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Occorre un reddito minimo garantito

 
di Carlo Dell'Aringa
 

Il professor Carlo Dell’Aringa, docente emerito di Economia Politica alla Cattolica di Milano, sottosegretario al Lavoro e alle Politiche sociali nel Governo Letta, deputato PD dal 2013, esperto di mercato del lavoro e di formazione professionale, ha risposto al questionario collegato al seminario “Se manca il lavoro…", organizzato dai Popolari piemontesi per comprendere i possibili sviluppi di una società in cui non c’è più lavoro per tutti.
1.      In Italia e in tutto l’Occidente non ci sarà più lavoro per tutti. Parliamo di un lavoro continuativo e retribuito in misura tale da permettere a ciascuno una progettualità di vita. Due le cause della carenza di lavoro: l’automazione crescente dei processi produttivi, come aveva previsto Rifkin – e prima di lui Keynes – e la crescita economica dei Paesi emergenti, che riducono la fetta di ricchezza mondiale dei Paesi ricchi. È d’accordo con questa affermazione preliminare?
Non sono molto d’accordo. Non ci sono né teorie né evidenze empiriche che dimostrino in modo convincente che il progresso tecnico distruggerà più posti di lavoro di quanti non ne creerà di aggiuntivi. Le precedenti rivoluzioni industriali ne hanno distrutti ma ne hanno anche creati. Ci saranno certamente importanti ristrutturazioni nelle aziende e nei settori produttivi che richiederanno mobilità e riallocazione dei fattori produttivi. Vi saranno poi effetti rilevanti sulla vita di tutti i giorni.
2.      Non pensa che l’Occidente debba cominciare a fare i conti con una sua inevitabile decrescita? Più o meno “felice”, ma almeno equilibrata.
Non si vedono segnali chiari di decrescita. La produttività, proprio grazie al progresso tecnico continuerà ad aumentare. 
3.      Anche se il PIL dell’Occidente dovesse mantenersi – come sta facendo – agli stessi livelli, è innegabile che la distribuzione della ricchezza risulta sempre più diseguale. Come intervenire su tale grave squilibrio sociale, tenendo conto che è soprattutto il ceto medio che si sta impoverendo, in Europa come negli USA?
Problemi di redistribuzione del reddito sono in corso da molto tempo soprattutto negli Stati Uniti. Le misure correttive sono: aumenti del salario minimo, più ruolo alla contrattazione collettiva e welfare redistributivo.
4.      L’Italia, rispetto ad altri Paesi europei, sembra avere squilibri di reddito più marcati. Come si potrebbe intervenire, con la fiscalità o con provvedimenti sul sistema pensionistico, per ottenere maggiore giustizia sociale? Il mantenimento del principio dei  diritti acquisiti è giustificabile in una situazione di crisi, in particolare di crescente disoccupazione giovanile?
Per certi aspetti l’Italia non soffre sul piano della distribuzione del reddito. Ad esempio la quota del lavoro nel reddito nazionale (al netto delle rendite immobiliari) è nel lungo periodo stabile, sia pure con forti oscillazioni (dati Banca d’Italia). Il nostro Paese ha invece una elevata diseguaglianza dei redditi individuali e familiari, soprattutto a causa dei divari territoriali del reddito. La povertà assoluta è aumentata soprattutto per effetto della crisi di questi ultimi anni. Occorre un reddito minimo garantito e una maggiore progressività della tassazione. Ridurre le pensioni in essere ha controindicazioni giuridiche e politiche tali da non essere consigliabile (a parte agire con contributi di solidarietà sulle pensioni molto alte).
5.      Torniamo al lavoro che manca. Quello che c’è, può venire ridistribuito? Ridurre l’orario e trasformare gli straordinari in nuovi occupati è possibile?
L’orario si può ridurre in determinate circostanze, quando si può ragionevolmente pensare che si può ottenere più occupazione (o si può contenerne le riduzioni). Una riduzione dell’orario di tipo generalizzato non va bene, né per l’occupazione, né per la produttività, né per i salari.
6.      Semplificare le norme e ridurre il costo del lavoro potrebbe creare nuova occupazione? O almeno servirebbe a mantenere il lavoro che c’è, agevolando chi intraprende?
Ridurre strutturalmente il cuneo fiscale è utile per recuperare competitività (che abbiamo perso). Ridurlo per i contratti a tempo indeterminato incentiva il lavoro stabile.
7.      Si insiste tanto sulla formazione, intesa soprattutto come preparazione alla flessibilità nelle competenze e capacità di apprendimento continuo. Ma come programmare i contenuti della formazione per un mondo del lavoro in rapidissima evoluzione?
Importante è la formazione “on the job” soprattutto per i giovani che hanno difficoltà a trovare lavoro proprio perché privi di esperienza. Si tratta di un circuito vizioso da cui si esce inserendo esperienze di lavoro nel percorso di istruzione e formazione. Apprendistato di primo livello e alternanza scuola-lavoro sono gli strumenti giusti per colmare questo “gap”.
8.      Infine, se manca il lavoro, posto dalla Costituzione a fondamento della Repubblica, su cosa baseremo la nostra civile convivenza? L’adozione di un “reddito di cittadinanza” potrebbe essere un’idea valida? Ma lo ritiene economicamente sostenibile?
Quasi nessun Paese è in grado di sostenere i costi di un reddito di cittadinanza. Altra cosa è un reddito minimo garantito, condizionato ai mezzi e condizionato alla disponibilità, da parte del beneficiario, di essere recuperato sul piano sociale e produttivo. Dobbiamo realizzarlo anche in Italia.