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Coalizione a intermittenza?

 
di Giorgio Merlo
 

Per lunghi quattro anni ci è stato spiegato che qualunque cosa rievocasse le vecchie coalizioni e le tradizionali alleanze, era semplicemente da archiviare. O, peggio ancora, da rinnegare. Così era per l'Ulivo e, a maggior ragione, per l'Unione. Nel PD si esaltava la cosiddetta "vocazione maggioritaria", si perseguiva l'autosufficienza politica ed elettorale del partito, ridicolizzando prospettive di alleanze o coalizioni.
Ora, varata la legge che impone, seppur solo per un terzo della futura rappresentanza parlamentare, la logica di coalizione, c'è un sospetto affrettarsi a sottolineare la necessità di stringere accordi con tutti i partiti e i movimenti che anche solo vagamente si richiamano al centrosinistra. Il che è indubbiamente positivo e incoraggiante soprattutto per coloro, come il sottoscritto e moltissimi altri, che da sempre sostengono la necessità di costruire le alleanze per governare il Paese. Una regola che vale per il livello locale come per quello nazionale. Soprattutto in Italia, dove la politica è sempre stata "politica delle alleanze". Una regola che si impone non solo per rispettare la tradizione storica italiana, ma perché nel promuovere la coalizione c'è il riconoscimento del pluralismo che caratterizza le società avanzate come la nostra.

Adesso, però, dobbiamo capire se si tratta di un puro accorgimento tattico oppure se risponde a un progetto politico che viene perseguito al di là della necessità momentanea. Perché è evidente che dopo aver demolito scientificamente e per anni la "cultura della coalizione", riproporla di colpo all'indomani di un sistema elettorale che la prevede quasi per legge – se si vuol concorrere per vincere – rischia di essere un'operazione poco credibile. In questo contesto è quasi surreale leggere interviste a esponenti di primo piano del PD, come ad esempio l'ex sindaco di Torino Fassino, che sostengono candidamente la necessità non più eludibile di ricostruire immediatamente la "nuova coalizione" di centrosinistra. Dichiarazioni vagamente grottesche alla luce di ciò che si è sostenuto per svariati anni.

Ma, al di là di queste capriole politiche, quello che adesso conta veramente è verificare se c'é concretamente la volontà di ricostruire un'alleanza di centrosinistra in grado di competere con il centrodestra e l'avventurismo dei 5 Stelle. Oppure se, al di là della propaganda di facciata, si persegue la linea tradizionale di puntare tutto sull'autosufficienza politica ed elettorale del PD e la conseguente "vocazione maggioritaria" del partito.

Certo, per centrare l'obiettivo della coalizione è indispensabile superare definitivamente quella prassi che in questi ultimi tempi ha caratterizzato il triste panorama del centrosinistra italiano: rancori e risentimenti personali, vendette da consumare, vigliaccate varie. Perché gli italiani, oggi, associano questo spettacolo al centrosinistra.

Se si riesce ad accantonare e a rimuovere questa degenerazione che purtroppo ha coinvolto gli attori principali di questo campo per svariati motivi – di cui la scissione con MDP non è stato che l'ultimo atto – forse sarà possibile mettere in campo un'alternativa politica, culturale e programmatica al centrodestra. Se, invece, dovessero permanere pregiudiziali personali e veti su singoli leader di entrambe le parti in questione, sarebbe più onesto intellettualmente prendere atto che ogni ipotesi di ridare fiato e speranza a un'alleanza di centrosinistra è sostanzialmente improponibile.
Certo, di fronte ad un epilogo del genere sarebbe quanto mai arduo sostenere che il centrosinistra è stato sconfitto. Perché, nello specifico, la sconfitta elettorale sarebbe stata un'operazione politica perseguita e pianificata dagli stessi attori politici che dovevano ricostruire una speranza per il futuro del riformismo nel nostro Paese.