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Ahi Mariotto!
 
di Alexis de Tocqueville
 

La vicenda dei referendum ha fatto resuscitare in qualche salotto televisivo un desaparecido della politica italiana, Mariotto Segni.
Giusto vent’anni fa aveva esultato per la vittoria al referendum sulla preferenza unica, legando poi il suo nome a una stagione di cambiamento: dalla Prima Repubblica, politicamente instabile per la caduta del Muro di Berlino e poi impantanata nella melma di Tangentopoli, a una nuova stagione politica all’insegna della società civile, degli uomini nuovi scelti direttamente dal popolo senza la mediazione dei partiti, della riforma elettorale uninominale. Segni pareva, in quei primi anni Novanta, il personaggio capace di guidare la trasformazione della nostra democrazia. Sappiamo bene che l’homo novus della Seconda Repubblica non sarebbe stato il referendario sardo ma un imprenditore televisivo milanese. Segni, la cui stella declinò rapidamente, può essere considerato l’apriporta inconsapevole del berlusconismo.
Oggi a sentire il nome Mariotto salta in mente uno dei giurati di “Ballando con le stelle”. Segni, sepolto dai suoi errori di valutazione politica, è ormai un dimenticato, al pari di “gioiosa macchina da guerra” Occhetto. Per entrambi, mai oblio fu più meritato.

Della rubrica FARDELLI D'ITALIA


Guido Bodrato - 2011-06-17
L'esito positivo dei referendum, ha fatto tornare in campo i profeti del movimentismo, che sono stati storicamente l'avanguardia dell'onda plebiscitaria, cioè del berlusconismo. E non è la prima volta, dall'inizio degli anni '90, che leggiamo le stesse cose a proposito delle riforme di sistema che sarebbero necessarie per modernizzare la politica, personalizzandola. In realtà, come Toqueville ha scritto, e come ha confermato Baviera, la cronaca degli ultimi vent'anni ci ricorda che al tramonto della Prima Repubblica Mariotto Segni aveva profetizzato: con l'uninominale maggioritario, che in questi giorni è riproposto da autorevoli amici del PD come soluzione di tutti i problemi, gli elettori avrebbero finalmente scelto il proprio rappresentante, collegio elettorale per collegio elettorale; e invece il ciclo si è concluso con un voto di schieramento che ha costretto a ratificare le scelte del padrone del vapore... Non sarebbe più corretto sostenere che, negli ultimi referendum è stato il ritorno all'interesse comune, cioè alla politica, a decidere la sfida? Se l'analisi non è corretta, la risposta ci farà ripetere gli errori del recente passato. Ricordiamo il referendum Guzzetta/Segni del 2005, sul "porcellum"? Ma purtroppo non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Beppe Mila - 2011-06-17
Bellissimo nella forma e "testo di studio" nella sostanza. Il guaio è che gli italiani non perdono l'abitudine di farsi abbindolare da chi promette sempre il nuovo, il più pulito che non si può, ecc., per cui meglio vigilare... e se possibile tenersi l'usato sicuro.
Carlo Baviera - 2011-06-17
E' proprio così! Si è dato spazio a un esaltato e ci ha trascinati in un sistema come l'attuale. L'altro personaggio che ha svilito la partecipazione e la buona politica, usando l'arma dei referendum come una zappa, è stato Pannella. Ora attenti a lasciare a gente così le leve del futuro: serve un passo indietro dei partiti nella gestione e un loro passo in avanti nell'elaborare una proposta e nell'ascoltare i cittadini; serve una politica nuova, per un modello di sviluppo profondamente diverso e partecipato; serve una legge elettorale che, pur in ottica bipolare, non comprima il pluralismo e un governo che abbia una visione europea, ma rispetti i territori periferici.