Il peggior risultato di sempre conseguito il 4 marzo scorso dallo schieramento riformatore, centrosinistra e sinistra, impone qualche considerazione di fondo circa la strategia e il progetto delle forze che costituiscono il campo alternativo al centrodestra.
Né per spiegare la storica débacle del Partito Democratico, né per il fallimento ancor prima di nascere di Liberi e Uguali ci si può fermare ad analisi di fattori pur importanti ma di superficie come la comunicazione o l'organizzazione. O il cattivo funzionamento della legge elettorale, peraltro imposta a colpi di maggioranza dallo stesso PD.
Lo si deve ammettere con franchezza: gli elettori hanno bocciato il progetto politico, il modo in cui questo progetto fondato su grandi valori ideali che continuano a essere largamente condivisi, è stato interpretato nel concreto negli ultimi anni. Hanno identificato le forze del campo riformatore, dal PD a LeU, dalla lista Bonino a quella della Lorenzin come responsabili di politiche che in questo decennio hanno aggravato la crisi economia che imperversa dal 2008, anziché alleviarne gli effetti e offrire delle risposte per superarla.
Dunque, se la causa principale della sconfitta è rappresentata da un problema di credibilità verso quelli che sono i ceti lavoratori e popolari che avvertono di essere tagliati fuori da flebili segnali di una ripresa che riguarda solo alcune nicchie e che non si trasforma in più lavoro e sviluppo per tutti, appare inutile cercare alibi. Bisogna affrontare la questione in termini stringenti. Se si è convinti che le politiche seguite dal governo Monti in poi, fino a Gentiloni, sono le uniche possibili, e che il loro abbandono comporterebbe problemi peggiori di quelli che già abbiamo, allora una classe politica responsabile ha il dovere di spiegarlo agli elettori. Se si tratta di una giusta causa, anche la sconfitta risulta meno amara: si è dato il sangue, elettoralmente parlando, per conseguire ciò di cui il Paese ha assoluto bisogno.
Ma se invece la sinistra, come parrebbe osservando la grave situazione economica e sociale in cui versa il Paese, si è dissanguata elettoralmente per obiettivi che hanno a che fare più con i grandi interessi economici e finanziari che con le necessità delle persone, poi non ci si può stupire se il popolo le volta le spalle.
I governi incentrati sul centrosinistra che si sono susseguiti dal 2011, hanno seguito pedissequamente una politica di austerità molto vantaggiosa per chi specula sui capitali e per le esportazioni tedesche, ma che precarizza e svaluta il lavoro, e che trasforma per il nostro Paese il debito pubblico da leva per lo sviluppo a fardello sempre più pesante, che costringe a tagliare il welfare e gli investimenti per il lavoro, producendo a sua volta ulteriore debito. Un circolo vizioso di cui i vincoli di bilancio imposti dall'UE non sono la soluzione bensì la causa più profonda. Vincoli che appaiono insensati dal punto di vista umano e senza una giustificabile ragione economica, perché l'austerità comandata da Berlino, ha inciso assai negativamente su un tessuto economico ancora forte come quello italiano, accentuando gli effetti della crisi, facendo aumentare povertà, disoccupazione, desertificazione industriale.
Se si vuole recuperare credibilità verso l'elettorato dopo la memorabile sconfitta del 4 marzo occorre ripartire dalla seguente domanda: è possibile un centrosinistra non più austeritario?
Credo che il primato della persona sulla moneta, delle esistenze concrete sui numeri di bilancio, della Costituzione repubblicana su qualsiasi altro ordinamento, non solo devono avere piena cittadinanza nel campo riformatore, ma devono costituire i cardini di un nuovo centrosinistra che torni a essere competitivo nelle urne perché di nuovo in sintonia con i cittadini. D'ora in poi occorrerà pensare a trovare forme organizzative e leader che, mettendo insieme quanti sono a favore di politiche economiche espansive, possano far sentire forte la loro presenza con l'obiettivo di cambiare il volto e il profilo programmatico al centrosinistra, per esaltarne quello ideale concretizzandolo in modo più coerente e convincente.
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