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Disuguaglianze sempre più inaccettabili
 
di Giuseppe Davicino
 

Occorre prendere atto che l'impegno per la lotta alla povertà e per la riduzione delle disuguaglianze appare sempre più arduo. Ma proprio per questo si tratta di un impegno che va rafforzato.
Si deve partire da una realistica constatazione di quale sia l'andamento dell'economia globale rispetto a povertà e disuguaglianze. L'ultimo rapporto Oxfam delinea in modo inequivocabile una tendenza che continua a non essere rallentata o fermata, alla concentrazione della ricchezza in mano a pochissimi individui e famiglie, l'1 % della popolazione globale a scapito del restante 99%. Il sistema economico e finanziario attuale funziona benissimo come meccanismo di prelievo di risorse dalle famiglie, dai lavoratori, dalle imprese, dagli Stati e di trasferimento della ricchezza appartenente ai suddetti soggetti dell’economia reale nelle tasche di una supercasta, la quale persegue un progetto di governo mondiale per espandere e istituzionalizzare questo sfruttamento.
Non è un caso che nel mondo occidentale alla tradizionale dialettica politica tra destra e sinistra si stia sostituendo la dialettica tra establishment e popolo. L’ultimo rapporto redatto dall’organizzazione indipendente di Oxford, che studia la povertà mondiale, non fa che confermare l’esistenza di una tale questione sociale globale.
Oggi nel mondo, ci dice l'Oxfam, 8 persone possiedono la stessa ricchezza (426 miliardi di dollari) di 3,6 miliardi di persone. Sette persone su dieci vivono in Paesi dove la disuguaglianza è aumentata negli ultimi trent’anni. Le multinazionali, la finanza speculativa, con la complicità delle istituzioni economiche internazionali continuano a produrre la crescita delle disuguaglianze, facendo ricorso al dumping sociale, all’evasione fiscale, traendo il massimo dei profitti dal livellamento verso il basso dei salari, e dal taglio dei diritti dei lavoratori e dei cittadini, smantellando i sistemi di protezione sociali, soprattutto laddove, come nel caso dell’Europa, erano più avanzati.

L’Oxfam ci avverte che «è necessario un profondo ripensamento dell’attuale sistema economico che fin qui ha funzionato a beneficio di pochi fortunati e non della stragrande maggioranza della popolazione mondiale». Si sta verificando quella che si potrebbe definire, mutuando un’espressione di Wilhelm Wundt, una Heterogonie der Zwecke, una eterogenesi dei fini: i passi fin qui compiuti verso la globalizzazione si stanno rivelando in realtà le cause della crisi profonda del commercio mondiale. La forte pressione di organismi come FMI, Banca Mondiale, BCE per declinare fino all’esasperazione la competitività delle economie europee sta producendo tre grandi e terribili conseguenze:
1) siccome le economie sono state rimodellate e riorientate all’esportazione, si è costruito un mondo dove tutti producono per esportare e nessuno ha più i soldi per comprare. E così si genera il blocco del commercio mondiale, anziché la sua crescita.
2) Le politiche di austerità, di compressione dei salari, di taglio degli investimenti per il welfare (tra cui le risorse che andrebbero con urgenza stanziate per la lotta alla povertà) hanno sfiancato la domanda interna e hanno generato il circolo vizioso della deflazione, che va temuta come la peste, in quanto significa che le famiglie non hanno capacità di spesa, le aziende a fronte di un mercato che si restringe non fanno investimenti, non assumono, anzi riducono salari e occupati e così la domanda interna viene ulteriormente indebolita. Uno scenario da incubo, rispetto a cui c'è da domandarsi quanta consapevolezza dei rischi vi sia nelle classi dirigenti.
3) Anziché avere un livellamento globale verso l’alto del tenore di vita, degli orari, della qualità, della sicurezza, della retribuzione, dei diritti del lavoro, si assiste ad un livellamento verso il basso che sta distruggendo la classe media occidentale e gettando milioni di persone nel baratro della povertà.

Si tratta di tendenze che possiamo riscontrare, purtroppo, anche nel nostro Paese. Oltre all'Oxfam che ci dice che ne 2016 la ricchezza dell’1% degli italiani è pari al 25% della ricchezza nazionale, vi è il recente Annuario dell’Istat che ricorda che vi sono nel Paese 6,5 milioni di persone escluse dal lavoro, insieme ai circa 5 milioni di cittadini in povertà assoluta. Il report annuale Istat 2016, relativo all’anno 2015, attesta che l’incidenza della povertà assoluta si mantiene sostanzialmente stabile sui livelli stimati negli ultimi tre anni per le famiglie, con variazioni annuali statisticamente non significative (6,1% delle famiglie residenti nel 2015, 5,7% nel 2014, 6,3% nel 2013) e con differenze territoriali marcate tra Centro-Nord e Sud. A livello territoriale è il Mezzogiorno a registrare i valori più elevati di povertà assoluta (9,1% di famiglie, 10,0% di persone) e il Centro quelli più bassi (4,2% di famiglie, 5,6% di persone).
L’incidenza della povertà assoluta cresce invece se misurata in termini di persone, toccando il 7,6% della popolazione residente nel 2015, contro il 6,8% nel 2014 e 7,3% nel 2013.

Alla luce quindi, delle tendenze rilevate nel contesto italiano, che confermano il profilo di un Paese la cui economia si sta progressivamente spegnendo con dei risvolti sociali difficilmente governabili, si rendono necessari due tipi di interventi. In primo luogo occorre fronteggiare il dilagare della povertà e l’aumento delle disuguaglianze con dei piani mirati e strutturali. In secondo luogo occorre un cambiamento delle politiche economiche e monetarie tale da interrompere l’impoverimento dei ceti medi e lavoratori e l’aumento delle distanze sociali fra una esigua fascia di cittadini sempre più ricchi e il resto della società che si depaupera, creando in prospettiva dei seri rischi per la democrazia.


giorgio merlo - 2017-01-26
Un'ottima analisi quella di Giuseppe. Insindacabile. E proprio alla luce di questa fotografia si rende sempre più necessaria nell'attuale contesto politico italiano la presenza di una "sinistra sociale" con vocazione e proiezione politica.
franco maletti - 2017-01-25
Confrontando questi dati con quanto fatto da Renzi nei mille giorni del suo governo credo che si possa definire quel periodo come un prodigio di incompetenza e la dimostrazione evidente della distanza esistente tra la politica e la realtà delle cose. Proprio in questi giorni, ad esempio, i tagli indiscriminati e l'abolizione delle province hanno prodotto i loro frutti più avvelenati. Per non parlare degli interventi sul lavoro.
Carlo Baviera - 2017-01-25
chi si rifà al cattolicesimo dempcratico, popolare e sociale non può che ripartire da queste considerazioni e proposte. Ci sarà chi opporrà la solita nenia delle risorse e della strumentazione propagandistica delle razionalizzazioni, del rigore (inteso non come stili di vita meno comsumisti, ma come tagli ai diritti e alle tutele), del obbligo di pareggio di bilancio, del mercato da non disturnìbare, ecc. Serve un soggetto politico nuovo, dove la presenza del popolarismo solidale sia una fetta importante(e non residuale), che si faccia carico di rimettere queste priorità all'ordine del giorno nazionale; e di riaggregare anche a livello europeo una coalizione che ribalti le scelte della Commissione di Bruxelles per ridare ruolo guida alla UE sia sul sociale che sulla cooperazione internazionale, che sulla battaglia per i diritti umani e una politica per la famiglia.