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Primarie: da Napoli allarme rosso
 
di Giorgio Merlo
 

La vicenda di Napoli conferma, per l’ennesima volta, che ogniqualvolta si parla di primarie si registra una distanza siderale tra la descrizione miracolistica delle finalità di uno strumento tecnico e la concreta realtà dei fatti. Non è la prima volta e, come tutti sanno, non sarà l’ultima in fatto di primarie truccate e distorte. Non a caso, infatti, il Pd è l’unico partito italiano ed europeo che pratica questa originale modalità organizzativa di selezione della sua classe dirigente. Ma, con altrettanta curiosità, e di fronte alle sempre più plateali contraddizioni che questo sistema trascina dietro di sé, la cura che si propone non è quella di rivedere lo strumento tecnico ma, al contrario, continuare a sostenere l’insostituibile efficacia di questa pratica. Una specie di dogma di fede applicato allo Statuto del partito. C’è da restare allibiti nell’ascoltare le tesi degli ultrà delle primarie ad ogni costo e a qualsiasi prezzo. Ma, soprattutto, c’è da restare basiti che, di fronte al concreto fallimento di come oggi vengono gestite le primarie, non ci sia la minima volontà di rivederle e di riformarle anche quando è manifesta l’inefficacia politica. In effetti, oltre alla contrapposizione violenta nel partito, oltre al giro vorticoso di denaro, oltre alla frammentazione politica che generano adesso registriamo anche – cosa non nuova – il profondo inquinamento dei partecipanti al voto. Certo, la stragrande maggiorana dei votanti è sicuramente in buona fede ma è indubbio – e tutti lo sanno – che l’attuale organizzazione delle primarie si presta ad una gestione clientelare e malavitosa che può generare corruzione e disincanto dallo stesso partito. Un fenomeno non soltanto napoletano, com’è ovvio. A Torino, ad esempio, per il momento abbiamo assistito solo al “mercato” delle tessere per poter accedere alle primarie vere. I primi segnali, in vsiat del voto di febbraio, non sono granchè incoraggianti e la speranza concreta è quella di non assistere alle fila interminabili di potenziali votanti extracomunitari – con tutto il rispetto per gli extracomunitari ovviamente – oppure alla “conversione” improvvisa alle primarie di cittadini di centro destra che si sentono di parteggiare per qualche candidato. Alcune avvisaglie anche a Torino già si sentono. Speriamo che si fermino ai rumors. Lo verificheremo comunque fra un mese.
Ricordo questi elementi, però, per un semplice motivo: e cioè, non esiste una “caso meridionale” nelle primarie del Pd. Quando uno strumento tecnico non funziona, la degenerazione è comune in tutto il paese, seppur con accentuazioni e con modalità diverse.
Ora, si tratta di capire se all’interno del Pd prevale la linea degli ultrà e degli invasati delle primarie – che, paradossalmente, continua ad essere forte e consistente anche dopo l’ennesimo caso di Napoli – oppure se si fa largo il buon senso e la volontà di continuare a praticare questo strumento tecnico ma riformandolo profondamente. Sarei curioso, ad esempio, di conoscere quale potrebbe essere lo scenario che si verrebbe a creare con la celebrazione delle primarie per selezionare i candidati alla Camera e al Senato con l’attuale regolamento delle primarie. Credo che per alcune settimane gli unici organi che sarebbero intasati di denunce e di esposti sarebbero le procure della repubblica di ogni città italiana e, per fermarsi al Pd, gli organi di garanzia interni e le varie commissioni di probiviri. Ci troveremmo di fronte ad un malcostume dilagante con fiumi di denaro che scorrono spacciati, credo, come una grande pagina di partecipazione democratica e di freschezza organizzativa.
Insomma, ci troviamo ad un bivio decisivo: o si crede nelle primarie come dogma intoccabile, come atto costitutivo del Pd – come dice Parisi – che non si può mettere in discussione pena la fine dello stesso Pd, oppure si coltiva l’obiettivo di mantenerle ma attraverso una profonda rivisitazione regolamentare capace di rimuovere tutte le degenerazioni malavitose, clientelari ed affaristiche che si trascinano inesorabilmente dietro. E il seminario proposto da Bersani su questo tema è sicuramente positivo se punta a mantenere questo strumento modificandolo, però, nella sua concreta attuazione.
Un tema, questo, importante non solo per lo Statuto ma anche, e soprattutto, per il profilo politico del partito. Del resto, tutti sappiamo da sempre che il modello organizzativo di un partito non è un fatto puramente tecnico e regolamentare ma risponde a precisi requisiti politici e culturali. E le primarie, di conseguenza, rientrano a pieno titolo in questo ambito. Nessuno vuole abbattere le primarie. Solo la testardaggine e l’ottusità di chi ha un approccio fideistico e dogmatico può contribuire a renderle inutili perché irriformabili. E’ bene che, anche sullo Statuto e sulle regole, ritorni protagonista la politica e non l’astratta e virtuale politologia.