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Il nostro NO alla riforma
 
di Guido Bodrato
 

Sta per concludersi la competizione elettorale più lunga della storia repubblicana, un referendum confermativo che ha scavato un profondo solco tra gli schieramenti a favore e quelli contro la riforma della Costituzione, lasciando infine il voto decisivo nelle mani degli indecisi, circa il 30 % degli elettori.
All’inizio della corsa, la maggioranza degli italiani condivideva il progetto politico che si propone di rafforzare i poteri del premier e di modernizzare le istituzioni. E Matteo Renzi si attendeva un plebiscito. Il sondaggio di novembre prevedeva invece un Sì al 45 % dei voti, e una maggioranza di NO. Renzi ha riconosciuto di avere sbagliato a personalizzare la sfida elettorale; tuttavia, dopo aver teso la mano ai suoi oppositori, invitandoli a giudicare la riforma “nel merito”, ha dato il via ad una aggressiva presenza televisiva “contro l’accozzaglia dei NO” e contro un voto che – a suo parere – avrebbe minacciando la ripresa economica del Paese. E non meno aggressivo è diventato il linguaggio di Grillo e di Salvini. La competizione tra gli opposti schieramenti si è così radicalizzata e ha cancellato ogni spazio per un confronto sul merito della riforma e su una legge elettorale che resta comunque in attesa del giudizio della Corte Costituzionale.

Sul voto, specie su quello degli indecisi, domina comunque un interrogativo che riguarda il “dopo”.
In questa situazione, molti Sì sembrano quasi un NO. Penso alle dichiarazioni di Massimo Cacciari, di Gad Lerner e di Walter Veltroni, critici con la riforma, molto preoccupati per il salto nel buio del 4 dicembre. Nell’articolo di “Repubblica” che riassume la sua opinione sul significato del referendum, Scalfari ha scritto: “Strada facendo (...) questo referendum ha cambiato il significato che gli attribuisce gran parte dei cittadini (...): chi voterà Sì lo farà per rafforzare l’autorevolezza di Renzi; chi voterà NO lo farà per mandarlo in soffitta”. Con l’incertezza cresce anche la convinzione che, come in America, i sondaggi si riveleranno bugiardi.
Questo contesto – sempre più confuso – crea disagio a chi giudica “nel merito” la riforma Boschi e l’Italicum, considerandoli espressione di un unico progetto politico, e motiva il proprio No con riferimento alla qualità della democrazia, al fatto cioè che il cambiamento promesso provoca in realtà un peggioramento della Costituzione. Questa è comunque la mia convinzione, ed è la convinzione di autorevoli costituzionalisti di tradizione cattolico-democratica, come Ugo De Siervo e Valerio Onida.
Con questo mio NO, vorrei anche evitare che il referendum, contro la migliore delle intenzioni degli amici che voteranno Sì, finisca col favorire la scalata al potere della ammucchiata che in occasione delle elezioni amministrative di giugno ha portato al successo i candidati del M5S (a Roma e Torino), rendendo evidente la fine del bipolarismo destra/sinistra. Non a caso, riflettendo sul quella sconfitta, il PD ha promesso la correzione di una legge elettorale che aveva tenacemente difeso, come punto di forza del suo progetto. Non penso che con l’Italicum il PD si proponesse una deriva autoritaria; penso tuttavia che la concentrazione del potere e la personalizzazione della politica, immaginati come pilastri della governabilità, possono diventare una minaccia per la democrazia rappresentativa e possono aprire le porte al dilagare del trasformismo, riportando il Paese al tempo dell’Italietta prefascista.

Le critiche dei Popolari alla riforma Boschi vanno collocate in questo orizzonte. Superare il bicameralismo “paritario”, primo obiettivo della riforma, non significa minacciare la democrazia. Però chi lo considera l’avvio di un cambiamento, dopo trent’anni di immobilismo, dovrebbe riconoscere che anche questa legislatura ha dimostrato che i tempi dell’attività parlamentare dipendono dalle scelte del governo, dalla coesione della maggioranza, dai regolamenti parlamentari, più che dalla sovrapposizione del Senato alla Camera dei deputati. Renzi è in contraddizione quando esalta il bilancio politico del suo governo e della maggioranza parlamentare, e nello stesso tempo accusa la Costituzione del ’48 di favorire l’instabilità del governo e di rallentare l’iter delle leggi. Altre sono le cause della “cattiva politica”. D’altra parte, questo referendum non abroga il Senato: rimane in vita un “Senato consultivo”, senza il voto di fiducia al Governo – che resta prerogativa della Camera – ma con un insieme di competenze che complicheranno egualmente l’iter legislativo. Quanto al conflitto di attribuzioni, dovremmo riflettere sia sulle osservazioni di alcuni ex presidenti della Corte che riguardano le sentenze che hanno già consolidato il prevalere dell’interesse nazionale su quello regionale, sia sulle mancate “leggi quadro” sui rapporti Stato/Regioni, che erano di competenza del Governo e/o del Parlamento nazionale.

Anche più importante è riflettere sulla nuova composizione del Senato e sulle modalità per l’elezione di 95 (su cento) nuovi senatori. La scelta dei 74 senatori assegnati alle Regioni e alle Province di Trento e Bolzano, avviene senza alcun rispetto per l’importanza di queste diverse realtà territoriali, ed è assegnata ai Consigli regionali senza alcun rispetto per la norma (prima parte della Costituzione) che assegna la sovranità al popolo. La modalità di questa scelta, che riflette l’appartenenza dei senatori ai partiti che li scelgono, non permette di qualificarla con riferimento al “Senato delle Regioni”, come avverrebbe secondo il modello tedesco.
Anche per i 22 sindaci-senatori valgono critiche dello stesso tenore: i sindaci-senatori saranno scelti dai Consigli regionali (non da un secondo turno tra i sindaci); e si tratterà della cooptazione di sindaci dei capoluoghi di Regione, sempre con riferimento alla loro appartenenza politica. Una scelta dall’alto, anch’essa sottratta agli elettori. Un vulnus per la democrazia.
D’altra parte, la riduzione del numero dei senatori e dei relativi costi, motivata – anche da Renzi – con gli argomenti dell’antipolitica, non può giustificare una riforma che cancella la sovranità popolare e si piega agli interessi di potere delle nomenclature. Se l’obiettivo politico era quello di ridurre il numero dei parlamentari e i costi della politica, senza indebolire il sistema democratico, questo obiettivo sarebbe stato raggiunto assai meglio seguendo altre vie, e considerando in questo obiettivo anche la Camera dei deputati..

Quanto alla riforma del Titolo V, relativo ai rapporti tra Stato e Regioni, l’obiezione più radicale riguarda il fatto che le Regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Friuli, Valle d’Aosta) conservano tutti i loro storici privilegi, mentre vengono ridotte le competenze delle Regioni a statuto ordinario. Questo fatto aumenta – invece di ridurle – “diseguaglianze istituzionali” sempre meno giustificabili, diseguaglianze destinate a provocare nuove tensioni amministrative e sociali. Ed è vergognoso che questa rinuncia a decidere su un tema di tale importanza, venga difesa con l’affermazione che “altrimenti la riforma sarebbe stata bloccata”: è prevalso il voto di scambio a favore delle Regioni a statuto speciale?

Concludo con una riflessione sinora lasciata in ombra, che a me appare di particolare importanza.
Sono definitivamente cancellate dal testo della Carta costituzionale le Province, mentre sono rimaste in vita le Città metropolitane. Questo fatto aumenta le distanze “istituzionali” tra l’Italia delle “cento città”, dei mille borghi, l’Italia spesso dimenticata perchè non ha voce, e l’Italia delle metropoli. Con le grandi città, con i sindaci di queste amministrazioni, Renzi sottoscrive da qualche tempo “patti” televisivi, che ricordano il “patto con gli italiani” di Berlusconi, la società dell’immagine, la politica spettacolo. Non sottovaluto il ruolo che si sono conquistate le città metropolitane – Roma e Milano, Torino e Napoli, ecc. – nell’Europa e nel mondo. Osservo tuttavia che anche con queste decisioni il potere amministrativo viene concentrato. E contemporaneamente viene indebolito – insieme al pluralismo sociale e politico – il valore dell’autonomia, uno dei pilastri del pensiero cattolico democratico.
Osservo infine che alcuni politologi, nell’analizzare i risultati delle ultime elezioni e l’imprevisto successo del populismo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, indicano nella rivolta delle campagne (dimenticate dalla politica) contro le città (in cui si concentrano gli interessi dell’establishment), uno dei fattori su cui riflettere.
La decisione di votare NO in occasione di un referendum che obbliga a un giudizio complessivo, con un solo voto, su una riforma costituzionale, mi espone – con altri amici Popolari – all’accusa di esserci confusi con l’eterogeneo schieramento qualunquista e lepenista che punta essenzialmente alla crisi di governo. Mi amareggia pensare che questa decisione metterà in crisi qualche amico.
In realtà in questi giorni dovremmo ricordare la riflessione di Aldo Moro sulla “democrazia difficile” e porci questa domanda: perché contano così poco i princìpi della Costituzione repubblicana, quando è in discussione il futuro della nostra società e delle istituzioni democratiche?


Manlio Campana - Gambettola FC - 2016-11-30
Condivido in pieno l'analisi dell'amico Bodrato. Mi rimane un'ultima curiosità: perchè Il Presidente del Consiglio ha voluto a tutti i costi un referendum su questa riforma costituzionale, che ritiene ottima ed indispensabile, quando non ve n'era la necessità, visto che l'art. 138 della costituzione prevede la possibilità (non l'obbligo) di indire un referendum confermativo visto che la legge non è stata approvata con la maggioranza dei due terzi.
Luciana Borello - 2016-11-30
Non sono più iscritta al partito da qualche anno perché non ho più sentito presenti i principi che mi avevano convinta a farlo. Anche da non militante voglio però confermare il mio assoluto apprezzamento per Guido Bodrato e per la sua lucida disanima. Voto convintamente No non contro Renzi, seppur non apprezzandolo particolarmente, e la riflessione di Aldo Moro, riportata nell'ultimo paragrafo da Bodrato per me è assolutamente esaustiva.
giuseppe cicoria - 2016-11-29
Non cambio idea. Condivido appieno quanto esaurientemente riassunto da Guido. Voterò NO con convinzione e spero che anche tutti gli altri amici del No si facciano sentire. Altrimenti sembra che il nostro cenacolo politico è orientato prevalentemente per il SI, coraggio....! Capisco le pressioni ma..... Non apprezzo per niente quelli che criticano molti punti della riforma ma votano si. Si sta votando un pacchetto senza scelte. Se anche un punto non va si DEVE votare NO senza indugio. E' la CARTA COSTITUZIONALE che si sta votando non un emendamento poi emendabile con facilità. Cerchiamo di essere seri e difendiamo una buona volta gli interessi di tutti i cittadini.
Giuseppe Davicino - 2016-11-29
Al netto della propaganda, di questa riforma rimangono le criticità evidenziate magistralmente da Bodrato. Ribadisco il mio giudizio su di essa: un diversivo rispetto alle vere emergenze del Paese, che una campagna elettorale iperbolica, ha reso fuori misura e incomprensibile per il comune buon senso. Temo una partecipazione al voto molto bassa. Comunque vada, da lunedì avremo un Paese da unire e delle istituzioni da riformare con ampio consenso.
Carlo Baviera - 2016-11-29
Sempre opportune le riflessioni di Guido, che condivido totalmente. Anche a me infastidisce essere accomunato nel voto a personaggi e movimenti inqualificabili, ma questo succede spesso quando la politica è costretta a trasformarsi in un sì o un NO. E comunque difendere come Popolari gli aspetti sottolineati da Guido, come essenziali per la vita democratica e partecipativa, e il far parte di quello schieramento variegato e disomogeneo, nel caso di vittoria del NO, significa non lasciare solo a Salvini, Grillo, e Brunetta il merito: evitando contro derive di tipo populista/qualunquista. Vorrebbe dire che le persone equilibrate e ragionevoli dei due schieramenti dovrebbero tornare a parlarsi e procedere senza scomuniche reciproche.
Domenico Piacenza - 2016-11-29
L'acume politico e l'intelligenza accompagnata dalla razionalità non sono certo venuti meno. Personalmente ho preferito non intervenire in un dibattito che quasi sempre ha affrontato problemi affatto estranei al tema del contendere e con una pervicacia e una supponenza davvero esemplari. Preferisco parlarne dopo a ragion veduta. Permettimi solo di fare una piccolissima osservazione sulla scelta dei senatori da parte del voto popolare e non dei partiti. Ho fatto per molte volte da giovane e da meno giovane parte delle commissioni elettorali per la composizione delle liste e per l'indicazione dei nomi per i collegi. Se la mia memoria non falla Bertone a Mondovì e Guglielmone a Pinerolo sono sempre stati scelti dal voto popolare?
ANONIMO - 2016-11-28
Non penso affatto che con questo referendum siano in ballo il futuro della nostra società ne tantomeno quello delle istituzioni repubblicane, penso che con le modifiche proposte dalla riforma sottoposta a referendum si semplifichi il processo decisionale e si riducano sensibilmente i costi della politica senza intaccare minimamente l'autorevolezza e la solidità delle nostre istituzioni.
Arnaldo Reviglio - 2016-11-28
Ci sono dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione che non possono essere sovvertiti o modificati nemmeno da leggi di revisione costituzionale. Questi principi affermati soprattutto nella prima parte della Costituzione sono in gioco nella seconda, che ne dovrebbe garantire l’attuazione, ma proprio questi vengono disattesi o addirittura traditi nella riforma sottoposta al voto popolare del 4 dicembre. Ben vengano dunque le ulteriori riflessioni di Guido Bodrato che dovrebbero aiutare in particolare gli amici Popolari e tutti i lettori ancora indecisi. Condivido anche molte cose scritte da Gianfranco Morgando, ma a lui e agli amici che la pensano nello stesso modo suggerirei "Un NO tra luci e ombre": il punto fondamentale non è guardare agli assetti politici futuri, ma è salvaguardare lo spirito della Costituente. Renzi aveva promesso che l'Italia cambia verso: non mi sembra proprio che sin qui il bilancio sia così positivo, anzi. Ancora due riflessioni: la riduzione dei costi della politica deve cominciare da una drastica riduzione delle indennità (le più elevate d'Europa)- e non solo quelle dei parlamentari - sia dal rispetto delle autonomie locali (l'Italia dei Municipi).