 2007, ha proposto a fine luglio una bozza di delibera che riduce a due le possibilità per il futuro: il Comune può delegare i servizi sociali alle ASL oppure costituire una Unione con altri Comuni per gestirli.
Il ritorno nella pancia delle ASL sarebbe una iattura: non solo per la scarsa considerazione che la nomenclatura della sanità ha dell’ambito socio-assistenziale, e di cui vorrebbe non occuparsi, ma soprattutto perché, una volta inseriti nel calderone del bilancio sanitario, per i servizi sociali rimarrebbero le briciole.
Passare dai Consorzi alle Unioni, di primo acchito parrebbe solo un cambio di nome. Non è così. Le Unioni devono in prospettiva esercitare tutte le funzioni fondamentali dei Comuni, e ogni Comune può per legge far parte di una sola Unione. La legge 122/2010 prevede che i piccoli Comuni formino delle Unioni per raggiungere una popolazione di almeno 5000 abitanti. Oggi i Consorzi più piccoli ne raggruppano almeno 30.000 e, come abbiamo visto, dovrebbero accorparsi per superare i 70.000. Il Consorzio socio-assistenziale ha dimostrato di funzionare su un’area di media vastità, mentre l’Unione ha senso solo se raccoglie un territorio più ristretto e omogeneo, vista la pluralità di servizi da offrire ai cittadini.
Considerate l’importanza dei servizi socio-assistenziali e l’esperienza di questi anni, i Consorzi andrebbero salvaguardati. A meno che le ragioni per smantellarli non siano di bassa politica: il mondo dell’assistenza – dirigenti, operatori, volontariato, cooperative – generalmente è più orientato a sinistra… |