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Il nuovo bipolarismo

 
di Alessandro Risso
 

Le recenti elezioni in Sicilia hanno confermato quello che sapevamo da tempo: "Continuando così vincerà la destra". Proprio questo titolo avevamo dato alla relazione di Guido Bodrato sulla situazione politica dopo le amministrative di giugno. Ma da molto tempo prima siamo consapevoli che la deriva populista, chiunque ne siano gli interpreti - la destra di Salvini o gli ambigui 5 Stelle o il renzismo di lotta e governo -, alla fine, inesorabilmente, vira verso destra.
 
Così la variegata coalizione rimessa insieme dal redivivo Berlusconi sta confermandosi in grado di ottenere la maggioranza alle prossime elezioni politiche. Senza particolari meriti, ovviamente, in una sorta di sorpasso al rallentatore. Perché l'unico partito che fa grandi passi avanti è quello dell'astensione, salita al 54% in Sicilia e addirittura al 64% nelle contemporanee elezioni per il Municipio di Ostia.
Riteniamo questa tendenza il più inquietante risultato della lunga crisi politica italiana.
Ma il sistema dei partiti non se ne cura: anche se l’elettorato si riducesse ancora, scendendo sotto il 30%, o anche toccando il 20, ciò che sembra contare per la politica autoreferenziale è solo la percentuale avuta, con il corredo di seggi. Non capiscono che è una vittoria di Pirro quella ottenuta nel mare del discredito e della disillusione.
 
Le ultime elezioni hanno poi confermato il continuo calo di consensi al partito di Renzi. Dato che i numeri di Ostia sono piccoli, e che possiamo considerare le elezioni nel Municipio del litorale romano fortemente condizionate dall’arresto e dalla condanna a 5 anni nel processo di “Mafia Capitale” dell’ultimo presidente del PD, guardiamo solo ai risultati siciliani. Nelle elezioni europee del 2014 – quelle del celebre 41%, entrato nel mito grazie alla narrazione renziana – in Sicilia i democratici ottennero il 33% grazie a 573.000 voti. Pochi giorni fa i consensi al loro candidato Micari, sostenuto anche da socialisti, alfaniani e una lista civica, sono scesi a 388.000. E il simbolo del PD è stato votato da 250.000 persone. In quattro anni sono quindi “evaporati” 323.000 voti.
Questa débacle si aggiunge alle Amministrative del 2017, che seguono quelle del 2016, che seguono le regionali del 2015, in un calando di consensi che stride di fronte ai mirabolanti risultati dei tre abbondanti anni di governo raccontati da Matteo Renzi. Si potrebbe dire che di tutte le rottamazioni solo quella del centrosinistra gli è riuscita benissimo.
Il leader del PD prova ora a invertire la tendenza cercando di rimettere insieme – tardivamente e con poca convinzione – i cocci di rapporti politici che ha deliberatamente snobbato per anni, nel tentativo di mantenere il centrosinistra in corsa alle elezioni di primavera: “Valiamo più del 30%” dice ripetutamente ai suoi per riaccendere passati entusiasmi. Ma i sondaggi più benevoli non superano il 25%, e le proiezioni sui seggi uninominali parlano di intere regioni in cui i democratici non riescono a vincere in un solo collegio.
 
Insomma, se fino a qualche mese fa si parlava dell’Italia come di un Paese “tripolare”, con tre forze politiche equivalenti, oggi si delinea la tendenza a un nuovo bipolarismo, con protagonisti il centrodestra e i 5 Stelle. Gli indizi vanno tutti in quella direzione: il risultato delle elezioni siciliane, il ballottaggio di Ostia, le dichiarazioni di Berlusconi da settimane orientate contro il Movimento di Grillo e contro il candidato premier Di Maio in particolare. Ringalluzzito da sondaggi concordi nell’accreditare alla coalizione con Salvini, Meloni e centristi che fiutano il vento oltre il 35% delle intenzioni di voto, il “caimano” considera evidentemente Renzi fuori dai giochi e vede nei grillini – i nuovi “comunisti” – il nemico da battere.
 
Si può cogliere una logica in questo neo bipolarismo emergente.
L’elettorato si muove seguendo dinamiche che hanno sempre un senso, anche semplicistico ma lineare. Nel 2014 alle Europee premiò con il 41% la novità Renzi, che prometteva di essere qualcosa di meglio rispetto alle macerie del berlusconismo e alle inconcludenti urla di Grillo, incapace di assumersi una qualunque responsabilità di governo come aveva dimostrato dalla porta chiusa in faccia a Bersani. Poi Renzi ha sconcertato gran parte del suo elettorato, rivelandosi nell’azione di governo molto più interessato a rassicurare i poteri forti e recuperare voti tra le sbandate truppe berlusconiane piuttosto che a riformare le storture del sistema con provvedimenti ispirati da eguaglianza ed equità sociale. L’abolizione dell’IMU sulle prime case e dell’articolo 18, l’innalzamento del contante a 3000 euro per ammiccare agli evasori, gli interventi sulla scuola che hanno superato la Gelmini, il tentativo di modificare la Costituzione in senso autoritario e centralista, il riuscito blitz del Rosatellum per mantenere i nominati dopo aver fallito con l’Italicum, sono tutti passaggi che hanno snaturato il Partito Democratico, trasformatosi da partito plurale a partito del capo, in una sorta di Forza Italia 2.0.
Ciò ha significato negli ultimi tre anni perdita di elettorato e di classe dirigente, a livello periferico e centrale. La classe dirigente è stata facilmente sostituita da fedeli e convertiti alla linea. Ma i voti persi non sono stati sostituiti, se non in minima parte, dai berlusconiani delusi.
 
Intanto, ciò che più conta, sono aumentate le povertà e si è ampliata ancora la forbice della ricchezza. La società, fiaccata dalla lunga crisi, si sta radicalizzando sempre più.
Così chi vuole conservare lo statu quo, per paura del nuovo o per difendere privilegi che ancora il sistema garantisce a varie categorie, pur con sempre maggiori difficoltà, vota il centrodestra. Perché preferisce l’originale, Berlusconi. Non la copia, Renzi.
Chi vuole invece dare il giro al sistema, vota 5 Stelle.
Ecco spiegato, semplice semplice, il nuovo bipolarismo italiano.
 
A ben vedere ci sarebbe da considerare un terzo polo in ascesa: quello di chi vuole cambiare ma giudica ambigui e incapaci i grillini, e finisce per non andare a votare. In questo ampio bacino dovrebbero cercare di far breccia le forze che per comodità vengono collocate a sinistra del PD, un variegato mondo in cerca di una faticosa unità d’intenti. Merita parlarne, ma richiederebbe un certo spazio. Rimando a un prossimo articolo.
 


Giuseppe Ladetto - 2017-12-01
Concordo con Alessandro che l'elevato astensionismo sia un sintomo evidente di un sistema politico istituzionale malato, ma non che esso sia “l'inquietante risultato della lunga crisi politica italiana”. Certo su questa tesi, si ritrovano anche i media di casa nostra: infatti, si sono soffermati sull'argomento in occasione delle elezioni tenutesi in questi ultimi tempi (dall'Emilia Romagna alla Sicilia ed alla circoscrizione di Ostia), riportando analisi con indicazione di specifiche responsabilità di questa o quella parte politica. Tuttavia gli stessi media, in occasione della recente rielezione di De Blasio a sindaco di New York, hanno sorvolato sull'argomento, e molti di tali media hanno preferito dedicarsi ad esaltare il successo del candidato, esponente della parte più “avanzata” del partito democratico. Ora è bene sapere che De Blasio nel 2013 è stato eletto in presenza di un astensionismo del 76%, un astensionismo giunto quest'anno, nella recente elezione, al 79%: in pratica ha votato 1/5 degli aventi diritto al voto. E non si tratta di un caso isolato perché, negli Usa, tali percentuali di astensionismo riguardano un po' tutti gli appuntamenti elettorali. E' questa la “grande democrazia americana”, osannata in Italia dall'establishment politico mediatico (a cui si è aggiunto ora anche Di Maio). Se fosse vero che l'America, come paese leader, anticipa gli eventi, vorrebbe dire che siamo giunti al capolinea della liberaldemocrazia.
Giorgio Merlo - 2017-12-01
Bella analisi. Del resto, dopo la "rottura" politica nel Pd è del tutto evidente che il centro sinistra è arrivato, seppur momentaneamente al capolinea. Fuorchè si pensi, curiosamente, che il "Pdr", cioè il partito di Renzi, rappresenti il centro sinistra.
giuseppe cicoria - 2017-11-30
Concordo su questa puntuale analisi. Credo che l'unica cosa buona è stata l'eliminazione dell'IMU sulla prima casa. Si tratta di una tassa patrimoniale assurda che prevede, in caso di mancanza di liquidità la vendita "parziale " dell'immobile dove si vive. Giusto il pagamento sulle dimore lussuose quali castelli o casali di lusso.
Massimo Canova - 2017-11-29
Bella, lucida e condivisibile analisi. Aspetto il secondo articolo!