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Una nuova epoca per il centrosinistra
 
di Carlo Baviera
 

Eccoci di fronte, ancora una volta, allo scompaginamento di partiti e al nascere di aggregazioni nuove. Non, però, a seguito di una lunga preparazione, di chiarimenti profondi su “cosa siamo", “dove vogliamo andare", “con chi collaboriamo e ci alleiamo" e, soprattutto, "quali proposte per affrontare non solo la crisi socio-economico-occupazionale ma anche quella del sistema democratico rappresentativo e la fine degli Stati nazionali senza una adeguata sostituzione di una Federazione (tipo Unità Europea vera)".
No! Tutto avviene per incomprensioni, per scontri rispetto alla linea politica contingente, per voglia di rivincita o per indebolire un leader, per la volontà di non ascoltare chi dissente dalla maggioranza, perché "sono il leader e ho i numeri, e perciò non ho commesso errori".
C’è chi ha ricordato che un partito, un movimento politico deve anche essere una comunità. Altrimenti si rischia di essere semplicemente cartello elettorale, insieme di interessi, una massa attorno a un capo, e via discorrendo. Rischio possibile anche per la composizione che tenta di costruire Pisapia: l’accorpamento della sinistra responsabile e governativa.
Ora, dopo le speranze di dieci anni fa (quando nasceva il PD, incontro tra riformismi diversi, e partito plurale), si prende atto che si è rotto definitivamente quel tentativo. La fusione si è realizzata solo in parte: quasi da subito alcuni sono stati spinti fuori o hanno scelto di uscire per divergenze sui temi etici, e altri più tardi rispetto alle problematiche economiche e sociali ritenute scarsamente difese dal partito; poi sono venuti gli errori di troppa sufficienza da parte di Bersani che hanno portato alla non vittoria elettorale e allo scacco sulla Presidenza della Repubblica; dopo sono venuti la rottamazione insensata di Renzi, il Patto del Nazareno, le forzature del referendum sulle modifiche costituzionali, la (per alcuni aspetti) infausta legge elettorale, l’accelerazione sul Partito di Renzi; infine la voglia di rivincita di parte delle sinistre interne.
Ora ci si trova di fronte all’ennesima puntata della divisione da parte delle forze di sinistra, che può essere solo un ulteriore regalo ai populismi di ogni specie e quindi alle destre. Queste capaci, nonostante tutto, a trovare punti di equilibrio e aggregare su una cultura moderata/ conservatrice/ tradizionalista/ populista; mentre quelli a puntare sempre più sulle identità, sulle proprie diversità, sulla sfiducia reciproca tra leader e anche tra militanti che hanno idee diverse sulla società del futuro.

Non entro nel merito se sia più utile la separazione chiarificatrice piuttosto che l’unità non convinta. Mi sembra invece che ci si sia attardati troppo su questioni come primarie, congresso rapido o senza fretta, data delle elezioni, piccoli accorgimenti per ritoccare l’Italicum a vantaggio dell’uno o dell’altro.
Alla base poco o niente è arrivato sui contenuti (che pure sono stati spiegati); su come si riprende, senza imposizioni o voti di fiducia ma col dialogo, il cammino delle riforme; su quale Europa si intende costruire; su come affrontare il nodo del lavoro; su come si aiutano le periferie sociali e territoriali; su quale politica industriale compatibile con la salvaguardia dell’ambiente e della salute; su una riforma serie e definitiva della scuola; sugli investimenti per la ricerca, la cultura, il turismo; su come si organizza una vera integrazione dei migranti senza dimenticare le povertà e le difficoltà di chi è da sempre italiano; sul tema di una fiscalità equa anche per gli operatori economici e le imprese e su un sistema burocratico e della giustizia rapido ed efficace.
A me è parso invece che il tifo, delle scorse settimane, fosse rivolto quasi solo al passato: rifacciamo, anche se lo si dice in termini diversi e con prospettive diverse, la DC e il PCI. E poi? Anche se fosse possibile e auspicabile la scissione (forse dovremmo tutti interrogarci se è ancora possibile lavorare per costruire un nuovo Ulivo che tenga insieme i riformismi, o se non sia più concretamente percorribile, anche ai fini del risultato, essere “alleati ma non confusi”), le domande da porre sono: è possibile un centrosinistra senza la sinistra? Ed è possibile per la sinistra conquistare il Governo del Paese senza un forte legame con l’anima più centrale, più liberal-democratica degli elettori, compresi ampi settori del cattolicesimo democratico? Dopo la scissione potranno ancora collaborare fra loro ciò che schematicamente chiamiamo sinistra e centro? Il tentativo di Campo Progressista, che tenta di raggruppare le sinistre, può proporre un’alleanza con Renzi a chi se ne è andato contro Renzi?
E io aggiungo: il renzismo è l’incarnazione attuale del popolarismo sociale cattolico, del solidarismo personalista e comunitario? È una reinterpretazione aggiornata dell’impegno delle sinistre democristiane o del socialismo umanitario? Il cattolicesimo democratico può vivere, usciti i dalemian-bersaniani, può accontentarsi di sostenere il renzismo e il partito a vocazione maggioritaria? E, infine, quale il gioco del grosso problema della terza componente “laica”, la nuova generazione cresciuta nell’indifferenza all’umanesimo e solidarismo socialista e cattolico? Come si inserisce in un progetto comunitario, “non individualista e libertario”?

Comunque sia, per fronteggiare i populismi e la reazione dei cittadini provati da anni di difficoltà occupazionali e di sacrifici economici, bisogna ripartire, come dice giustamente Prodi, dalle questioni concrete della ripresa e dalle “provocazioni” di papa Francesco, per una politica non più ideologica, nominalistica, e rivolta a slogan o pregiudizi passati. I poveri, i disoccupati, il lavoro e la produzione, le tutele da garantire e quelle da estendere. E poi l’Europa, l’ambiente, l’energia, le migrazioni, sono gli argomenti da affrontare con urgenza e da proporre agli italiani, non come obiettivi da ottenere con nuovi tagli e rinunce, ma come opportunità che consentono di rivedere l’attuale modello di sviluppo e ritornare a un sistema solidale fra i cittadini e fra gli Stati.
Di fronte a questo stato di fatto, un dirigente PD come Goffredo Bettini (per il quale non ho mai nutrito una grande passione) diceva: “Che fare? Cercare di recuperare. Intanto evitando due opzioni sbagliate presenti in mezzo a noi. Un ritorno indietro: la scissione per fare un partito di sinistra ‘old style’ per la felicità di qualcuno che vuole mantenere un qualche potere, ma del tutto inutile per l'Italia. Oppure, l'accelerazione nella costruzione di un partito personale, del capo, che ambisca da solo al 40%. [..] Tra queste due opzioni c'è un campo enorme da organizzare. Questo dobbiamo fare: organizzare questo campo. Campo è una parola che uso da più di dieci anni. Oggi è tornata prepotentemente con la proposta di Pisapia. D'Alema stesso ha parlato di un campo di associazioni, di società civile, di energie della cultura, in particolare giovanile, da valorizzare e includere”.
Mi sembra una sintesi utile per evitare di regalare alle destre, alla conservazione, o ai 5stelle – che non si capisce, al di là degli slogan, quale società abbiano in testa – una vittoria facile.

Questo, però, non basta. Secondo la mia modesta opinione, il centrosinistra (lo si chiami come si vuole) dovrebbe abbandonare anche definitivamente l’epoca del blairismo, dell’accettare di avere come compito quello di limitare gli eccessi della globalizzazione e delle liberalizzazioni. Serve uno scatto di reni, un salto del fossato per iniziare un cammino nuovo, una storia nuova; ritornare a pensare e poi realizzare riforme che includano e diano futuro e speranza alle nuove generazioni senza deprimere e penalizzare il ceto medio e tutte le conquiste del XX secolo.
Come afferma lo storico Guido Formigoni è necessario che si “torni a tenere assieme diritti personali e coesione sociale, contrapponendosi a una deriva individualistica tipica di una certa sinistra che scambia il progressismo per l’inseguimento libertario delle nuove frontiere delle diversità, trascurando la dimensione sociale”. Questo perché “da una parte, c’è lo spettro invecchiato di una sinistra che non ha capito il nuovo, che si è adagiata sull’illusione della continuità di vecchi schemi mentali e di parole d’ordine irrealistiche, quasi imbalsamando mentalmente un modello di società fordista che non esiste più. Dall’altra, si raccoglie la sensazione che sia al capolinea – a livello europeo e anche mondiale – il percorso di una sinistra che ha sposato enfaticamente il nuovo, aprendosi alle novità della stagione della globalizzazione, ma che da esso è stata sostanzialmente travolta, senza riuscire a gestirlo e nemmeno a condizionarlo modestamente”.

E infatti chi da noi ha giocato a fare la sinistra assecondando la modernità della globalizzazione con riforme e tagli anziché cercare regole moderne e tutele nuove, e a pensare di riformare le istituzioni in senso decidente e maggioritario imitando la destra, ha fallito.
Ora aspettiamo un’epoca nuova.


Giuseppe Davicino - 2017-03-16
Carlo ha posto veramente bene la questione centrale: sono le idee sul da farsi, il progetto, che possono rifondare un nuovo centro sinistra. E siccome queste idee sulle cose fondamentali - il lavoro, la moneta, la pace – mancano o sono drammaticamente indistinguibili da quelle dell'establishment globalista che sta stritolando i lavoratori e il popolo e con essi il futuro della democrazia, non sembra prospettarsi roseo il futuro delle forze riformatrici.
giuseppe cicoria - 2017-03-14
Anche io sono intellettualmente orientato a collocarmi nell'ultima entità prevista da Campia. Il problema è che in questo, chiamiamolo settore, non vedo una classe dirigente che possa assicurare una gestione della cosa pubblica prima di tutto onesta e poi veramente orientata al bene pubblico inteso, questo, indirizzato a tutti e nessuno escluso.
Franco Campia - 2017-03-14
Il ragionamento di Baviera è interessante ma - a mio avviso - incompleto, in quanto mi sembra lasci in ombra una questione fondamentale, forse perchè non direttamente oggetto dell'analisi.### Restringendo il campo a tre entità politico-culturali: un campo "riformista" di sinistra moderna, la nebulosa protestataria ed inconcludente dei 5 stelle e la destra "moderna" populista,triviale e xenofoba, si trascura l'esistenza di una consistente fetta di elettorato che definirei, mi scuso per la semplificazione,"di centro" o "moderata",pur disponibile ad atteggiamenti solidaristici ed ostile al liberismo sfrenato, desolata dal declino economico e decisamente filo-europea, disturbata dalla frenesia libertaria in materia di diritti civili, ecc... Chi, come il sottoscritto, lì si colloca e si richiama alla tradizione degasperiana e sturziana assiste perplesso a quanto sta avvenendo e si domanda dove potrà andare a parare il suo consenso.
giorgio merlo - 2017-03-14
Un bel saggio, quello di Carlo, che pone interrogativi a cui va data una risposta politica e culturale. A volte, leggendo riflessioni come questa sul profilo e sulla prospettiva del centro sinistra, ti rendi conto come l'attuale dibattito politico su questa tema sia caratterizzato o dalla regressione o, peggio ancora, dalla sola propaganda e dal marketing mediatico.### Sul profilo e sul destino di un rinnovato centro sinistra sarebbe anche interessante che Alessandro organizzasse una iniziativa. Ne sono certo che lo farà.