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PD o non PD? Spunti dal dibattito

 
di Alessandro Risso
 

PD o non PD? Abbiamo chiesto la risposta a questo dubbio amletico a quattro amici dell’Associazione Popolari, che ha visto tanti dei suoi soci aderire al partito che avrebbe dovuto raccogliere i riformisti italiani, tra cui i cattolici democratici.
Due dei relatori sono ancora oggi impegnati nel partito: il senatore, e vice capogruppo a Palazzo Madama, Stefano Lepri, su posizioni convintamente renziane (anche se molto distante dal modo di porsi del leader fiorentino) e Giorgio Merlo, responsabile PD per editoria e nuovi media, collegato a Cuperlo e ora impegnato nelle primarie a sostegno di Orlando. Gli altri due ospiti hanno invece abbandonato il PD non ritrovandosi più nel partito trasformato da Renzi: Giuseppe Davicino, da poche settimane eletto tra i componenti della Direzione nazionale di Sinistra Italiana, e Federico Fornaro, senatore e vice capogruppo dei fuoriusciti bersaniani che hanno costituito Articolo 1 - Movimento democratico e progressista.
 
Nell’incontro organizzato all’Educatorio della Provvidenza lo scorso 20 marzo, sono stati i due ormai ex-PD a spiegare per primi i motivi della loro scelta.
Davicino: “Pensavo di essere uscito per colpa di Renzi, ma con il tempo ho capito che era l’impostazione stessa del partito ad essere in crisi. Non aver voluto o non essere riusciti ad opporsi al pensiero unico delle oligarchie che hanno gettato sulla classe media i costi della crisi.
Sinistra Italiana, di cui sono entrato a far parte, mi ha stupito per due leit-motiv: l’insistenza sulla crisi del ceto medio e il magistero di papa Francesco”.
Fornaro: “La riflessione su quanto avvenuto il 4 dicembre, la netta vittoria del NO al referendum costituzionale, dimostra che si è consumato il rigetto del renzismo. È un dato di fatto che il PD si sia trasformato in un partito personale dove il segretario non ha voluto o saputo farsi carico dell’unità e della sintesi. Non è stata fatta una conferenza programmatica né una organizzativa.
Con Articolo 1- Movimento democratico e progressista abbiamo scelto di fare appunto un movimento e non un partito per recuperare lo spirito autentico, plurale ed inclusivo, che aveva portato alla fondazione del PD”.
 
È poi stato il turno di chi resta nel partito. Lepri: “Rimango convinto nel PD per quattro motivi. 1. Il PD è l’unica forza che può ancora dare una speranza, come unico baluardo di democrazia nel Paese. Se vuoi contare devi stare lì, in maggioranza o in minoranza. 2. Il PD è l’unico grande partito democratico, con maggioranza e minoranza, dove si può discutere. La leadership di Renzi può essere soggetta a critiche, ma in ogni caso adesso per le primarie ci sono le convenzioni in ogni Circolo. 3. Il PD ha fatto politiche riformiste in vari ambiti. Anche il Jobs Act è positivo, ma ancora incompiuto, con frutti che arriveranno nel tempo. 4. Il PD può valorizzare le idee dei cattolici democratici. Per questo molti amici che hanno avuto responsabilità nel PPI e nella Margherita sostengono oggi Renzi. Si sente la critica a Renzi di aver trasformato il PD in una specie di DC: questo, ammesso che sia vero, non può dispiacere a chi proviene dalla storia democristiana”.
Merlo: “Vedo tre motivi per rimanere nel PD: perché è il partito del centrosinistra, perché è un partito plurale, perché raccoglie l’eredità dei cattolici democratici. Mi domando però se lo sarà ancora nel prossimo futuro. Il PD è nato per il bipolarismo, per contrapporsi alla destra e alla conservazione rappresentando il polo riformista e progressista. Ma poi l’alternativa destra/sinistra è stata sostituita da altre categorie meno chiare, come quella tra vecchio e nuovo”.
 
Nel giro di puntualizzazioni su quanto ascoltato, Fornaro si è rivolto a Lepri: “Magari il PD fosse come la DC! Almeno allora chi vinceva i congressi non prendeva tutto, teneva in considerazione le minoranze, non come ha fatto Renzi nel PD. E poi nella DC solo in casi eccezionali e per brevissimi periodi vi è stata una coincidenza tra il ruolo di segretario politico e di premier”.
Lepri ha replicato che “Renzi al Lingotto ha sottolineato di voler dare più spazio al NOI e meno all’IO, ed è un proposito da rendere concreto. Credo però che anche in questi anni ci sia stata attenzione alle richieste delle minoranze. Ricordiamo poi che abbiamo avuto una situazione di ‘palude’ dopo le elezioni politiche non vinte da Bersani, che ha richiesto una leadership forte, che Renzi ha saputo fare”.
 
Alla domanda su come si pongono di fronte alle primarie per la guida del PD, Fornaro e Davicino hanno dichiarato che staranno correttamente alla finestra, “anche se in precedenti occasioni – ricorda Fornaro – dall’esterno si è influito sui risultati, come ad esempio è avvenuto il Liguria con il sostegno dei sindaci di centrodestra alla Paita (poi sconfitta da Toti, ndr)”.
Davicino ha voluto ribadire che “il problema del PD non è tanto di classe politica – che comunque è molto diversa dal passato – ma di politiche. Perché il PD è diventato il garante italiano di un’economia globalizzata guidata da un establishment che ha visto anche leader nati a sinistra, come Clinton e Blair, tra i promotori. Una intellighentia liberal oggi sconfitta ovunque. Agli esordi Renzi poteva sembrare il Sanders italiano. Ma lo è stato davvero? Direi di no. Oggi, più che interrogarmi sul PD e seguire il suo dibattito interno, mi interessa sapere cosa faranno le forze che si stanno organizzando alla sua sinistra. Perché saranno i contenuti e il confronto programmatico a qualificare la proposta politica dell’intero centrosinistra”. A specifica domanda sulla frammentazione alla sinistra del PD, sia Davicino sia Fornaro hanno auspicato una prossima ricomposizione di questa area politica.
 
Tornando al PD, Merlo prevede primarie fiacche, “anche perché – come ha detto Chiamparino al Lingotto – il PD è Renzi e quindi Renzi è il PD. E le parole del presidente della Regione sono solo una variante di quello che io chiamo ‘“il lodo Fassino’: siamo tutti renziani. Poi ci possono essere i renziani di sinistra, i renziani cattolici, i renziani liberal eccetera. Come successe in Forza Italia: Berlusconi negava che il suo fosse un partito monolitico e lo considerava culturalmente variegato, in quanto formato da ex liberali, ex socialisti, ex DC e persino ex comunisti. Dimenticava che l’elemento unificante era l’assoluta fedeltà al capo. Rimane sempre il rischio di un processo di normalizzazione del PD in cui una minoranza non allineata alla volontà del capo diventa superflua. E questo rende possibile una più estesa scissione silenziosa”.
Solo Fornaro, da osservatore esterno, ha voluto rispondere alla domanda sull’esito delle primarie: “Prevedo la scontata vittoria di Renzi con un consenso del 55-60%. Orlando ed Emiliano si spartiranno il resto, con il primo molto forte in Lazio, grazie a Zingaretti, e in Lombardia, mentre il governatore della Puglia andrà bene un po’ in tutto il Sud”.
Invece, con Davicino poco interessato alla contesa, Merlo e Lepri non hanno voluto prevedere un esito possibile, né si sono sbilanciati sull’affluenza ai gazebo, né hanno dichiarato quale risultato di affluenza e voti ottenuti dal proprio candidato li avrebbe soddisfatti.
 
Interessante invece la diversa risposta che i due esponenti PD hanno dato alla domanda finale sulle prospettive del quadro politico: dopo la scissione, senza più la sinistra interna, il PD è destinato all’intesa con Berlusconi?
Per Lepri questa è più di una concreta possibilità, quasi un approdo ineluttabile a cui adeguarsi, “conseguenza anche della opposizione alla riforma costituzionale” oltre che della bocciatura dell’Italicum con il ritorno al proporzionale.
Per Merlo sarebbe invece l’inaccettabile fallimento di una strategia di centrosinistra, la stessa ragione per cui è nato il PD, destinato a trasformarsi nel Partito della Nazione. E non è detto che tutti coloro ancora oggi impegnati nel PD accettino questa prospettiva. Il risultato delle primarie potrà dare qualche altra importante indicazione.
Da quanto ascoltato, e da quello che si è potuto intuire, la stagione delle scissioni dal PD renziano non è ancora del tutto conclusa.


giuseppe cicoria - 2017-03-31
Sono stato iscritto a qualche partito (Asinello Margherita Italia dei valori e poi PD) ma non ho mai capito nulla della logica che li alimenta. Tutti, sia per demeriti sia per l'insipienza della classe dirigente che ha prevalso sugli altri, si sono dissoluti non per le idee di base ma per la gestione delle stesse. L'ultimo segretario sembrava all'inizio la "manna venuta dal cielo" per sistemare questo disastrato "Bel Paese" che, però, tutto il mondo ci invidia. Risultato disastroso: gestione troppo personalizzata, tendenza ad un potere esclusivo, riforma pasticciata e pericolosa della nostra bella Costituzione, collaboratori "yesman", spreco dissennato delle poche preziose risorse economiche, e via discorrendo. Ora i pochi rimasti nel partito si stanno aggrappando al loro personaggio di riferimento sperando non si capisce in che cosa. Se vince di nuovo lo stesso personaggio la dissoluzione del partito è conseguenza logica seppur non immediata. Il terzo contendente definito immeritatamente solo "pittoresco", salvo che nel sud, è quasi un personaggio sconosciuto. Il sottoscritto, nato a Bari, non ha rotto i legami con la Puglia ed ha seguito meglio le sue vicende politiche. Parlo di Emiliano, eletto sindaco a furor di popolo e, poi, con altrettanto successo a Presidente della Regione Puglia. Un motivo ci deve pur essere se un "socialista doc" riesce a farsi votare anche da ex missini o ex forzisti. Il motivo è molto semplice: è una persona onesta, ottimo organizzatore, di adeguata cultura e, sopratutto "assolutamente NON DIVISIVO". Sembrerebbe l'uomo giusto a rimettere concordia alle varie anime e orientamenti espressi nel PD e causa di scissioni deleterie. Ma siccome il partito è orientato verso la sua eutanasia ovviamente, non solo egli non sarà adeguatamente votato ma sarà , forse, anche sbeffeggiato. Tanti auguri agli intelligenti che sanno come si governa una collettività.
Carlo Baviera - 2017-03-30
Da non più iscritto (da molto tempo) al PD penso che i cattolici democratici e popolari non possano che essere nel campo del cambiamento profondo (un tempo si chiamava riformismo o centrosinistra, termini ormai diventati acqua imperiale, quasi insignificanti perchè tutti si dichiarano tali) a difesa delle classi medie e di quelle socialmente ed economicamente in difficoltà, emarginate, povere o a rischio povertà. Devono essere nel campo di modifiche istituzionali ed elettorali a favore della partecipazione, del pluralismo, della rappresentanza (bilanciate anche dalla esigenza di governabilità). E soprattutto devono essere - insieme al dovere di reinventare e costruire la Federazione Europea - dalla parte di chi combatte il pensiero unico in fatto di etica e di economia e finanza. L'Enciclica Laudato sì fornisce (con la ovvia necessità di essere trasformata in progetti laici) un programma per una politica "rivoluzionaria" contro l'establishement. Se ciò sarà possibile realizzarlo nel PD, bene! (ma in questo PD ho dei dubbi); altrimenti va costruito un raggruppamento plurale con quanti vogliono "rivoluzionare", e in cui il formarsi di una cultura politica nuova non sia contraddittoria con le provenienze di origine, e in cui nessuno venga emarginato nè possa porre veti o fare da freno.
Giuseppe Davicino - 2017-03-30
Devo confessare che il commento dell'amico Arnaldo alla completa sintesi di Alessandro Risso del dibatto sui destini del Pd, mi ricorda per schiettezza l'intervento della Serracchiani prima maniera al congresso, che all'epoca diede una scossa al Pd. Reviglio dice con grande chiarezza ciò che i responsabili dello schieramento riformatore dentro e fuori il Pd dovrebbero capire se non si vuole fare la fine dei socialisti francesi e di quelli greci.
Arnaldo Reviglio - 2017-03-29
Nel luglio 2012 ad Avigliana dopo le espulsioni dal PD di 4 amministratori iscritti che avevano vinto con largo margine (perché in una lista non autorizzata dal partito) contro una lista PD/PDL (anch'essa civica,ovviamente camuffata) molti consiglieri regionali hanno solidarizzato con noi e addirittura uno aveva affermato "un partito che espelle non ha futuro". E' arrivato Renzi e con lui la speranza che qualcosa cambiasse. Dopo due anni invece profonda delusione (e i risultati del 2015/2016 rispetto al 2014 - europee - dicono qualcosa). La mancanza di coerenza è stato l'inizio della discesa. Sono ora esterefatto dall'apprendere dell'ineluttabilità di un approdo a un'intesa con Berlusconi. Continuando così non dobbiamo poi spaventarci e lamentarci se i cittadini italiani onesti non avranno più altri riferimenti se non il M5S, pur con tutte le sue contraddizioni. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, dice un proverbio.