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Renzi, meno dirigismo e più coesione
 
di Rodolfo Buat
 

La sconfitta del PD alle ultime elezioni amministrative rimette inevitabilmente in discussione programmi ed equilibri politici.
Ha pesato in alcuni casi (Napoli e Roma, ad esempio) la difficoltà del partito a organizzarsi sui territori. Proprio ciò che rappresentava per il PD un punto di forza rispetto al centrodestra, ma anche in qualche misura rispetto al Movimento 5 Stelle.
Ma il passo indietro non è solo un fatto organizzativo. È anche l’effetto di una visione della politica, caratterizzata più dall’identificazione nel leader che dall’appartenenza a una comunità di idee, che è nata prima di Renzi e che forse in un certo momento è stata una risposta necessaria per contrastare l’egemonia di Berlusconi. Non sarà facile, tuttavia, rimettere in discussione il percorso fatto, a partire dalla mitizzazione delle primarie. Eppure senza una riflessione critica sulla forma partito gli equilibri politici saranno determinati per via plebiscitaria e quindi risentiranno sempre degli umori del momento.
E qui è il secondo motivo della sconfitta, che probabilmente ha inciso su casi come Torino: l’umor nero dell’elettorato, figlio di una crisi sociale la cui dimensione non sembra affievolirsi.
Permane nelle classi dirigenti una sottovalutazione del disagio di fette rilevanti della popolazione, il cui elemento più caratterizzante è la mancanza di un progetto per il futuro cui aggrapparsi. Una condizione che ormai accomuna i più giovani che escono dalla scuola e i più anziani che perdono il lavoro. Non si assiste solo alla crescita della povertà, ma a qualcosa forse ancora più pericoloso sul piano politico, e cioè il venir meno di quella classe media che ha retto e beneficiato per molti decenni dello sviluppo economico e sociale e che è stata il fondamento della coesione democratica nel Paese. La crisi di fiducia e di identità del ceto medio è sempre stata all’origine delle avventure politiche, quasi sempre sfociate nel terrore e nell’orrore.
Forse in questi anni si è sperato nel “miracolo” della ripresa economica, ma il miracolo non c’è stato. Misure fiscali più favorevoli alle imprese (nuova IRAP), interventi sulla domanda (rinvio degli incrementi dell’IVA e cancellazione dell’imposta sulla prima casa), interventi sul mercato del lavoro (Job Act): si è trattato di azioni certamente utili nel quadro delle politiche restrittive europee, ma che non hanno inciso in modo sensibile (almeno al momento) sulla dinamica economica, su cui viceversa ha pesato il significativo rallentamento della crescita globale. Una situazione che mette a nudo problemi strutturali del Paese che richiedono di non desistere dall’impegno nelle riforme.
Ma qui è un altro punto chiave. Come si fanno le riforme?
Forse la strada del dirigismo di vertice è senza uscita. Forse occorre riprendere il filo di un confronto più allargato sia fra le forze politiche, ma ancor più con le formazioni sociali e le autonomie locali. Nei momenti di crisi (di panico?) serve più coesione e aggregazione. Anche nelle città va sanata la frattura non tanto fra centro e periferia (non sempre facile da definire), ma fra i “luoghi” e i “non luoghi”” e cioè le zone prive di identità e di significato urbano.
Anche la riforma costituzionale rischia di essere travolta dalla protesta, oltreché dalle posizioni negative più meditate. Per salvarla è necessaria un’iniziativa che a breve rafforzi le garanzie parlamentari e che perciò porti a rivedere la stessa legge elettorale. Un passaggio non proprio agevole per la difficoltà di costruire adeguate maggioranze al Senato. Un passaggio che obbliga a un confronto diretto con i 5 Stelle.


Mario Chiesa - 2016-07-09
Mi pare che il punto più acuto e più importante sul quale Buat potrebbe tornare a farci meditare sia questo: “senza una riflessione critica sulla forma partito gli equilibri politici saranno determinati per via plebiscitaria e quindi risentiranno sempre degli umori del momento”. È quello che sta avvenendo in Italia, in Gran Bretagna, negli USA. Il partito delle ‘sezioni’ non esiste più; non funziona neanche a sinistra del Pd. È questo il punto: come i partiti possono entrare in collegamento con gli elettori per svolgere la loro funzione di mediazione; essenziale perché l’elettore non voti per dispetto, sulla base di slogan, ... Posto che sia possibile in un mondo in cui forse da cittadini siamo diventati consumatori; consumatori anche di nuovi slogan, di nuovi personaggi. Renzi è un tentativo di risposta; partendo da qui forse si possono trovare risposte migliori. Non cercando un capro espiatorio e accarezzando la nostalgia.