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Meglio un Italicum per coalizioni
 
di Giorgio Merlo
 

Com'era facilmente prevedibile, almeno stando ai sondaggi poi confermati platealmente dal voto del 5 e soprattutto dai ballottaggi del 19 giugno, è ritornato con prepotenza all'attenzione del dibattito politico nazionale il tema della legge elettorale. O meglio, della riforma della legge elettorale approvata qualche mese sotto il nome di Italicum. Pare ormai evidente a molti che nello scenario politico che si è venuto delineando nel nostro Paese l'Italicum rischia di dar vita a esiti catastrofici non solo per il PD ma per la stessa garanzia della rappresentanza democratica.
Al riguardo, mi soffermo su due sole questioni che ritengo centrali ai fini di una piccola, ma significativa, modifica dell'impianto varato all'indomani del risultato delle elezioni europee. Che ormai, purtroppo, appartengono già alla storia politica del passato.

Innanzitutto è tramontato definitivamente il bipolarismo, che è stato un elemento costante della cosiddetta Seconda Repubblica. Centrodestra e centrosinistra ormai rappresentano poco più della metà dell'elettorato italiano e non sono affatto esaurienti ai fini della lotta per la conquista del potere. Il sistema politico italiano, in particolare dopo il voto delle recente tornata amministrativa, è ormai saldamente tripolare. E con il tripolarismo il ricorso al ballottaggio previsto dall'Italicum consegna, quasi matematicamente, la maggioranza dei consensi al partito che non è al governo. E questo per la semplice ragione che le opposizioni – seppur alternative tra di loro – si coalizzano. Come è puntualmente avvenuto in quasi tutti i ballottaggi del 19 giugno. E questo non solo per l'isolamento politico momentaneo in cui si è trovato il PD a livello nazionale e, di conseguenza, a livello locale. Con questa nuova geografia politica, quindi, la modifica dell'Italicum è quasi obbligatoria.

In secondo luogo la riscoperta della "cultura della coalizione". Certo, sotto questo aspetto non vanno sottovalutate le tesi dei detrattori della coalizione o dell'alleanza politica. Quelli, cioè, che fanno risalire tutte le responsabilità e le malefatte della politica italiana dal secondo dopoguerra in poi alla vischiosità della cultura delle alleanze o della coalizione. Adducendo che proprio grazie a questa dinamica abbiamo avuto governi fragili e instabili.
Ma anche qui dobbiamo intenderci, e non solo perché in Italia la politica è sempre stata sinonimo di "politica delle alleanze". Con una coalizione robusta, omogenea e coerente – al di fuori delle "ammucchiate" del passato – è possibile dar vita a governi stabili, programmaticamente solidi e con una rappresentanza sociale e culturale vasta e ramificata che non si limita a premiare solo il partito che ha preso più voti. Che, detto fra di noi, sarebbe sempre e solo una residua minoranza del corpo elettorale. Soprattutto in una fase dove l'astensionismo dal voto tocca quasi un elettore su due.
E quindi, sostituire il premio di maggioranza al partito con il premio di maggioranza alla coalizione diventa quasi necessario e obbligante se vogliamo garantire una vera stabilità di governo coniugandola, però, con una altrettanto credibile e salda rappresentanza sociale.

Ecco, questi sono i due punti centrali che richiederebbero una modifica dell'Italicum. Trascurando il capitolo dei capilista "nominati" dalle segreterie centrali dei partiti e delle pluricandidabilità dei vari leader nei collegi. Due elementi, questi, che non fanno che confermare purtroppo ciò che era previsto, seppur in misura diversa, nel fatidico "porcellum".
Il tutto anche senza parlare del PD, cioè della forza politica che forse rischierebbe di più se non dovesse modificarsi l'Italicum. E questo per la semplice ragione che, come ricordavo poc'anzi, l'isolamento politico che attualmente caratterizza il partito nello scacchiere politico nazionale può essere devastante per affrontare adeguatamente il ballottaggio. Come, del resto, ci hanno ampiamente insegnato i ballottaggi nelle varie città italiane, e non solo nelle realtà più note.
Il tutto, credo, può e deve avvenire in un franco e costruttivo confronto politico all'interno del PD.
Senza anatemi, polemiche pretestuose e scomuniche varie. Del resto, si tratta di discutere di un sistema elettorale e non della interpretazione del Vangelo o della revisione di un dogma.


Anna Musso - 2016-07-04
se si scrive una legge elettorale o ancor di più la modifica della Costituzione pensando ai propri interessi di oggi e non invece seguendo il faro dei principi democratici, prima di tutto si manca di rispetto all'attuale Costituzione, alla Democrazia e ai Cittadini ed in secondo luogo ci si espone al rischio che, mutate le condizioni, il tutto si ritorca contro chi le ha ideate.
Giuseppe Davicino - 2016-07-04
Giorgio va al cuore delle questioni e il suo ragionamento mi pare condivisibile nella misura in cui pone le premesse per un nuovo centrosinistra. Il bipolarismo è fallito nonostante garantisse l'alternanza, la quale a buona parte degli elettori è apparsa una alternanza tra (troppo) simili e così si sono spostati sul polo grillino o più ancora sull'astensionismo. L'isolamento politico del Pd, in ultima analisi, è dovuto all'incapacità di Renzi di svincolarsi dalle politiche austeritarie, ed ogni volta che ha provato a farlo non è stato sostenuto da molti di quelli che lo criticano. Ben venga dunque il ritorno alle alleanze ma per un nuovo centrosinistra, con un nuovo leader che lo rappresenti, in netta discontinuità con la linea monetarista di Francoforte, che condanna il Paese al soffocamento economico ed alla crisi sociale. Il banco di prova non è tanto il referendum costituzionale (la sconfitta di Renzi è condizione necessaria ma non sufficiente) quanto la prossima legge di stabilità: chi crede nel cambiamento proponga una manovra inequivocabilmente espansiva, da imporre ad una Commissione Europea mai così debole e delegittimata, e con un presidente che non ha mostrato di saper trarre alcuna conseguenza dal referendum britannico.