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Tempo di proposte forti

 
di Giuseppe Davicino
 

Temo che risulterebbe troppo comoda e superficiale una analisi sui nuovi orizzonti per l'impegno politico dei cattolici democratici che evidenziasse solo le ragioni del fallimento del progetto del Partito Democratico e la novità della nuova aggregazione "Liberi e uguali", guidata da Pietro Grasso.
In realtà la storia recente dell'intero schieramento riformatore in Italia è stata contrassegnata nelle sue svolte fondamentali non tanto dal confronto fra progetti, come ad esempio nel Regno Unito o negli Stati Uniti, dove Corbyn e Sanders significano qualcosa di profondamente diverso da Blair o dai Clinton, quanto piuttosto da un perenne stato di necessità.
Non a caso al tempo della nascita del PD si parlò di fusione a freddo fra Democratici di Sinistra e Margherita. Prevalsero le preoccupazioni contingenti, quelle dettate dai sondaggi, i tatticismi spesso meschini, il piccolo cabotaggio, al posto di una elaborazione programmatica all'altezza delle sfide di questo nuovo secolo.
Dopo la sconfitta al referendum costituzionale, la strategia di Renzi ha mirato a un ferreo controllo del PD più che alla ricostruzione del centrosinistra e ha definitivamente precluso, almeno in questa fase, ogni possibilità di confronto sulle questioni di fondo e di deciso cambio di profilo del campo riformatore. Parimenti occorre riconoscere con onestà che anche la composita area che si è ritrovata sotto la guida del presidente Grasso, facendo senz'altro, da quel punto di vista, la cosa più ragionevole che si potesse fare, al momento sembra dovere questa risoluzione più allo stato di necessità imposto dall'approssimarsi delle urne, che ad una comune convergenza su un nucleo di proposte-chiave capaci di cambiare il volto dell'intero schieramento riformatore.
 
Ma non esistono scorciatoie valide rispetto ad un tale percorso, se si intende puntare a recuperare un consenso che man mano è scivolato verso il Movimento 5 Stelle o verso l'astensione.
Le domande a cui cercare una risposta sono nel contempo semplici e molto complesse, e si possono condensare in una: fenomeni come la crescita del centrodestra e delle destre in Italia  e in Europa, la Brexit, l'elezione di Trump sono la causa o sono l'effetto della crisi economica, dell'aumento delle disuguaglianze, dell'instabilità internazionale attorno all'Europa?
Chi ritiene che ne siano prevalentemente l'effetto non può che cercare di imprimere un netto cambio di rotta alle politiche sin qui seguite anche, e forse soprattutto, dalle forze di centrosinistra.
 
In questa prospettiva i prossimi mesi che ci separano dal voto, appaiono interlocutori. Le forze divise del centrosinistra pensano soprattutto a salvare il salvabile, a ridurre le dimensioni della sconfitta e, in via subordinata di cui non fanno mistero, a raggranellare un consenso sufficiente al PD per un governo con Forza Italia, e a “Liberi e uguali” per un governo con il M5S.
Ma i nodi irrisolti si ripresenteranno tutti dopo il voto.
Allora si dovrà scegliere, per esempio, se si è favorevoli o contrari all'abolizione dell'obbligo del pareggio di bilancio dalla Costituzione; a politiche espansive per lo sviluppo, il lavoro, l'occupazione, il welfare che comportano necessariamente lo sforamento del vincolo del rapporto deficit/PIL del 3% e il superamento dell'impostazione ordoliberista tedesca; ai provvedimenti perequativi sul sistema pensionistico per garantirne la futura sostenibilità economica e sociale; all'abolizione della legge Fornero e agli automatismi sull'età pensionabile; alla revoca delle sanzioni alla Russia; al riconoscimento dei BRICS come attori con pari dignità sullo scacchiere globale, solo per citare alcune scelte qualificanti da cui passa la rinascita di un progetto politico democratico, popolare e sociale adeguato ai nostri tempi.
 
A questo obiettivo possono contribuire significativamente anche le tante esperienze in cui si articola il cattolicesimo democratico e sociale. Le parole di rottura con l'insostenibile – per la stragrande maggioranza della popolazione – ordine presente delle cose già le ha pronunciate papa Francesco, con coraggio e chiarezza e con una risonanza universale. Servono testimoni che sappiano incanalare la forza dirompente di tali parole in progetti concreti e fattibili. Sembra un paradosso, ma da qualche tempo quasi tutti i principali interventi sulla realtà sociale e civile del Paese dell'episcopato italiano o di singoli esponenti, come pure le conclusioni dell'ultima Settimana Sociale di Cagliari, oltre ad essere ispirate a valori che sono patrimonio comune non solo dei credenti ma che innervano la Costituzione e illuminano il comune sentire della Nazione, costituiscono degli appelli pressanti, quando non addirittura delle precise proposte a cambiare le cose.
Al di là dei tanti proclami sarebbe sufficiente che i cattolici impegnati in politica seguissero con originalità la lezione di laicità che viene dai loro Pastori.
È il tempo in cui i cattolici in politica sono significativi non se dicono che ci sono e con chi stanno, ma soprattutto se dicono cosa intendono fare e se poi fanno quello che dicono.



Giuseppe Ladetto - 2017-12-22
Sono d'accordo sulla necessità di imprimere un netto cambio di rotta alle politiche sin qui seguite da tutte le forze politiche. Dove andare? Una certa sinistra, affacciatasi recentemente alla ribalta nell'Occidente, (alla quale mi pare rapportarsi Giuseppe Davicino) ci dà indicazioni ispirate a una sorta di neokeynesismo e tese ad una più equa distribuzione dei frutti prodotti dallo sviluppo. Qui cominciano i dubbi e gli interrogativi. E' possibile per lo Stato continuare ad indebitarsi quando il debito accumulato è già enorme? Per Keynes, la spesa pubblica a debito è necessaria in fase recessiva per rilanciare l'economia, ma deve rientrare in fase espansiva. Non è quanto avviene ormai da molti decenni un po' ovunque. Inoltre, quella che viviamo è una semplice fase recessiva di un ciclo o una crisi strutturale di sistema? Tutto sembra indicare la seconda ipotesi per la quale non valgono le ricette keynesiane. Oggi, i pericoli maggiori per il pianeta sono le modificazioni climatiche di natura antropica e il disastro ambientale. Ricordo che, con i decantati accordi di Parigi, si fa solo un terzo di quanto necessario, sicché (ci dicono gli esperti) l'obiettivo di contenere l'aumento di temperatura entro i 2 gradi per la fine del secolo è già fallito e si corre verso i 3 gradi ed oltre. Come ha detto recentemente padre Longoni ad un convegno dell' Acli, non c'è alcun possibile “sviluppo sostenibile”, una formula usata da chi vuole continuare a percorre un cammino distruttivo. Sono accettabili politiche economiche volte a rilanciare i consumi in paesi che già sono i principali attori del consumismo? E' vero o non è vero che il modello di consumo occidentale, già insostenibile, sarebbe disastroso quando esteso ad oltre 7 miliardi di abitanti del pianeta (come ci ha detto più volte Luciano Gallino)? Eppure questo modello continua ad essere dominante ed ispira le politiche economiche dei paesi emergenti; inoltre, è la prima causa che muove crescenti masse di migranti verso quello che ritengono un paradiso in terra. Si può ridurre la distanza tra Nord e Sud del mondo in presenza di una ulteriore crescita dei paesi sviluppati? Certamente i progetti di Corbyn e Sanders sono profondamente diversi da quelli di Blair e di Clinton, che hanno prodotto un grave disagio sociale, ma non mi sembrano in grado di affrontare le principali cause di quella che è ormai una crisi planetaria che va ben oltre l'economia. Infatti i guasti attuali sono principalmente imputabili alle modalità operative ed alle finalità di quel turbocapitalismo che il mercato globale ha prodotto. E' qui che occorre cambiare rotta.
franco maletti - 2017-12-21
Mi sembra che, per fare un esempio, sul mondo del Lavoro (ed in generale sulla sua precarietà diffusa e permanente) le idee rimangono poco chiare. Forse perchè manca una conoscenza a 360 gradi della situazione, per quanto riguarda il Lavoro nessuna decisone presa fino ad oggi può modificare la situazione (quando addirittura non la peggiora). Forse questo spiega perché il PD, al suo inizio di campagna elettorale, ignorando la "sezione Lavoro", faccia un elenco dei suoi successi in questa legislatura che, anche se sono indubbiamente validi sul piano civile, sicuramente non hanno inciso ad invertire il vento della crisi. Silenzio, quindi, per quanto riguarda gli "strabilianti" interventi sul Lavoro. Tardiva coda di paglia? Vedremo. Ritenendo che, soprattutto in tema Lavoro, Liberi e Uguali avesse le idee più chiare, ho letto il suo programma elettorale. Premesso che in tema Lavoro non ci vuole molto ad essere migliori del PD renziano, in questo programma si trovano vecchi stereotipi che rischiano di portare a conclusione (e proposte) devianti. Sarà perchè a certe strutture dell'elettorato storicamente di sinistra non conviene ricordare le loro amnesie ed i loro errori, ma non trovo proposte "forti" e convincenti di cambiamento salvo quella del ritorno ad un rassicurante quanto illusorio passato. Ecco, come cattolico posso dire, inascoltato, di esserci. Per quanto riguarda il "con chi stare" direi che, al momento, la risposta è: "Con nessuno".
Riccardo Falcetta - 2017-12-21
Fa piacere trovarsi d'accordo con un cattolico democratico da ateo ed agnostico quale sono. A dimostrazione del fatto che, quando si parla di fatti concreti e tra persone ragionevoli,### si può fare quasi tutto.
Carlo Baviera - 2017-12-21
Lo scritto "Chomsky e la piovra liberista" - di Aldo Novellini su queste pagine, indica chiaramente qual è il senso e l'indirizzo del percorso che i "popolari" devono assumere con coraggio: sconfiggere il disegno egemonico che tende a ridurre gli spazi democratici, di partecipazione, e di socialità/welfare/diritti conquistrati dal dopoguerra. Cose in linea con quanto dice Giuseppe riguardo alle scelte da compiere dopo le elezioni (e perciò già nei programmi elettorali e nelle alleanze da prefigurare). Aggiungo anche la necessità di rivedere e ridiscutere da capo il progetto di Unità Europea, di Federazione Europea. Perchè non è possibile costruire un nuovo Stato (chiamiamolo così) più grande mettendo insieme concezioni diversi dei diritti, della democrazia, dell'antifascismo e della'antirazzismo troppo diversi, contrastanti tra loro. Il pluralismo e il rispetto delle diverse culture è una cosa, il non tener conto che l'Europa del dopoguerra non deve e non può più tornare su mentalità, modi di ragionare e comportarsi, modalità di gestione del potere e di tutela dei diritti che ci siamo (o che avvremmo dovuto) ormai lasciarci alle spalle è invece un'altra cosa. Dobbiamo certamente aiutare e collaborare con i Paesi dell'Europa dell'Est che si sono liberati dal comunismo, ma come è possibile essere un'unica entità federale se si hanno sentimenti e valori opposti (vedi le recenti misure in Polonia o Ungheria, ecc. oppure le scandalose proposte di doppio passaporto dell'Austria)