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Democratici, non di sinistra
 
di Giuseppe Davicino
 

In attesa dei prossimi ballottaggi, si può già dire che sembra scoccata l’ora del Partito democratico, dopo quattro anni di alterne vicende. Una nascita infausta (nella quale si è avuto il decesso della madre, il governo Prodi), un impatto duro con le urne (le politiche del 2008, le scorse regionali) per un partito che non ha mai dato sinora l’impressione di incalzare uno schieramento avversario sempre più malridotto; più attento a marcare i margini del politicamente corretto caro ai salotti che a capire e a costruire risposte alle molte contraddizioni e tensioni di cui è fatta la vita di milioni di lavoratori e l’avvenire del Paese.
Eppure, proprio alle prime elezioni dopo la mancata caduta del governo Berlusconi in seguito allo smottamento della maggioranza, si sono colti gli sperati segnali di ripresa. Il PD dimostra di essere il perno della coalizione di centrosinistra, paradossalmente anche laddove ha perso le primarie, come a Milano, e di aver avviato un recupero di voti dai suoi alleati e dall’astensionismo del suo elettorato. E si permette anche il lusso, come a Torino, di verificare dal basso il consenso e la credibilità di uno dei massimi esponenti della scena politica italiana degli ultimi vent’anni, qual è Piero Fassino: un’operazione che ora tutti dicono “facile”, ma probabilmente impossibile per molti altri leader nazionali di lungo corso, privi di un’autorevolezza paragonabile a quella del neo sindaco di Torino.

Come spesso accade in politica, l’occasione dischiude prospettive che fino a poco prima sembravano remote. Questo è successo il 15 e 16 maggio scorsi, ben oltre il risultato clamoroso del capoluogo lombardo, in cui ha pesato un diffuso scontento verso il sindaco uscente. È una tendenza generale di sfiducia dell’elettorato del PDL e della Lega. Qualcosa si è rotto nel rapporto tra quel blocco sociale centrale della società nel Nord e i partiti del centrodestra. La delusione si è trasformata, questa volta, in astensionismo.
Purtroppo però, in un sistema rigidamente bipolare qual è quello che abbiamo, bastano queste minime oscillazioni per decretare eclatanti vittorie e nette sconfitte.

Questo elemento, difficilmente controvertibile, dovrebbe suggerire al PD che se vuole proseguire sulla via della “riscossa” non può eludere il nodo del progetto politico che serve al Paese per reagire al declino e per ricollocarsi con dignità in un mondo in cui si stanno velocemente rimescolando le gerarchie economiche e politiche. È il momento di osare, di mettere in circolazione idee nuove, soprattutto in economia e nelle relazioni internazionali, per dare prospettive di lavoro ai giovani, per fare in modo che la molta ricchezza che ancora l’economia italiana è in grado di produrre non sia razziata dalla speculazione finanziaria, con i ceti lavoratori che si ritrovano con stipendi o profitti d’impresa bassi e pressione fiscale fra le più alte al mondo.

Ci vuole molto coraggio. Dominique Strauss-Kahn, a cui si può imputare – come a molti potenti di questo mondo – una passione sfrenata per le donne, ha ricevuto un trattamento così incivile per il solo fatto di aver messo in discussione, come riconosciutogli da Joseph Stiglitz, due dogmi del “mercatismo” che ha prodotto l’attuale crisi: l’assenza di controllo sul movimento dei capitali e l’obiettivo della massima flessibilità del mercato del lavoro. E per questo era anche il candidato più accreditano nei sondaggi per la vittoria alle presidenziali francesi del prossimo anno. Così il suo “killeraggio” ricompensa anche il comportamento servile (oltre che anti-italiano) del presidente Sarkozy sulla guerra di Libia.
I veri politici riformatori, i dirigenti democratici, non devono farsi illusioni: se hanno trattato in maniera così barbara il potentissimo capo del Fondo Monetario Internazionale, essi riceveranno un trattamento ancora più sprezzante da quei poteri che vampirizzano l’economia, non appena saranno capaci di adottare quelle riforme positive per le imprese, i lavoratori e le famiglie, e indigeste ai grandi poteri di certa finanza internazionale e alle loro potentissime corazzate mediatiche. Ma questa è la via, se il PD vuole recuperare credibilità e consenso nella società italiana.

Accanto alla proposta politico-programmatica, l’altro elemento che serve al PD per trovare finalmente la centralità che merita nella politica italiana e consolidare il trend positivo di queste amministrative, è quello del profilo culturale e identitario. Se la definizione di tale questione era urgente prima del voto, lo è molto di più oggi. Il rischio infatti è che ai primi fuochi di vittoria, riemerga una perniciosa convinzione ancora molto presente, quella dell’autosufficienza delle sinistre, del disconoscimento del ruolo del centro, e in esso dei Popolari.
Solo un Partito Democratico “plurale” culturalmente può ambire all’alternativa al centrodestra e costituire un argine a derive populiste. Un partito che non sia la riedizione dei DS, che non sia la sezione italiana del PSE, in cui gli eurodeputati di formazione cristiano democratica possano liberamente aderire al PPE. Occorre arrivare a rendere immediatamente evidente a ciascun elettore che, come sosteneva Massimo Cacciari, si è “democratici” e quindi non di sinistra.
Il Partito democratico che comincia a sentire concreta la possibilità di insediarsi alla guida del Paese, è di fronte ad un bivio che i Popolari e quanti sono portatori di una cultura politica di centro nel PD, non possono nascondere solo per quieto vivere nei confronti delle componenti di sinistra nel partito.
O cedere al “richiamo della foresta” del grande partito di sinistra, e quindi vanificare sul nascere le speranze di ripresa elettorale, o rompere definitivamente gli indugi e scegliere, come era nelle attese di molti amici quando si avviò il progetto del PD, un modello di partito “nazionale” improntato inevitabilmente alle esperienze dei grandi partiti popolari cristiano democratici europei (in cui per molti versi rientra anche il partito di governo in Turchia, l'AKP), in alternativa sia al modello di partito socialdemocratico che a quello liberal americanizzante. Questo implica però la definizione di alleanze coerenti e l’uscita da un asfissiante sistema elettorale a tutti i livelli istituzionali culturalmente figlio della legge Acerbo, di cui non possiamo certo essere fieri nel consesso delle principali democrazie.
Sappiamo che si tratta di una proposta che molti troveranno provocatoria nel PD. Tuttavia è da ritenersi preferibile a un lento ma progressivo abbandono delle componenti cattoliche e moderate di un partito che desse l’impressione di non avere, come invece è giusto che sia, nessuna altra forza significativa alla propria sinistra e di non sapere e non volere insediarsi al centro dell’arco delle forze politiche.


Giorgio Perello - Ciriè (To) - 2011-05-24
Mi pare tu ti ponga un problema che non esiste. Vecchio perchè superato dai fatti. Là dove il PD è forte, là dove un'alternativa alla deriva populista c'è, il PD è vincente. Lo è in quei contesti in cui ha costruito una classe dirigente credibile che ha fatto davvero sintesi delle radici da cui il progetto del Partito Democratico trae linfa. Perchè rincorrere ancora il centro? Certo che a sinistra del PD deve esserci, e c'è, una sinistra (che, anche se malconcia, ha un leader carismatico ed ha fornito un candidato in grado di battere la destra a Milano), ma chi ha a cuore la politica deve impegnarsi a costruire nel PD una vera proposta alternativa al dopo Berlusconi, a costruire una nuova classe dirigente, a ridare forza alla base perchè sono questi - e questi soli - gli ingredienti di un "partito di massa" come il PD dovrà diventare.
Ruggero Bacchetta - Grignasco (No) - 2011-05-23
Grazie, condivdo. Sono preoccupato per questa deriva troppo di sinistra che aleggia in una certa parte della base del PD, dove mi pare che siano troppo numerosi coloro che lavorano con l'obiettivo di ricostruire un partito erede dei DS. Io credo invece che si possa/debba cercare una unità che supera e fonde le ideologie che animavano la DC ed il PCI. Certo che il dialogo può avvenire se si è in due, animati dallo stesso spirito ed aperti alla ricerca di un futuro diverso, per noi e per la società in cui viviamo... i nostalgici saranno perdenti!!
Giovanni Demarco - 2011-05-20
Trovo contraddittoria la seconda parte di questo articolo; scrivi "Occorre arrivare a rendere immediatamente evidente a ciascun elettore che, come sosteneva Massimo Cacciari, si è “democratici” e quindi non di sinistra". Io credo che si possa essere democratici sia che si sia nella formazione, nella provenienza, nelle finalità di sinistra che popolari... Altrimenti che "pluralismo" é? Quello di una identità specifica non potrà che riguardare le nuove generazioni di questo partito, senza tuttavia immaginare che scompaiano correnti culturali che hanno nella società e nella storia le loro radici profonde, come é del resto nel Partito democratico americano che ha una spettro assai largo di riferimenti. Dobbiamo anche imparare dall'esperienza: chi di noi avrebbe creduto che Pisapia arrivava al 48%? E che De Magistris superasse largamente il candidato del PD? O il PD diventa il riferimento di tutti coloro che vogliono un cambiamento dell'Italia rendendolo un Paese più giusto e moderno o le caratterizzazioni politiche novecentesche rischiano di renderlo un partito chiuso a difesa di impostazioni autoreferenziali. Quanto a Fassino: io avrei voluto che a Roma si candidasse Letta o Rosi Bindi (per dire 2 big nazionali) e che dalla grande periferia partisse la riscossa. Fassino ha dato un segnale al gruppo dirigente che aspetta sulla riva del fiume. Ha fatto il "democratico"? io credo di sì, senza nulla togliere alla sua storia e al suo profilo che é insieme unitario e di sinistra. Si é messo in discussione rischiando. Quanto al PPE: aspettiamo di capire che bilancio si fa dell'esperienza in Europa. Si pesa di più sparpagliati nei gruppi contando il 2% o stando insieme in un gruppo che ci riconosce una esperienza specifica? Aspettate a valutare. La fretta di Rutelli o Cacciari o Susta (io l'ho votato ahimé) non mi pare ora abbia riscontri di comprensione.