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PD al centro della nuova fase politica
 
di Giorgio Merlo
 

Il risultato delle recenti amministrative ci consegna un quadro politico destinato a modificare profondamente. Al di là della sconfitta pesante del centrodestra accompagnata dalla buona affermazione del centrosinistra – salvo casi eccezionali – non si può non registrare, innanzitutto, l’erosione di quel “blocco sociale” che al Nord spadroneggia da circa vent’anni a scapito di qualunque alternativa. Un blocco incardinato sull’asse PDL-Lega che mai era entrato in crisi come questa volta con il voto amministrativo, in gradi città come Torino e Milano ma anche in molte medie città lombarde e venete. L’attenzione principale adesso va indirizzata all’alternativa che si profila all’orizzonte e al progetto riformista che il centrosinistra riuscirà a mettere in campo. A partire proprio dal ruolo e dall’iniziativa politica del PD che in queste elezioni amministrative incassa un significativo successo elettorale.
Insomma, il nuovo centrosinistra sarà forte nella misura in cui il Partito democratico riuscirà ad essere il leader della coalizione. Il PD, quindi, come forza leader dell’alleanza di centrosinistra, perno della futura coalizione di governo e movimento politico centrale nel rapporto con le altre forze politiche. Non voglio dire che ci troviamo di fronte a un partito “centrista” o solo “centrale” nella coalizione di centrosinistra. Ma è indubbio che il PD, in questa fase, riveste un ruolo determinante nella costruzione di un progetto alternativo alla destra e al berlusconismo. Senza dilungarsi nel confronto con la metà degli anni ’90, è comunque evidente che il ruolo “centrale” che il PD rivestirà nella coalizione di centrosinistra dovrà caratterizzare lo stesso profilo politico e progettuale della coalizione. Un partito, dunque, autenticamente di centrosinistra dove le spinte massimaliste o estremiste saranno definitivamente bandite a vantaggio di una cultura riformista di governo fortemente visibile. Certo, poi serviranno le alleanze con partiti e movimenti che aderiranno al programma di governo. Ma è indubbio che tocca al partito leader della coalizione farsi carico della “sintesi” che deve caratterizzare l’alleanza. E questo perché nessuno potrà più affermare, soprattutto dopo questo voto che ha coinvolto oltre un quarto dell’elettorato del nostro Paese, che il PD deve appaltare a qualcun altro la rappresentanza del mondo moderato. No, il tracollo del cosiddetto Terzo polo e il naufragio elettorale di chi pensava di essere l’ago della bilancia nella costruzione dell’alternativa all’attuale destra di governo è stato sonoramente bocciato dagli elettori. È appena sufficiente gettare lo sguardo al peso elettorale del Terzo polo a Torino e a Milano – non oltre il 5% in entrambe le città – per rendersi conto che quel progetto si è sciolto come neve al sole per le enormi contraddizioni presenti al suo interno. Senza infierire, è semplicemente grottesco che un partito come FLI, forte del suo 1%, continui a predicare il verbo di voler costruire il futuro centrodestra del nostro Paese e poi molti suoi esponenti di punta sostengano per il prossimo ballottaggio il candidato di Vendola a Milano e quello di Di Pietro a Napoli. Una confusione politica destinata a rendere ridicolo FLI e a coprire di grottesco lo stesso progetto del Terzo polo.
Ma, al di là di questo fallimento politico, va sottolineata la capacità del PD di essere l’asse portante della coalizione capace di guidare l’alternativa a Berlusconi senza trasformare l’alleanza in un cartello elettorale indistinto e anomalo. Certo, sappiamo quello che non si deve più ripetere. L’Unione, come dice giustamente e ripetutamente Bersani, non si può più riproporre e va archiviata definitivamente. Al contempo, si può tranquillamente allargare la futura coalizione a forze e movimenti che possono avere sensibilità diverse rispetto al PD ma che, alla fine, si riconoscono in un progetto condiviso all’interno della coalizione. E questo ruolo politico lo può assolvere solo un grande partito di massa, popolare e interclassista. Ecco perché la responsabilità politica del PD è destinata a crescere. E lo stesso dibattito interno al partito deve cambiare registro. Non c’è più spazio, d’ora in poi, per le polemiche sulla “deriva a sinistra” del partito e sul semplice prolungamento delle precedenti esperienze politiche. La nuova responsabilità che coinvolge direttamente il PD lo investe di un ruolo che muta repentinamente rispetto al recente passato. Il partito “centrale” della coalizione deve farsi carico, più degli altri, delle esigenze dell’intera coalizione e non può appaltare a nessun altro la rappresentanza esclusiva di ceti, interessi e domande di settori crescenti della società italiana. Senza fare alcun paragone – del tutto innaturale – con le modalità politiche della Prima repubblica, è però indubbio che il partito perno della coalizione deve essere per forza di cose “plurale” e fortemente rappresentativo della società italiana. Un ruolo che non può, ovviamente, essere assolto da partiti come SEL o come l’IDV che rappresentano segmenti limitati e circoscritti, seppur importanti, della società ma che non possono farsi carico delle esigenze dell’intera coalizione.
Insomma, dopo il voto del 15-16 maggio, e forse ancor più dopo i ballottaggi di fine mese, il PD – forte del successo elettorale – deve voltare definitivamente pagina e guidare con forza e determinazione la nuova fase politica che si è aperta nel Paese. E tutte le sensibilità politiche al suo interno adesso sono essenziali e decisive. Nessuna esclusa. In un grande partito popolare e democratico, e per giunta centrale nello schieramento che deve guidare, tutto si può fare tranne che procedere con lo sguardo rivolto all’indietro. Tocca al gruppo dirigente, nel suo complesso, guidare questa nuova fase politica. E soprattutto al segretario Bersani farsi carico di questo ruolo “centrale” nella nuova fase politica italiana che vede il centrosinistra sulla scena e il PD come attore protagonista.