Condivido anch’io, in buona parte, le argomentazioni che hanno indotto 56 docenti e studiosi di diritto costituzionale a esprimere un motivato e pacato NO al prossimo referendum sulla riforma costituzionale approvata dal Parlamento senza la maggioranza qualificata che l’avrebbe resa immediatamente esecutiva.
Per parte mia, e per quel che vale, avrei tra l’altro messo maggiormente in evidenza, non solo e non tanto l’insostenibilità della comparazione tra una diminuzione di garanzie istituzionali e una riduzione della spesa pubblica (argomento razionalmente ed eticamente ineccepibile, ma verosimilmente tale da apparire ai più come una semplice scusa per continuare a evitare quest’ultima) ma piuttosto la contraddizione tra lo sbandierato risparmio che la riforma comporterebbe (argomento che, correlativamente, temo sia fortemente capace di far presa sul grosso pubblico) e il mantenimento dell’enorme numero attuale di deputati (630!), non certo bilanciato dall’esiguo numero di senatori… a costo (quasi) zero: non comporterebbe certo costi maggiori un sistema imperniato su una Camera, poniamo, di 300 deputati, eletti con un sistema idoneo a garantire maggioranze stabili (e alla quale attribuire in esclusiva – così come stabilisce la riforma – l’elezione del Governo e il mantenimento del controllo sui suoi atti attraverso il collaudato rapporto fiduciario, nonché la legislazione ordinaria) e un Senato, poniamo, di 200 componenti, per metà rappresentativi delle realtà territoriali e per metà da eleggere su scala nazionale, con sistema rigorosamente proporzionale a tutela di tutte le minoranze non proprio infime (e chiamato – come solo in parte prevede la riforma, e del resto, appunto, in una ben diversa composizione che ne sminuisce proprio la funzione di garanzia – ad esercitare funzioni di garanzia, come la partecipazione al procedimento formativo della leggi costituzionali e di altre leggi in materie “sensibili”, e, soprattutto, un ruolo determinante per l’elezione di organi come il Presidente della Repubblica, i giudici costituzionali, i componenti del CSM…).
Al di là delle argomentazioni “pro” o “contro” questa riforma costituzionale, c’è peraltro qualcosa che mi sembra ancora più importante, almeno per chi voglia sottrarsi alla logica perversa che porta a legare riforma costituzionale e sorti del Governo in carica (logica, per vero, in cui il premier ci mette del suo, ma che trova espressioni e toni ancora meno accettabili anche nella più gran parte degli oppositori “politici” alla riforma).
Mi riferisco all’assunzione di precise responsabilità, almeno su due fronti.
Il primo è quello dell’impegno, da esercitare in ogni sede possibile, perché si cerchi di arrivare a un voto separato su singole parti del progetto, superandone l’eterogeneità. Il secondo dovrebbe riguardare l’eventualità di una vittoria dei NO a un unico referendum o comunque sulle parti qualificanti dell’attuale testo (nel caso di “spacchettamento”). Mi sembra cioè che sin d’ora occorrerebbe estrema chiarezza nell’impegno per sollecitare e portare avanti in sede parlamentare alcune specifiche linee di riforma alternativa, meglio se poche ma qualificanti: e non solo tra quelle di segno opposto al testo su cui siamo chiamati a votare, ma anche tra quelle che possono andare nella stessa direzione, a cominciare da un netto “basta!” con quel bicameralismo paritario i cui persistenti inconvenienti hanno alimentato per reazione proprio quelle derive che oggi temiamo possano abbassare i livelli di autentica e piena democrazia. |