Stampa questo articolo
 
Lettera ai miei cari
 
di Oreste Calliano
 

Cari figli, compagni di scuola ed amici,
mi avete chiesto come mi comporterò in questo referendum. Ho esitato a rispondervi perché il tema è delicato (segretezza del voto) e l’esito è incerto. Però vi devo comunicare le mie impressioni di intellettuale, di professore in una Facoltà economica e di padre di famiglia.
Da federalista europeo la Brexit prima e l’elezione di un presidente USA potenzialmente disinteressato all’Europa potrebbe avermi ferito. Ma io, in quanto ottimista e migliorista, credo che questi due “schiaffoni” alla Germania, egocentrica e che ha utilizzato l’euro più ai suoi fini di espansione economico-produttiva nei paesi PECO che per costruire una effettiva integrazione economico-sociale europea (vedi il caso Grecia che poteva essere risolto rapidamente e con poca spesa, invece è stato fatto “cimire” a fini elettoralistici interni) possa essere l’occasione buona, e la cartina di tornasole, per verificare se l’Europa sta decadendo definitivamente o può, con un colpo di reni, cioè ritornando al nocciolo duro dei sei Paesi fondatori, creare non solo un mercato di importazione dei prodotti USA e cinesi/indiani, ma anche un governo democraticamente eletto e quindi responsabile di fronte ai cittadini europei (cioè ai nostri figli e nipoti ).

Quanto al nostro piccolo cortile italiano, e alla infantile classe dirigente che vi continua a giocare, la revisione della seconda parte (Organizzazione dello Stato) della Costituzione è da tempo ineludibile. Dal bicameralismo perfetto, creato nel 1948 per i timori, all’epoca ancora presenti, delle derive autoritarie del Fascismo con lo Statuto Albertino, al rapporto pasticciato Stato-Regioni-enti territoriali (tra l’altro ho constatato come presidente del Co.re.co. Piemonte che i sindaci, di qualsiasi parte siano, sono stati e sono i veri sostegni della società italiana – vedi accoglienza dei profughi – e i soli rispondenti ai loro cittadini-elettori), tutto è da tempo da rivedere.
Quanto al referendum da giurista sono dibattuto:
a) Il testo è un pasticcio. La Commissione dei saggi (oggi quasi tutti con il No, perché il loro lavoro è stato stravolto) aveva scritto un testo che gli equilibri variamente manifestatisi (prima patto Renzi- Berlusconi, poi sviluppo del tripartitismo con 5 stelle e quindi non più convenienza del polo che sarebbe il terzo, prima opposizione 5 stelle ora interesse soprattutto alla legge elettorale così come proposta) hanno stravolto tecnicamente e anche linguisticamente (provate a tradurre in inglese alcuni articoli!)
b) I rapporti Stato-Regioni per i federalisti richiederebbero maggior autonomia e quindi responsabilizzazione delle Regioni. Per i centralisti invece una strategia economica unificata (agricoltura, turismo, beni culturali) in epoca di crisi sarebbe necessaria. Io sono un realista migliorista. Purtroppo l’Italia è fatta così e non credo che abbia giovato all’economia italiana l’autonomia data a certe Regioni che ne hanno abusato a spese di tutti.
c) Il Senato sarebbe meglio gestito alla tedesca cioè con rappresentanti delle Regioni che controllano, ma non decidono.
d) La personalizzazione di un referendum costituzionale (peraltro richiesto dal Presidente Napolitano per accettare la sua rielezione) è un espediente per autolegittimare di fronte all’elettorato chi lo propone (vedi Chirac in Francia, Cameron in UK), ma è uno strumento improprio: si decide infatti delle regole dello Stato non della eleggibilità o conferma di un premier, e in molti casi si è ritorto contro chi lo ha cavalcato.
E allora?
Credo voterò sì perché:
1) A livello internazionale l’Italia è il malato (di debito pubblico, di giustizia civile elefantiaca, di classe dirigente gerontocratica, di disoccupazione giovanile qualificata, di esodo di laureati all’estero, di burocrazia logorroica e legalistica) . Ma non deve anche esserlo di promesso (da 30 anni) e poi mancato adeguamento delle Regole alle trasformazioni della società e dell’economia mondiale. Pena la non credibilità a livello internazionale delle nostre imprese, soprattutto piccole e medie (il nerbo anche occupazionale dell’economia italiana), dei nostri manager, dei nostri intellettuali liberi (pochi, spesso ignorati perché scrivono in una lingua poco nota), dei nostri laureati e tecnici, delle nostre eccellenti qualità (duttilità, creatività, artisticità, curiosità, umanità) spesso offuscate dai nostri difetti italioti (che per carità di patria non evoco).
2) Il 5 dicembre potrebbero scatenarsi gli speculatori internazionali che scommettono sulla crisi di credibilità dei titoli di uno Stato in impasse per guadagnare cifre enormi, mettendo, almeno temporaneamente, in “braghe di tela” il Ministero dell’Economia, facendo lievitare il debito pubblico e costringendoci a lasciar trasferire ai nostri figli e nipoti un “peso” insostenibile che non meritano di ricevere e che potrebbero un giorno rimproverarci di non avere, per egocentrismo contingente, saputo frenare.
3) Il vero tema è la legge elettorale, ma il mio mentore Mortati e il mio maestro Elia ci insegnarono che le leggi elettorali si fanno o in momenti di post-crisi drammatica o con il “ velo di ignoranza” sui possibili esiti. Se no chi ci guadagnerebbe è a favore e chi ci perderebbe è contro: è umano e ragionevole anche se non razionale.
In ogni caso per come è fatta l’Italia il metodo proporzionale, sia pure adeguatamente corretto, è quello che rappresenta la società italiana che non è mai stata monolitica, come le storiche monarchie europee, o bipolare come l’Inghilterra dei “whigs “ contro i “tories” o dei “repubblicani” contro i “ democratici” negli USA. È una recezione impropria di un modello anglosassone che forse ha funzionato là (non più ora) ma non qua e che tutela le “rendite di posizione” dei vecchi partiti contro i “new comers” innovativi o le minoranze culturali e sociali.

Certo del governo Renzi non mi piace il metodo di ottenere consenso con “ elargizioni” una tantum (equivalenti agli “sconti” dei condoni precedenti), il nepotismo cammuffato da giovanilismo, le compagnie in odore di “fratellanza”, il linguaggio filopopulistico. Ma tant’è! Ci siamo abituati a tutto ciò da 25 anni!
Occorre essere consapevoli che il politico-statista guarda alle strategie a medio termine nell’interesse dell’istituzione che rappresenta, il politico-tattico mira alla gestione delle battaglie parlamentari. Il politicante mira alla vittoria immediata nel convincimento/timore che non avrà un’altra occasione per mantenere il proprio piccolo potere. E con l’avvento del potere telecratico ed ora webcratico, ce lo diceva 45 anni fa Bobbio, la democrazia rappresentativa può essere stravolta e trasformata in un “gioco” o in una “rappresentazione” nella quale gli attori prevalgono, i burattinai stanno dietro le quinte, i registi hanno da tempo prefigurato gli esiti e il pubblico applaude a comando.
Se tutto ciò rappresenta la fine di un epoca, del “paradigma rappresentativo” sette-ottocentesco, io mi limito, come giurista comparatista e come studioso sociale a tentare di individuare ciò che verrà dopo per insegnarlo ai miei figli , ai miei studenti e perché no ai miei nipotini, perché si attrezzino.
Un abbraccio e …buon voto!