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Quando destra e sinistra non soddisfano
 
di Carlo Baviera
 

Sul numero 1-2016 di “Appunti di cultura e politica” l’on. Franco Monaco si interrogava su quale fosse il suo “sesso politico” (Il mio selfie politico. Io, politicamente di sinistra, eticamente di destra?), ponendosi domande che anche altre persone di cultura cattolico-democratica impegnate – o che lo sono state – in politica, forse, si pongono ancora.
Pur dicendosi favorevole al riconoscimento e alla disciplina delle unioni civili omosessuali approvate in Parlamento, non nasconde taluni distinguo sul testo che ne è scaturito: la cura di marcare una differenza non meramente nominalistica rispetto al matrimonio ex art. 29 della Costituzione, le riserve sull’adozione da parte del partner del figlio naturale sortito da una precedente relazione che non è questione definitivamente chiusa. Con questi distinguo gli pare di rappresentare un «caso dubbio» nel PD, in quanto avanzava nello stesso periodo critiche da sinistra alla linea politica impressa al PD da Renzi; di rappresentare un qualcosa di contraddittorio sotto il profilo del posizionamento politico: uno strano ircocervo «politicamente di sinistra, ma eticamente di destra». Di conseguenza tenta di dare conto di tale sua, eventuale, contraddizione.
Mi sembra interessante riprendere questa sua preoccupazione proprio per coloro che, come Monaco, si sentono ancora legati agli ideali e ai valori della cultura politica originaria, e cercano di rappresentarla al meglio, con spirito di socialità e volontà riformatrice: come appartenenti a ciò che si riteneva dovesse essere l’Ulivo e il centrosinistra degli anni 2000 (o forse abbiamo capito male la proposta?). Di farlo continuando ad appartenere a una comunità di fede, continuando a professare l’adesione al “personalismo comunitario” e servendo la vita e la famiglia senza doversi adeguare alle posizioni oggi maggioritarie; continuando a credere nel pluralismo della propria parte politica; e sentendosi profondamente schierati a sostegno dei diritti collettivi, dei più dimenticati ed emarginati, dell’ambiente e di stili di vita più sobri, senza sentirsi “socialisti” o parte del mondo laico-radicale (come a volte sembra essersi trasformata buona parte della sinistra).
Non sto qui a ripetere le motivazioni di Monaco riguardo alla discussione (soprattutto all’interno del suo partito, il PD) attorno ai diversi argomenti “etici” (dalle questioni di metodo, al ritenere “alieno” alla sinistra chi pone questioni di rispetto di alcuni valori, da una interpretazione dei diritti civili di stampo individualistico fino all’ignorare o sottovalutare il rilievo del dato di natura), né sul suo sospetto che la sinistra interna al PD abbia accettato uno scambio (tu mi concedi le unioni omosessuali e tutto ciò che ne deriva, io non faccio le barricate di fronte alle leggi che in qualche modo comprimono i diritti sociali.
Mi limito a poche considerazioni, che mi sono suggerite da questa posizione.

Prima considerazione. È fin troppo chiaro e ormai accettato da tutti coloro che si dichiarano appartenenti alla tradizione cattolico-democratica (termine improprio, ma utile per comprenderci) che fede e politica sono su due piani diversi, non possono essere mescolati o confusi; che è il metodo laico quello da usarsi in democrazia. Questo però non può trasformare il metodo della laicità in ideologia, e significare che una cultura che si è formata e sviluppata tenendo conto di valori che derivano dalla propria fede (nel caso specifico quella cristiana) non abbia diritto di cittadinanza, non possa a sua volta contaminare un nuovo pensiero del centrosinistra, e sia considerata automaticamente retrograda e conservatrice.

Seconda considerazione. È più che altro un dubbio. Se è vero che ci può essere stato una specie di scambio, anche solo di fatto senza trattative, fra diritti civili e diritti sociali, i confini fra destra e sinistra non rischiano di scomparire davvero? o di non essere più percepiti in modo corretto dai cittadini? Superare vecchi schematismi o divisioni ideologiche è un fatto positivo, ma le differenze di idee, di valori, di programmi, di metodi esistono, devono esistere, altrimenti non solo abbiamo perso più di vent’anni di vita politica, ma rischiamo di tornare alla situazione in cui gli interessi delle lobby, le furbizie dei detentori di tessere, le manovre di corridoio, le trattative segrete la facevano da padrone rispetto a chi pensava al bene comune, alla trasparenza delle decisioni, alla partecipazione democratica, al rispetto della legalità.
Ci troveremmo in un compromesso storico al ribasso dove più o meno sia la maggioranza sia le minoranze partecipano alla gestione del Governo e soprattutto del potere. In democrazia, così ci hanno insegnato, i ruoli sono distinti; chi vince non schiaccia l’avversario, il quale ha un compito nobile di controllo e critica; ed esiste la possibilità di ribaltare, con le elezioni, le maggioranze.

Terza considerazione. L’aspetto sociale. Io non da oggi ritengo che una nuova cultura politica di centro sinistra, di profondo cambiamento, di innovazione, debba tenere conto del meglio di quanto ha prodotto il riformismo progressista (le varie sinistre del ‘900: laiche, cattoliche, socialiste, correnti repubblicane e liberal-democratiche, democristiane, ambientaliste, sindacali), e rielaborarlo alla luce della situazione attuale e delle prospettive nuove: denatalità e invecchiamento, immigrazione duratura, lavoro che mancherà pur con produzione in ripresa (e necessità di redistribuire il lavoro), cambiamenti climatici e ambientali, finanza ed economia “dello scarto” da contrastare, instabilità internazionale, terrorismo, necessità di ripensare il cammino unitario dell’Europa Unita e Federale (vi sia o meno la Brexit).

Uno dei riferimenti (senza farne un testo dai contenuti politico-programmatici e di indicazioni di Governo) non può non essere l’Enciclica Laudato sì di papa Francesco (nonché la visione favorevole al terzo settore della Caritas in Veritate di papa Benedetto) la quale propone un profondo cambiamento dei parametri economici-finanziari, di politica industriale e ambientale, di visione nuova per un welfare inclusivo.
Perché oltre ai contenuti valoriali e istituzionali contenuti nella Costituzione (quella ancora in vigore, ovviamente!), penso di proporre la Laudato sì? Perché ritengo, come ho già scritto altre volte, che a suo modo rappresenti un Manifesto importante, un assist efficace per la Politica, quella alta, responsabile, che guarda al futuro. “Qual è il posto della politica? … dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo ... Non basta più parlare solo dell’integrità degli ecosistemi. Bisogna avere il coraggio di parlare dell’integrità della vita umana, della necessità di promuovere e di coniugare tutti i grandi valori. … abbiamo bisogno di «cambiare il modello di sviluppo globale» e ridefinire il progresso”.
Ecco lo stimolo e l’indicazione per la politica: il cambiamento, cambiare i paradigmi, cambiare il modello che ci sta trascinando verso nuove povertà: culturali, sociali, valoriali, antropologiche, di relazioni.
La conversione ecologica, la responsabilità per la custodia del creato; la difesa dell’umano che è battaglia di civiltà per i poveri, gli ultimi, «lo straniero» che oggi ha il volto di profugo; la sensibilità sociale nel difendere la vita, il ruolo sociale della famiglia, le fragilità, il lavoro, la giustizia internazionale e la pace sono aspetti collegati fra loro e base per una ripartenza politica.
E insieme alla Laudato sì penso anche agli studi e alle proposte di Amartya Sen, di Joseph Stiglitz (compresa la necessità di riformare l’euro, per avviare gli aggiustamenti che permettano il superamento della crisi), dei nostri economisti Zamagni, Becchetti e Bruni, all’impegno di Naomi Klein, di José Mujica, alle esperienze di alcuni movimenti dal basso per un modo nuovo di produrre, consumare, vendere, commerciare, organizzare la società. Le terze vie non sempre hanno funzionato; ma l’idea di una terza opzione tra economia basata sullo Stato oppure sul mercato va sperimentata.

Mi fermo qui, e penso che ci siano spazi, occasioni, motivi, opportunità per lanciare o rilanciare una proposta che, a livello europeo, dia vita ad una cultura politica e a un contenitore politico veramente diverso e nuovo rispetto ai partiti tradizionali. E le recenti elezioni mi convincono ancor di più di questa necessità. Ciò che manca sono alcuni leader che siano disponibili e il coraggio di alcuni dirigenti politici di abbandonare i loro ancoraggi partitici per avventurarsi in un cammino che vada oltre le esperienze tradizionali e sappia rischiare mettendo in crisi le scelte attuali, senza essere o diventare populisti e qualunquisti.


Giuseppe Ladetto - 2016-06-22
“Politicamente di sinistra, eticamente di destra” potrebbe sembrare una contraddizione, ma non lo è. E’ questa una condizione comune a molte persone, fra le quali potrei collocarmi anche io, che tuttavia mostra una sola cosa: destra e sinistra sono categorie che non servono più (se mai abbiano avuto un ruolo in passato) ad interpretare i fenomeni politici e sociali attuali. Liberisti in economia oggi lo sono un po’ tutti; forse un po’ di più le destre conservatrici. Esserlo implica riconoscere la logica del cosiddetto Homo oeconomicus che agisce solo per tornaconto personale. Nel mondo “liberal”, a cui aderiscono più o meno tutti quanti si considerano di sinistra, dominano concezioni libertarie per le quali il primo interesse degli esseri umani è realizzare se stessi senza assumere obbligazioni verso gli altri, anche i più prossimi, obbligazioni ritenute sempre di impedimento alle proprie aspirazioni. Sono le due facce di una stessa medaglia caratterizzata dall’individualismo estremo dominante in tutto l’Occidente. Di fronte a ciò, destra e sinistra non significano più niente. Lo diceva già Giorgio Gaber in una celebre canzone.