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PD, ora si costruisca la coalizione
 
di Giorgio Merlo
 

Lo diciamo da tempo. Un partito si qualifica anche, e soprattutto, per le alleanze che mette in campo. E, nel caso del PD, per la coalizione alternativa al centro destra che riuscirà a definire nei prossimi mesi. Del resto, il capito delle alleanze non può solo essere il prodotto della sola contingenza politica. Se così fosse si passerebbe nell’arco di poche settimane dal governo di “emergenza democratica” al CLN; dalla vocazione maggioritaria alla riproposizione dell’Unione alla semplice alleanza di centro sinistra. Insomma, forse è giunto il momento di attivare un progetto politico capace di dar vita a una coalizione credibile, coerente e trasparente agli occhi dei cittadini elettori.
Innanzitutto deve essere una coalizione di governo. È scontato ribadire che i cartelli elettorali non hanno vita lunga e rischiano solo di innescare confusione e disorientamento negli elettori. Il PD è un partito riformista e di massa con una specifica e marcata cultura di governo. Un partito, quindi, che non può abdicare al suo ruolo sacrificandolo sull’altare di un’emergenza che può trasformarsi rapidamente in un boomerang. È bastato, infatti, uno starnuto di Casini per archiviare rapidamente la strategia di un rinnovato CNL nell’attuale confusa e caotica situazione politica.
Riaffermare la cultura di governo del partito significa anche costruire un’alleanza di governo con forze politiche e movimenti che non scivolino frettolosamente nella rincorsa verso ogni sorta di estremismo politico e culturale.
Ed è proprio nel rapporto con questi mondi che il PD deve chiarire il suo atteggiamento e la sua proposta. La rincorsa della piazza – dove, comunque, è bene esserci – non paga.
Come non paga assecondare passivamente le pulsioni giustizialiste e forcaiole che sono disseminate nella società italiana.
Il PD non può e non deve confondersi con Di Pietro, Grillo o con il “popolo viola”. Sotto questo profilo, è sempre consigliabile non dimenticare il monito di Pietro Nenni quando invitava a non farsi incantare dai richiami moralistici sostenendo che “c’è sempre un puro più puro che ti epura”. Se il PD si confonde in questa melassa perde la sua specificità e si autocondanna a giocare un ruolo marginale nella società italiana.
Il massimalismo e l’estremismo non rientrano nella nostra cifra politica. Certo, il dialogo e il confronto vanno mantenuti e salvaguardati con quest’area culturale e politica, ma non ci può essere confusione o, peggio ancora, subalternità e sottomissione.
In terzo luogo va affinato e perfezionato il “programma”. Un elemento, questo, non retorico, né banale. La recente conferenza programmatica del PD ha offerto un contributo degno di nota su questo versante. Perché è solo attraverso il programma che si qualifica un partito e si presenta come forza autenticamente riformista e di cambiamento. Da sempre, infatti, le condizioni si definiscono attraverso i programmi. Le ammucchiate contro qualcuno o contro qualcosa servono per dire ciò che noi non saremo, ma si fermano di fronte alla domanda su ciò che noi siamo o su ciò che noi vorremmo essere. Ed è proprio attorno al profilo programmatico che noi presentiamo la vera carta d’identità del partito.
Insomma, la coalizione di governo che il PD contribuirà a definire è la vera scommessa politica che si metterà in campo. A prescindere da quando si andrà a votare. L’unica cosa che si deve escludere è quella di vivere alla giornata. I progetti politici non si costruiscono inseguendo gli eventi ma governandoli. E il PD ha oggi le munizioni politiche, culturali e programmatiche per porsi alla guida della nuova fase politica che si è aperta nel nostro Paese.