Stampa questo articolo
 
Serve in Italia la cultura cattolico-sociale
 
di Giampiero Leo
 

Colgo l’occasione dello scambio di opinioni fra amici da tempo impegnati in politica, e che si richiamano alla tradizione cattolico democratica. Per economia di spazio, dichiaro subito che condivido in larghissima parte quanto scritto da Giorgio Merlo. Lui titola il suo intervento “nel PD serve una sinistra sociale”, e sviluppa una serie di argomenti a sostegno di questa tesi.
Mio convincimento è che al nostro Paese serve (ovviamente non in via esclusiva o “integralista”) il recupero e lo sviluppo di una cultura cattolico-sociale. Proverò – in maniera sintetica e quindi un po’ semplicistica e approssimativa – ad indicarne alcune ragioni.

1. Le diseguaglianze sociali, che con la crisi sono ulteriormente, vergognosamente, aumentate, vanno affrontate con decisione. Le basi di partenza per questo doveroso compito, non possono, però, essere la demagogia o l’odio sociale. Un impegno serio, incisivo, duraturo, non può che partire da una concezione della persona basata sul rispetto profondo del suo essere, delle sue esigenze più profonde, della sua umanità, non su un progetto di potere volto a trasformarlo in un militante per la propria fazione, oppure in un adepto acritico.

2. Per un cattolico (“democratico”, “popolare” o “sociale” che sia) ogni atto “vero” della propria vita, trova solide radici nella fede. Credo, pertanto, sia auspicabile un cattolicesimo vivo, appassionato, convinto, che non si ponga di fronte “all’altro” in termini di chiusura e rifiuto, ma di dialogo e apertura. Sapendo che si ha molto da ricevere, ma anche molto da offrire e donare. In questo senso, l’esperienza del coordinamento interconfessionale “Noi siamo con voi”, non ha prodotto compromessi o mediazioni al ribasso, bensì una crescita di ogni componente, che, dal confronto sincero, e nel lavoro comune, ha trovato stimoli e spunti per dare il meglio di sé e della propria storia.

3. Quanto ho provato a illustrare è contenuto, in maniera eccelsa, nella “dottrina sociale cattolica” e, provvidenzialmente, sta ricevendo linfa nuova, energia e sprone dall’insegnamento di Papa Francesco. Basti leggere con attenzione la “Laudato sii” e per quanto riguarda l’impegno politico – che Papa Bergoglio indica come ineludibile per un cristiano – l’ Evangeli Gaudium.

4. In questo contesto sono stati opportunamente sottolineati i reiterati appelli del nostro Arcivescovo, mons. Cesare Nosiglia, sui delicati e fondamentali temi della inclusione, della solidarietà, della condivisione, della tradizione sociale della nostra Chiesa. Credo sia giusto ricordare – a tale proposito – due fatti: la Chiesa torinese ha da tempo promosso “L’Agorà del sociale” per dare un contributo fattivo, all’affronto dei problemi della nostra comunità, richiamandosi, appunto, all’esempio e all’operato dei “Santi sociali”. E poi lo stesso mons. Nosiglia, ha però più volte affermato che “erano sociali in quanto Santi, e non Santi in quanto sociali”. Come dire, che la pur nobilissima categoria dell’impegno sociale, non dovrebbe essere separata da un sentire ancora più profondo e desideroso di servire l’umano nella sua pienezza.

In conclusione, nella volontà di guardare avanti, non si può, però, mandare in soffitta o nel dimenticatoio, quella cultura, che, non solo ha prodotto politici straordinari come De Gasperi, La Pira, Moro, fino a Donat-Cattin e Bodrato, ma che, anche oggigiorno, appare fra le più adatte per affrontare i drammi, le complessità, le sfide del mondo d’oggi.


Andrea Griseri - 2016-08-18
Commento gli articoli di Leo e di Merlo. Non da ora i nostri pastori richiamano i christifideles laici alle loro responsabilità nella dimensione politica. Si tratta di testimoniare la verità declinandola nel mondo del relativo. Ci troviamo di fronte a un molteplice fallimento: la crisi ormai irreversibile del modello di capitalismo che si è imposto negli ultimi 30-35 anni, l'incapacità del liberalismo tradizionale, degenerato in neoliberismo ottuso, di proporre ricette che non siano accettabili se non da quel percentile di superricchi planetari (l'1% di Davos), l'inefficacia delle soluzioni socialcomuniste (e l'inaccettabilità almeno per noi cattolici della loro concretizzazione storica), la drammatica crisi ecologica conseguenza della corsa all'accumulazione sempre più frenetica con cui un capitalismo in crisi cerca di salvare se stesso. Ecco: in primo luogo dovremmo proprio cercare di elaborare a partire dalla (o dalle) dottrine sociali sviluppatesi nel segno della fedeltà alle scritture e alla tradizione (di cui beninteso il Concilio è parte!) una lettura critica e originale della situazione; senza lasciarsi influenzare da pensieri unici o Consensus di diverse specie. Creare in primo luogo (la nostra Associazione sta seminando qualche granello di senape in tal senso) spazi aperti di confronto e dibattito (anche smuovendo il mondo accademico dalle sue ingessature, paure, rendite di posizione culturale) e poi elaborare proposte, soluzioni da offrire a una politica troppo spesso asservita (e talora i politici non sanno neppure con chiarezza a che cosa sono asserviti) e ignorante. Occore essere spregiudicati, qualche volta la salvezza viene dalla terra straniera (Isaia...): per esempio l'ultimo capitolo, quello propositivo, del testamento spirituale del grande professor Gallino (la crisi spiegata ai nipoti, la doppia crisi) contiene suggestioni importanti. Certamente non dobbiamo attribuire carismi oracolari alle roskstar del pensiero economico critico ma mi ha addolorato leggere sulla Stampa l'articolo di Stefano Lepri sulle recenti provocazioni di J.Stiglitz: un tono fatuo di chi cerca, forte di un'ortodossia sempre più pericolante di ridicolizzare un avversario che mette il dito nelle ferite aperte, senza illustrane o discuterne le tesi. Il ruolo del cattolicesimo sociale, unico sistema di idee non toccato dalle crisi dei vari "ismi" oggi è storicamente questo: aiutare la presa di coscienza sugli aspetti irreversibili della crisi globale e elaborare soluzioni realistiche, senza pericolose derive utopiche, capaci di riconnettere la società in una trama che assicuri libertà, equità sociale, dignità umana, tutela delle condizioni biologiche necessarie alla vita. Guai se ci si riducesse a proporre qualche soluzione distributiva a posteriori senza intervenire sugli aspetti strutturali della crisi (a partire da una radicale riforma del sistema finanziario e della sovranità monetaria da riportare in mani pubbliche). E senza mai perdere di vista la complessità globale della crisi e l'interdipendenza dei diversi scenari regionali. Occore uun livello di analisi "universale" ma grazie a Dio... siamo cattolici.