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Ri-voucher (con la solita incompetenza)

 
di Franco Maletti
 

Alla voce “lavoro accessorio" su Wikipedia, si trova una esaustiva sintesi su significato e uso dei voucher in Italia. Della parte che denuncia i diversi profili di irregolarità sull’uso dei voucher, mi limito a riportare l’ultima, quella dal titolo Criticità della remunerazione oraria:
“Un altro profilo di criticità riguarda l’ammontare della remunerazione oraria del lavoro accessorio. Il taglio fisso dei buoni lavoro rappresenta il livello minimo del valore di remunerazione reso possibile dal sistema. Tuttavia, le norme di legge e regolamentari non stabiliscono una soglia minima di prestazione oraria a cui ancorare la corresponsione di un singolo buono, fatta eccezione per il settore agricolo. In questo modo, la normativa lascia aperta la possibilità che un solo buono possa essere utilizzato per remunerare più ore di lavoro, facendo scendere la retribuzione oraria a livelli molto bassi. Al fine di contrastare tale abuso, impedendo forme di ‘negoziazione’ e di ‘svalutazione’della prestazione oraria, la legge di riforma Fornero (L. 2 giugno 2012, n. 92), era intervenuta a regolarne l’utilizzo prevedendo l’emissione di un atto regolamentare che fissasse i valori minimi del compenso orario per ciascuna categoria. A tale previsione, tuttavia, è seguita l’inerzia del Ministero che non ha emanato il decreto per colmare la riserva regolamentare: ne risulta che, con la sola eccezione del settore agricolo, rimane impregiudicata la discrezionalità delle parti nel quantificare la remunerazione oraria tramite buoni lavoro”.
Quindi, riepilogando: la Fornero dispone che il valore nominale orario debba essere fissato con decreto del Ministero del Lavoro, “tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali”. Ma, a tutt’oggi, non c’è mai stato confronto e non c’è mai stato decreto (tranne che per il solo settore agricolo). Viene logico allora domandarsi perché, nei correttivi del 2016, solo per il settore agricolo ed in base ad una sua particolare peculiarità, si specifica che il voucher “corrisponde all’importo della retribuzione oraria delle prestazioni di lavoro subordinato previsto dal CCNL di settore”. Un “omaggio” a questa categoria voluto dal ministro Poletti? O forse perché con le altre categorie di lavoro era necessario un “confronto con le parti sociali” (i sindacati) che il governo Renzi, prima, e Gentiloni, oggi, non vuole avere? Oppure perché questa situazione è voluta, un po’ per ignoranza e un po’ per scelta, senza tenere conto dei suoi effetti destabilizzanti nel mondo del lavoro, e in particolare sui giovani? Mistero.
 
Eppure, gli interventi correttivi alla distorsione sull’uso dei voucher non sono impossibili.
Partendo dal principio sancito (per non scomodare la Costituzione all’art.36) anche dai CCNL, che prevedono una retribuzione per il lavoratore proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro a parità di mansioni svolte, sarebbe sufficiente pretendere dal datore di lavoro la indicazione preventiva di quale CCNL viene applicato ai suoi dipendenti e a quale mansione verrà adibito il lavoratore pagato a voucher. Da qui a stabilire l’esatta retribuzione oraria spettante non è poi così difficile: basta il conteggio di un tecnico! Sta però qui il vero problema: il risultato sarebbe sgradito al datore di lavoro, e lo indurrebbe ad abbandonare i voucher come forma di pagamento.
Vi spiego il perché prendendo come esempio pratico uno dei contratti più diffusi, il contratto del commercio.
Premessa. In tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro, in presenza di un rapporto di lavoro continuativo, sia a tempo determinato che indeterminato, la retribuzione oraria si ottiene dividendo i valori mensili della retribuzione per un coefficiente stabilito dal contratto stesso (che può essere 168, 170, 173, 175). Per il commercio il divisore è 168.
Ma se si vuole calcolare il valore effettivo di un’ora di lavoro, allora bisogna tenere conto di tutti quegli elementi del contratto che hanno un effetto retributivo indiretto e che vanno calcolati su base annua. Questa procedura, che si chiama di “armonizzazione retributiva”, un po’ complessa ma proprio per questo molto precisa, viene usata anche quando un’Azienda passa, per i suoi dipendenti, dall’applicazione di un CCNL ad un altro (ad esempio dal contratto dei metalmeccanici a quello del commercio). Infatti, la legge stabilisce che, in costanza di rapporto di lavoro, un lavoratore che passa ad altro contratto non ci deve perdere economicamente: per cui va fatto il ricalcolo (su base annua!) e le eventuali eccedenze risultano come un super minimo.
Questo principio non si vede perché non dovrebbe valere anche per un lavoratore pagato col voucher. Insomma, il suo compenso non deve essere inferiore a quello di un altro lavoratore dell’azienda che svolge le stesse mansioni. Diversamente, per il datore di lavoro l’uso del voucher sarebbe così conveniente da indurlo a non fare più assunzioni: da una parte i lavoratori “sicuri”, quelli senza i quali l’attività imprenditoriale non avrebbe ragione di esistere, e dall’altra un “serbatoio” dal quale attingere, a bassissimo costo, di lavoratori giovani, volenterosi, desiderosi di emergere, spesso molto più acculturati e rapidi nel capire le cose. E, soprattutto, del tipo “usa e getta”...
Tornando al nostro CCNL del commercio, oltre alla normale retribuzione mensile, su base annua il lavoratore è fruitore anche di tredicesima e quattordicesima mensilità, un mese di ferie pagate, festività infrasettimanali non lavorate e pagate, TFR pari all’ammontare della retribuzione annua diviso 13,5: tutto questo porta a una levitazione del valore della paga oraria di quasi il cinquanta per cento.
In conclusione, quindi, per stabilire il costo corretto di un’ora di lavoro, dopo avere chiarito in base alle mansioni assegnate l’inquadramento corrispondente, bisogna sommare alle 12 mensilità tutti gli elementi aggiuntivi compresi nell’anno. Ottenuto il totale, va diviso per 12 (base mensile) e poi per 168, ricavando così l’esatto valore di un’ora di lavoro.
Avremo ottenuto con precisione la somma che dovrebbe essere pagata tramite voucher per ogni ora di lavoro accessorio: l’importo sarà variabile, ma superiore a un voucher da 10 euro lordi.
 
A questo punto, come definire in questi ultimi anni il non operato del ministro del Lavoro su questo tema, nonostante le precise indicazioni contenute nella legge Fornero del 2012? Come interpretare le esultanze di Poletti che, di fronte all’aumento esponenziale dei voucher, considerava tutto questo come “emersione del lavoro nero” e “il segnale inequivocabile che in Italia c’è la ripresa produttiva”?
Ignoranza o malafede? O la solita “furbizia” italiana che avvantaggia i disonesti e contribuisce alla perdita di credibilità della politica? O la presa in giro di un’intera generazione di giovani ai quali si insegna da subito che, anche nel lavoro, si è quasi sempre “legalmente” vittime di ladri e di profittatori?
Tre milioni di firme raccolte per un referendum contro l’uso distorto dei voucher hanno prodotto nel governo la decisone rapida di abolire i voucher tout-court: soltanto per evitare le urne. Ora, nel timore che il lavoro nero dilaghi in assenza di una normativa più di quanto sta già avvenendo, si sta lavorando per la riproposizione dei voucher, ma si intravede la stessa arrogante incompetenza…
Una domanda, retorica, al signor Ministro e al Governo tutto: quale idea può farsi del mondo del lavoro un giovane trattato e ri-trattato in questo modo? E cosa può pensare un normale cittadino?