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Riflessioni, amare, sul PD

 
di Carlo Baviera
 

Mancano pochi giorni alle primarie del PD, con la scontata riconferma di Matteo Renzi alla guida del partito. Qualche giorno fa una delle convinte fondatrici del PD come Rosy Bindi ha annunciato l’abbandono della politica a fine legislatura, nel corso di un’ampia intervista a “Il Fatto Quotidiano" (che potete recuperare dal link a fine articolo). Tra questi due fatti si snoda la riflessione che il nostro amico Carlo Baviera ha scritto per Appunti Alessandrini e Rinascita popolare.
 
Lino Prenna, coordinatore nazionale dell’Associazione “Agire Politicamente”, poneva di recente (sul sito c3dem) ai candidati alla segreteria del PD la domanda su quale fosse la loro idea di partito: “Ritengono ancora valide le ragioni fondative che lo legittimarono come partito nuovo e non come un nuovo partito? E ritengono ancora attuale il progetto originario di unità plurale delle culture che lo hanno fondato?”
E ricorda come la nascita del Partito Democratico fosse “occasione di rinnovamento della politica italiana, opportunità storica per il movimento politico dei cattolici. Ci sembrò, infatti, decisamente inedita e significativamente innovativa la confluenza in un progetto unitario delle tre grandi culture che hanno elaborato la nostra Carta costituzionale: il personalismo comunitario del cattolicesimo democratico, l’umanesimo della tradizione socialcomunista, la concezione liberale dei diritti individuali. [...] Le culture di provenienza si sarebbero impegnate, non a costituirsi in correnti o a rivendicare quote di appartenenza, ma ad elaborare una sintesi di essenziale e condivisa unità. [...] Oggi, constatiamo con disappunto che tale progetto non è stato sviluppato e, anzi, temiamo che sia stato archiviato, nella complicità di una insensibile e disattesa responsabilità”.
Ritiene, da parte sua, che si debba rigenerare l’identità plurale del partito, e che sia questa “la condizione perché il cattolicesimo democratico, componente strutturale del progetto originario, continui a considerare il Partito Democratico quale luogo privilegiato di espressione e di sviluppo della propria tradizione politica. Il Partito Democratico sia il partito della Costituzione e della cittadinanza democratica”. Un Partito che si apra alla società civile, radicato nella varietà del territorio italiano, che dia “spazio alla partecipazione e alla discussione di uomini e donne, al fine di promuovere una nuova classe dirigente e contrastare ogni concezione aristocratica e oligarchica della politica”.
 
In effetti, un Partito che voglia rappresentare, e contenere al suo interno, una significativa presenza di cattolicesimo democratico non può che fondare il suo programma, il suo progetto, la sua cultura di fondo anche su ampi aspetti del popolarismo sociale cattolico. E questo, non essendo stato in grado di farlo nei suoi dieci anni di vita, dovrebbe tornare ad essere uno degli impegni che si pone il PD, se vuole continuare ad essere riferimento importante anche di quel “mondo”.
In mancanza di ciò, o se prevalessero altri schemi e altre caratterizzazioni, sembra evidente che il cattolicesimo democratico, in prevalenza, sarà attratto da altri progetti e da altri contenitori politici, che garantiscano una visione e un impegno a favore del personalismo comunitario e solidale, un impegno per il pluralismo, un impegno per la valorizzazione delle autonomie, un impegno per una ecologia ambientale e umana che si discosti dalla semplice correzione dei guasti del capitalismo finanziario e dal riconoscimento di diritti individualistici; diritti questi che non considerano gli aspetti sociali conseguenti (la persona è parte della società e non è mai un individuo slegato da tutti e da tutto).
Non a caso l’elaborazione della cultura popolare e l’impegno del cattolicesimo politico, quando parla di libertà (ricomprendendovi i diritti individuali), insiste molto sulla libertà da e sulla libertà per, più che sulla libertà di.
Cosa si intende con questo? Che non vi può essere una libertà “assoluta” a prescindere da chi abbiamo attorno e senza considerare come si rapporta la nostra libertà con quella degli altri; la libertà, con i diritti conseguenti, ha una componente di responsabilità.
Perciò, se è vero che ognuno deve vedersi riconosciuti tutti  diritti in modo incondizionato, è anche vero che, pur riconoscendo e valorizzando i cosiddetti princìpi delle libertà borghesi, la libertà, la “libertas” del movimento sociale e politico dei cattolici “li riassume e li supera trasformando quelle stesse libertà da individualistiche a comunitarie in uno spirito di solidarietà e non di concorrenza. [...] Si tratta insomma di attribuire alla libertà non un significato assoluto e immutabile,[...] ma evolutivo ed itinerante con la storia degli uomini, così da farsi quotidianamente libera da e cioè liberazione [...] della persona e insieme della collettività, liberazione dall’oppressione e dai condizionamenti, dall’ignoranza, dai bisogni” (tratto dal libretto I cattolici Popolari, ottobre 1975).
 
Stesso ragionamento per quanto riguarda la libertà intesa come possibilità di operare per il bene comune, per promuovere lo sviluppo, la giustizia, la fratellanza, la partecipazione. Libertà e diritti non a servizio del proprio io e dell’individualismo, ma per la crescita della socialità, per la costruzione di comunità capaci di collaborare, convivere nella diversità, rispettarsi.
Un discorso che si deve tenere conto, in un partito plurale, quando si affrontano argomenti e si legifera su temi relativi ai cosiddetti nuovi diritti civili, o le questioni etiche; ma anche quando si decidono provvedimenti attinenti all’ambiente, alla difesa del creato, alla salute, ai sistemi economici e fiscali.
Per fare un semplice esempio: il sostegno alla famiglia e alla natalità, l’armonizzazione tra tempi di lavoro e famiglia, le imposte e gli sgravi fiscali per i nuclei familiari, vanno tutti affrontati in quell’ottica, se si vuole rappresentare e avere il consenso anche di chi ha una sensibilità e una visione “personalista, comunitaria e solidale” della società.
Tutto ciò è possibile, comunque, a condizione che vi sia un partito aperto, in cui ritornino l’abitudine e la prassi dell’incontro, del confronto, del dibattito da sviluppare continuamente. Un partito in cui la partecipazione dei cittadini e l’impegno per l’applicazione “completa” della Costituzione sia più importante di primarie o furbizie per garantire equilibri interni al partito o al Governo. E questo anche ai livelli locali.
Del resto, anche le recenti dichiarazioni di abbandono a fine legislatura da parte di un personaggio come Rosy Bindi, motivato anche dal ritenere il PD ormai solo “un carro al seguito dell’uomo solo al comando”, esprimono la delusione di tanti. “Non era nato per stare tutto il tempo ad applaudire il leader ma per essere la sintesi di diverse culture: socialista, cattolica, ambientalista, liberale. Se riprende quella strada, forse avrà vita”.

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Giuseppe Sestito - 2017-05-20
Anche il tempo della Bindi è ormai scaduto ed è quindi saggio che si metta da parte. Come lei chiedeva che facessero, negli anni fine Settanta/ottanta, i leader politici storici della Dc. Io spero che non riveda la sua posizione e non brighi per restare qualche altro annetto ancora. D’altro canto, penso che non ci sia più spazio per lei nel Pd di Renzi. Perché se il leader toscano la ricandidasse perderebbe voti non ne guadagnerebbe. Si goda quindi la sua lauta pensione, la Bindi, la sua buonuscita e s’industri per fare qualche altra cosa.