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Dal referendum alle primarie: poco di nuovo

 
di Alessandro Risso
 

Sono passati cinque mesi dal referendum che ha bocciato la riforma costituzionale del governo Renzi. Molto è cambiato, se mettiamo in fila i tanti avvenimenti politici successivi. Quasi nulla è cambiato, se andiamo alla sostanza delle cose. Più che nell’oceano di tweet e dichiarazioni della quotidianità politica, la sostanza va cercata negli avvenimenti che rimarranno nei libri di storia. Come il referendum, appunto.
A bocce ferme, lontani nel tempo dalle passioni che hanno animato il dibattito referendario, possiamo leggere con distacco il risultato e coglierne le indicazioni sostanziali. Anche per orientarci nel presente.
 
Il dato più rilevante, e sorprendente, è stato l’alta partecipazione popolare. Gli ultimi sondaggi parlavano di un astensionismo superiore al 40%. Il fatto che l’affluenza ai seggi abbia sfiorato il 70%, con sorpresa di tutti gli osservatori, è significativo della voglia di contare espressa dai cittadini. “Democrazia è partecipazione”, cantava Giorgio Gaber, e l’elettorato lo ha ribadito con forza. Aver invertito il desolante trend in ascesa dell’astensionismo e della sfiducia – all’insegna del “sono tutti uguali” – è stata la vittoria più bella per tutti i democratici.
Anche il risultato netto a favore del No, è andato oltre qualunque previsione. Certamente il 60% che ha bocciato la riforma non lo ha fatto per salvare il CNEL o per blindare il bicameralismo paritario: il referendum si è trasformato per molti in una sorta di giudizio finale su Renzi e il suo governo. Molti quanti? Un sondaggio post-voto ha stabilito che 2 elettori su 3 hanno votato No contro Renzi, mentre il 33% ha dichiarato di aver valutato e bocciato nel merito la riforma. Si tratta di circa 6 milioni e mezzo di votanti, non ascrivibili all’elettorato “schierato” dei partiti di opposizione, e solo in piccola parte rappresentati dai partiti a sinistra del PD.
 
Ricordando il dibattito referendario, sarebbe poi utile tenere a mente alcune chicche. La legge di bilancio a fine anno è stata approvata in soli due giorni: dove sono finiti la lentezza dell’iter amministrativo, gli eterni rimpalli tra Camera e Senato? E ricordiamo gli scenari catastrofici in caso di vittoria del NO? I crolli in Borsa, l’impennata dello spread? La settimana del dopo referendum ha visto un recupero dei listini superiore al 10%. Non si può dire che sia merito della vittoria del No, ma certamente la bocciatura del referendum (e del governo) non ha influito per nulla sulle dinamiche dei mercati, come affermavano, con un po’ di autolesionismo, tanti interessati profeti di sventura.
La trasformazione del referendum in un plebiscito sul premier, con risultato inequivocabile, è stata voluta dallo stesso Renzi, che si è speso in una frenetica campagna elettorale incentrata sulla sua persona, debordante da tutti i canali televisivi, radiofonici, web, compattamente schierati sul fronte governativo. La RAI  è riuscita a ricordare le reti Mediaset ai tempi dei governi Berlusconi. Il risultato certifica che il ruolo delle televisioni non è più decisivo, analogamente a quanto è successo negli USA con Trump. Va però rimarcato che il 70% degli under 30 ha votato No: il premier più vicino ai giovani, per età e per l’intenso utilizzo dei “social media”, è stato da loro bocciato sonoramente. E il No, che ha vinto in ogni fascia di scolarizzazione, tra i laureati ha raggiunto il 70%.
Quindi la riforma, presentata come lo strumento fondamentale per cambiare l’Italia, è stata votata dai più anziani, dai cittadini a più basso livello di istruzione, e dai redditi alti: i conservatori, di fatto. Con il paradosso che chi seguiva lo slogan del cambiamento preferiva conservare lo status quo; mentre chi ha votato per mantenere com’è la Costituzione lo ha fatto sperando di cambiare davvero. Tanti, che fossero per il Sì o per il No, hanno intravisto nella riforma di Renzi la logica del Gattopardo, “cambiare tutto per non cambiare niente”.  
 
Un po’ gattopardesco è stato anche il cambio di governo dopo le dimissioni del premier sconfitto: con Gentiloni primo ministro si è però mantenuto il governo Renzi senza Renzi, passato nel ruolo di azionista di maggioranza. Che però, lontano dai riflettori, gli sta un po’ stretto. Per riprendere quota e riprendersi il ruolo, ha rimesso in palio la leadership del PD, dove è mancato quel profondo esame di coscienza che il clamoroso risultato referendario avrebbe imposto. Il partito aveva già modificato il suo DNA, con l’irreversibile trasformazione nel comitato elettorale del proprio leader. La fuoriuscita di Bersani & C. – tardiva per alcuni, precipitosa per altri – ha reso ancora più evidente la mutazione del PD.
Il percorso delle primarie è stato agevole: le uniche fibrillazioni per Renzi sono arrivate dall’inchiesta che ha coinvolto suo padre e il fido Lotti, vicenda da chiarire che non ha influito sulla vittoria a mani basse, prima nei Circoli e il 30 aprile nei gazebo, con Orlando ed Emiliano nel ruolo di utili comparse.
 
Da Renzi a Renzi, quindi. Ma i numeri dicono che il Renzi 2 è più debole per la riduzione secca di un terzo degli iscritti, di un terzo del “popolo delle primarie”, di un terzo degli elettori che lo hanno scelto. Senza il vento in poppa di 4 anni fa, culminato con il 41% alle Europee; con le scorie e la delusione lasciate da una esperienza di governo che nei risultati concreti non ha corrisposto alla mirabolante narrazione del leader fiorentino.
Per non logorarsi restando in panchina, Renzi punta a elezioni anticipate, ma deve fare i conti non tanto con la comprensibile resistenza di Gentiloni, quanto con la volontà del Presidente della Repubblica di portare a compimento la legislatura senza traumi.
Mattarella  ha ribadito che occorre una legge elettorale armonizzata tra Camera e Senato. Aspettiamoci qualche aggiustamento sulle soglie di sbarramento, ma niente di più. I capilista bloccati, scelti cioè dai capi-partito piacciono troppo (e neanche la Consulta ha voluto mettersi di traverso su questo aspetto). Così il proporzionale condurrà per inerzia il PD renziano all’abbraccio con Forza Italia nel nome della governabilità. Il Partito della Nazione era una seria prospettiva lo scorso autunno, e ancora oggi rimane l’approdo più realistico del quadro politico. Nulla di nuovo.
La costruzione del centrosinistra – che sarebbe alternativo ai populismi se animato da un sincero slancio riformista, all’insegna della giustizia sociale, per cambiare in meglio il Paese – non pare più nelle corde del PD. Il Partito dell’Ulivo si è geneticamente trasformato nel PdR, il partito di Renzi. Ma anche questa non è una novità.


Carlo Baviera - 2017-05-08
Concordo, sostanzialmente con Alessandro. Capisco che non si possa più andare avanti con ostruzioni e sgambetti (da parte di partitini minori o correnti personali) a chi guida il Partito di maggioranza o il Governo (quando hanno il consenso elettorale o l'investitura delle primarie); ma chi dissente o non condivide in toto le riforme proposte, le leggi sociali o economiche deve sentirsi davanti al "prendere o lasciare", appoggiare partiti avversi (di cui non si condivide nulla), oppure esiste in un partito democratico e popolare e nel Paese la possibilità di esprimersi, senza essere giudicato traditore conservatore causa delle lentezze italiche ecc. ? esiste la possibilità di sentirsi rappresentato da qualcuno, di avere spazio a livello mediatico e istituzionale, di non essere rottamati con decreto da chi compone le liste? E soprattutto, per chi si sente appartenente al cattolicesimo democratico: quali contenuti devono caratterizzare l'impegno pubblico? Essere, di fatto, i servitori gentili della globalizzazione e di un'Europa dei burocrati e dei compiti a casa oppure interpretare il cambiamento radicale che ci è richiesto dalle sollecitazioni di Papa Francesco? Le scelte sui migranti, l'attenzione ha chi è messo fuori dal lavoro o di chi non lo trova, le difficoltà e incertezze degli anziani, i servizi locali sempre più precari o tagliati, per indicarne solo alcuni sono fra le priorità più che certe razionalizzazioni penalizzanti per tanti settori e territori
giuseppe cicoria - 2017-05-05
Ottima analisi di ciò che è accaduto. Va bene anche la critica all'amico Alessandro. Ciò significa che il nostro gruppo di pensiero funziona e le anime sono tante. Sono tuttavia convinto che tra gli amici il pensiero prevalente dà ragione ad Alessandro. Il sig. Renzi in nome della governabilità ha tentato di smontare la nostra bella Costituzione mettendo le basi per un futuro di potere accentrato in una sola persona o al massimo ad una oligarchia. Per quanto mi riguarda ciò è inaccettabile ed ho avuto anche l'opportunità di farlo presente di persona e per iscritto. Quanto avvenuto per me è un fatto imperdonabile e, quindi, ho perso la fiducia su questo signore qualsiasi cosa si proponga di fare in futuro.
Valeria Astegiano - 2017-05-05
Sempre il solito discorso!!! Si abbiamo capito..hanno votato no per l'abolizione delle province, per non abolire il senato....C'e posto per tanta gente....poi ciascuno ci ha messo il proprio interesse corporativo... Poi nelle sezioni ci sono ancora i vecchi notability, cariatidi che sono sempre li ad aspettare.... Ci sarà ancora qualcosa per loro????
Giuseppe Davicino - 2017-05-05
Credo che Renzi, nonostante la carrellata di errori opportunamente richiamati da Alessandro, conservi un suo punto di forza, che consiste nel dire che non c'è alternativa alla “sua” (dei banchieri) politica. Su questo punto va sfidato, di lì si capirà se un centrosinistra alternativo è un progetto concreto oppure velleitario.
Umberto Cogliati - 2017-05-04
Anche Alessandro Risso, bravo nelle analisi per molti versi, non è riuscito a smarcarsi dal "Dalli a Renzi!", E i contenuti? Il pezzo che ho letto è solo una sfilza di brutti voti per Matteo Renzi, ma cosa si dice di quel che si è ottenuto con il No alla riforma? Si dovrebbe dire che molti dei No espressi da tutte quelle adulte categorie che Risso ben evidenzia ponevano come alternativa che in tre giorni si sarebbe fatto tutto di meglio (riforma, legge elettorale...), invece siamo nella bagna e nessuno è in grado di proporre con qualche esito il modo per uscire da questo pantano generato dal No il 4 dicembre. Non sembra, ma anche i più corretti non sanno sottrarsi al gioco di sparare su Renzi, che ha un sacco di difetti, ma in Italia si vogliono alternative. Dove sono? Sui cespugli della nuova sinistra di Bersani e Speranza (!)? Nei cinque stelle? Lo si dica, perchè anche lo sport della fucilazione per Renzi è quasi alla fine delle cartucce; o forse sono già finite. Quali le proposte? Sorrette da quali maggioranze? Non quella del No del 4 dicembre la quale, anche se nobilitata dall'analisi di Risso, è stata, a mio parere, solo una rappattumata da dimenticare.
umberto calliero - 2017-05-04
Per la precisione Gaber cantava "Libertà (non democrazia) é partecipazione", il concetto era più ampio