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Quo vadis Factio popularis?
 
di Franco Maletti
 

Inebriati dal successo di un partito-contenitore denominato Margherita, che tra i suoi “meriti” aveva quello indiscusso di avere “distrutto la dorsale del Partito popolare” (dichiarazione di Arturo Parisi), qualcuno un giorno ebbe l’idea di creare un contenitore ancora più grande, nel quale chiunque non si chiamasse Berlusconi avesse modo di trovarsi a suo agio. Nacque così il Partito democratico dell’accoglienza, via via irrobustito dai generosi “ma anche” veltroniani, senza eccessivi distinguo.
La legge elettorale “porcata” del centrodestra, che consente ai leader di partito di decidere personalmente i nominativi degli eletti, non fu avversata perché favoriva di molto il consolidamento delle varie “leadership”: compresa quella di Veltroni.
La questione dell’organizzazione sul territorio del novello Partito democratico non venne molto considerata: tutto sommato, un “partito liquido” con pochi iscritti, magari da utilizzare soltanto nei momenti elettorali, non solo rafforza e rassicura il leader, ma fa sì che le sue decisioni vengano prese più rapidamente e in splendida solitudine. Infatti, un vero leader non ha bisogno della democrazia nel suo partito: decide e basta.
Perdere le elezioni nel 2008 ha significato, paradossalmente, evitare la fine immediata del PD.
Oggi il partito è organizzato in Circoli sull’intero territorio nazionale: sforna iniziative anche in periodi che non sono quelli elettorali, dimostra insospettabili capacità organizzative nell’allestire convegni, gazebo, distribuzione di volantini. I volontari non mancano mai.
Ma quando nelle riunioni capita di discutere non di aspetti organizzativi ma di questioni di merito, il partito-contenitore è in grado di sfornare un repertorio di interventi così vario da lasciare intendere che vi siano spesso tante idee quanti sono i presenti. E ognuno pare convinto che solo le proprie idee coincidano con la “linea” del Partito: una “linea” vaga che ognuno interpreta un po’ come vuole. Ovvio, in questa situazione, che ogni riunione dove si discute di merito finisca con un nulla di fatto. E guai a chi si azzarda a proporre di mettere in votazione qualsiasi documento: il gesto verrebbe interpretato come una provocazione.
Ma come fa un partito che si definisce “democratico” a non applicare una elementare regola della democrazia? Questo è, probabilmente, il frutto avvelenato che il PD si porta dietro dalle sue origini: quando qualcuno pensava che tanto più il leader era forte, meno aveva bisogno di orpelli e di regole democratiche. E oggi ne stiamo pagando tutti le conseguenze e ci domandiamo dove sta andando il Partito democratico. Quo vadis Factio popularis?
Il PD ha bisogno urgente che al suo interno si applichi il principio per cui ognuno ha il diritto di esprimere il suo parere ma poi si decide a maggioranza. E quando una decisione viene presa democraticamente a maggioranza, anche chi aveva espresso un parere diverso vi si adegua.
Né può essere la paura che qualcuno se ne vada sbattendo la porta a bloccare l’esercizio della democrazia. Perché, se così fosse, nulla lo salverebbe da un lento ma inevitabile declino.
Partito avvisato…


- 2011-03-30
Perdonami Maletti, non voglio essere assolutamente offensivo, ma una nota al tuo "pezzo" la debbo fare! : Debbo dirti che ho visto un altro film da quello che "descrivi" eppure la strada per costruire il Partito Democratico l'ho percorsa tutta! Carlo Viscardi ( Il mio nome non ti dirà niente ma la battuta spero faccia riflettere ..."quelli che c'erano").