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Lectio degasperiana (2)
 
di Sergio Mattarella
 

Ed ecco la seconda parte della lectio magistralis che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dedicato ad Alcide De Gasperi.

Alcide De Gasperi è anche uno dei Padri dell'Unione Europea.
Il suo non fu soltanto l'europeismo di chi cercava una sponda politica e commerciale internazionale, non fu un universalismo da vecchia Società delle Nazioni: esso aveva invece radici culturali e politiche molto profonde, che divennero la preoccupazione centrale degli ultimi anni della sua vita, tra il 1950 e il 1954, anni talvolta anche ingrati, quando affrontò momenti difficili.
De Gasperi aveva vissuto la crisi dei grandi imperi. Come altri grandi leader del Novecento aveva avvertito la stagione dei totalitarismi, non soltanto come una sconfitta politica, ma anche come una crisi di civiltà.
Conosceva perfettamente il gioco politico tra le nazioni e, sull'esperienza del dopo primo dopoguerra, non si illudeva che, senza un impegno stringente, sarebbe automaticamente prevalsa la logica della pace e della cooperazione tra i popoli.
Era convinto, a ragione, che il mondo germanico e il mondo latino avessero entrambi da guadagnare nello stare vicini e che il mondo anglosassone e americano rappresentasse il miglior esempio al mondo di lungimiranza democratica.
Sperimentata la strada di una Unione doganale italo-francese che rilanciasse una missione dei Paesi latini nel mondo, De Gasperi si mosse decisamente sulla via della integrazione occidentale, nel cui ambito la dimensione europea avrebbe ben presto acquisito rilievo.
De Gasperi intuiva che l'Europa non era una prospettiva da tempi ordinari, ma per tempi straordinari, e per leader autentici, e che, se si fosse lasciato passare troppo tempo, l'assestarsi del quadro economico internazionale e lo stesso venir meno della fase più dura della guerra tra i blocchi, avrebbe potuto sospingere le nazioni europee nelle braccia di politiche nazionaliste ed egoiste.
Guerra e violenza dovevano, nella sua visione, essere bandite dall'Europa, ferma restando la rigorosa, incondizionata e ferma opposizione ad ogni totalitarismo nemico del genere umano.
Aveva sempre pensato che un'unità europea fosse possibile soltanto con un esercito comune e con una moneta europea, ma al momento opportuno intuì che l'ipotesi Schuman della costituzione della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (la Ceca) era una risposta efficace per legare la dimensione europeistica alla questione sociale, alla produzione materiale e alla circolazione dei lavoratori, a vantaggio del progresso, senza, per questo, cedere a visioni funzionalistiche dell'unità europea.
Nessuna prospettiva federalista europea avrebbe, inoltre, potuto affermarsi senza l'attribuzione di poteri costituenti a nuove assemblee politiche.
Si batté, quindi, con l'appoggio degli Stati Uniti e nonostante le resistenze britanniche, affinché nel progetto di trattato sulla Comunità europea di Difesa (la CED) si scrivesse che la sua assemblea parlamentare avrebbe agito come una specie di Costituente europea, per arrivare a una proposta politica in senso federale.
Siamo ancora lontani da questo obiettivo, ma esso era, e rimane, l'unico storicamente valido.

Viene da pensare, con rammarico, alla recente fatica della Convenzione che ha portato, per gli insuccessi nei referendum francese e olandese, alla bocciatura della Costituzione Europea e al successivo Trattato di Lisbona, molto meno ambizioso.
L'Unione Europea non può ritrarsi dalle sue responsabilità e il cosiddetto metodo intergovernativo nelle decisioni non può surrogare il valore democratico delle istituzioni europee, specie del Parlamento di Strasburgo.
Tanto meno questo può avvenire dopo la decisione nel referendum britannico che richiede un rilancio dell'integrazione e non una sorta di appiattimento sulle resistenze che hanno condotto a quel risultato negativo.
A sfide sempre più globali occorrono risposte politiche europee, concordate a tutti i livelli.
Sia il terrorismo, siano le crisi finanziarie, sia il tema delle migrazioni, nessun Paese è in grado di affrontarle da solo, soprattutto in Europa.
Cornice repubblicana e cornice europea, insieme, sono quindi l'ambito più efficace dell'iniziativa dell'Italia contemporanea.

Anche l'autonomia del Trentino e dell'Alto Adige-Sud Tirol va letta in modo propositivo e nello spirito dell'unità nazionale ed europea.
De Gasperi era un trentino che aveva vissuto con la sua gente il disagio di essere troppo lontani da tutto, da Vienna e da Roma.
Sempre alla ricerca di un difficile equilibrio istituzionale e sociale si batté per dare a questa ricerca il supporto di un'autentica partecipazione democratica alla vita sociale: è stata una visione vincente come dimostrano i risultati che in queste Province sono stati raggiunti in molti campi.
De Gasperi fu tra i pochi che vide che i confini, anche quelli naturali, non bastano a garantire la convivenza e la pace: «Registrare al di qua e al di là del Brennero dei contrasti locali e regionali è cosa facile... – disse nel discorso tenuto a Trento il 25 novembre 1948 – ma la principale virtù della democrazia è la pazienza. Bisogna attendere alle cose con tenacia e vigilanza, con la coscienza che le cose debbano sempre maturarsi».
La riconferma delle frontiere del 1919 fu una decisione delle quattro potenze alleate e De Gasperi seppe tradurla in una esperienza esemplare per la convivenza tra i popoli.
Le storie di confine sono sempre storie multilaterali. Questa consapevolezza e la lungimiranza di De Gasperi e del ministro austriaco Gruber condussero all'Accordo del 5 settembre del 1946.
L'autonomia non è un fatto contabile o uno scudo contro presunte invasioni di campo.
È un investimento in positivo che richiede l'impegno di tutte le istituzioni, da una parte e dall'altra.
Non è un privilegio immeritato, ma certo impone un supplemento di responsabilità.
Sudtirolesi, altoatesini, ladini e trentini sanno di dovere vivere la loro autonomia come esempio di responsabilità, d'intelligenza non localistica e anche d'innovazione politica, come qualcosa che non riguarda soltanto i loro interessi materiali.
De Gasperi – come disse alla Assemblea Costituente – era contro le "repubblichette che pretendessero di disgregare l'unità della Repubblica" e comprese prima di altri il beneficio che una solida Repubblica unita avrebbe arrecato a tutte le minoranze, e ne avrebbe ricevuto, e fece ogni sforzo per migliorare i rapporti tra italiani e sudtirolesi, anche grazie all'impegno dei trentini.
Era convinto che l'ottenimento effettivo dei diritti naturali della minoranza etnica tedesca, e il loro rispetto, sarebbe stato aiutato dalla compartecipazione dei trentini, che avevano anche loro conosciuto – soprattutto nei duri anni della Prima guerra mondiale – il disagio, a parti invertite, di essere una minoranza incompresa.
De Gasperi voleva dimostrare che l'Italia era capace di «spirito di larghezza» e che – come ribadì il 29 gennaio 1948 nell'aula della Assemblea Costituente – "l'Italia democratica era ben diversa dall'Italia fascista e che il metodo del governo attuale era quello di fare appello alla fiducia dei popoli e alla libera collaborazione".
L'ambizione era alta: il ministro degli esteri britannico, Ernest Bevin, non ebbe dubbi nell'auspicare che la questione sudtirolese diventasse un esempio di come i popoli possono evitare che il nazionalismo abbia il sopravvento sul buonsenso e sulla soluzione dei problemi concreti.
Un auspicio che, a giudizio degli studiosi, si è tradotto in un "unicum" per l'Europa, in termini di protezione delle minoranze e di collaborazione transfrontaliera. Un'autonomia la cui definizione e integrità costituisce motivo di orgoglio per la democrazia italiana.
Un esempio su cui riflettere e a cui guardare ancora oggi nella comunità internazionale.

Il depotenziamento della frontiera del Brennero, del tema etnico-nazionale, ha permesso di affrontare in modo costruttivo il rispetto e il riconoscimento delle attese delle popolazioni coinvolte.
Oggi, dopo l'ingresso dell'Austria nella Ue e con il Trattato di Schengen, si sono definitivamente superate e tradotte in collaborazione rivalità secolari e ferite della storia. Guai a porre in dubbio, per motivi contingenti, questo storico risultato.

In un celebre discorso del 1948, a Bruxelles, su "Le basi morali della democrazia", De Gasperi ebbe a spiegare che la politica non si fonda sulla distinzione astratta tra l'uomo pubblico e l'uomo privato, ma sulle condizioni storiche date e sulle condizioni sociali su cui poter fare affidamento nell'impegno politico.
Il capitale politico di cui un Paese dispone non può essere separato da chi ne è titolare, dalla sovranità popolare
, diversamente da quanto avviene per altre forme di capitale.
La democrazia, per De Gasperi, necessita di alcune virtù collettive: di una "attiva coscienza democratica" che deve essere "operante nel popolo": di una democrazia irriducibile a "un regime di istituti" solo formali, e che deve piuttosto diventare "una filosofia interiore che si alimenta non solo degli elementi razionali nell'interesse comune, ma anche e soprattutto degli elementi ideali che pervadono le tradizioni spirituali e sentimentali e la storia della nazione".
Da queste sue parole consegue il riconoscimento – per ogni essere umano – della possibilità di mettere in atto uno "sforzo di liberazione interiore" fondato su una capacità di libertà che è al contempo un dono e un compito: qualcosa che si riceve, ma anche una responsabilità.

Per De Gasperi, vi era un'altra virtù il cui esercizio era indispensabile per la salute della democrazia. Era la virtù della "pazienza" "di fronte alle lentezze dell'uomo".
Non si trattava semplicemente di esser calmi e di mantenere i nervi saldi: si trattava di esercitare la speranza.
De Gasperi è più sorprendente di quanto si creda: sempre nel discorso di Bruxelles del 1948 disse: "Non abbiamo il diritto di disperare dell'uomo, né come individuo né come collettività, non abbiamo il diritto di disperare della storia, poiché Dio lavora non solo nelle coscienze individuali, ma anche nella vita dei popoli". Così De Gasperi.
Non abbiamo il diritto di disperare!

Le preoccupazioni e le esortazioni del grande statista restano valide anche oggi, particolarmente riguardo all'Europa.
L'unità europea, in un certo senso, è sempre un'impresa in salita, dove alle difficoltà e alle visioni anguste si devono contrapporre fattori ideali e politici.
Senza una memoria condivisa sulla storia dell'Europa moderna, continente straordinario per innovazioni di ogni genere, ma anche in preda a forti tensioni, non sarà possibile cogliere il valore politico di una unione che va molto al di là delle convenienze minute e particolari.
La matrice umanistica dell'Europa non è soltanto di tipo estetico e letterario, ma civile: l'Europa moderna ha nel cuore un'idea fattiva e attiva del bene e del progresso economico e sociale e premia l'accordo tra la concretezza dei bisogni e il riconoscimento di sempre nuovi diritti.
Sprovvista delle sue autentiche ambizioni l'Europa non può esistere.
Non sono le banche o le transazioni commerciali che hanno determinato l'Unione europea, ma uomini politici e parlamenti lungimiranti: non sono le crisi finanziarie che potranno distruggerla, ma soltanto la nostra miopia nel non riconoscere il bene comune.
Dare voce a chi, soprattutto tra i giovani, sente già l'Europa come il proprio ambiente di vita; tradurre in regole ciò che è già vissuto come naturale, talvolta persino avvertito come scontato; dare risposta a chi è in difficoltà, lavorando per una politica di solidarietà civile diffusa: questo è il compito dei politici per il futuro.
Un compito di preveggenza, non di retroguardia, non di affannosa rincorsa di sfide inattese.
Un compito d' intelligenza, non di approssimazione o superficialità.
In una parola un compito ideale, a cui devono prepararsi coloro che si sentono così fiduciosi nella dignità della politica da sentirsi interpellati davanti a uomini come De Gasperi.
La storia ce ne mostra la levatura. La passione civile la vicinanza.
Tutti abbiamo il dovere di guardare al suo insegnamento, e al suo coraggio, per trarne ispirazione di fronte ai problemi attuali, difficili ma certamente non di più di quelli che De Gasperi, nel suo tempo, ebbe il compito di affrontare.


Carlo Baviera - 2016-08-26
Matterella (anche grazie ad ampie citazioni di De Gasperi) rende evidente l'importanza di una visione, di una sensibilità e di una cultura politica che fa riferimento al cattolicesimo democratico, sociale e popolare. Una presenza che può ancora offrire suggerimenti e obiettivi indispensabili per una democrazia e per un popolo libero e responsabile. Grazie Presidente. Speriamo che chi condivide non resti nella scia di altre culture, ma insieme ad altre eperienze e visioni operi per il bene comune, per il personalismo solidale e comunitario, per le autonomie, per l'Europa Federale