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Sì o no, ma andiamo a votare
 
di Alessandro Risso
 

Domenica prossima siamo tutti chiamati alle urne per il referendum sulle trivelle. Dobbiamo decidere su una questione marginale: se le 48 trivelle per l’estrazione di idrocarburi presenti lungo le coste italiane devono proseguire la loro attività estrattiva fino all’esaurirsi del giacimento (rispondendo NO al quesito) oppure se devono terminarla alla scadenza della concessione o di eventuali proroghe ottenute (risultato che si otterrebbe con il SÌ). Piccola questione reale, anche perché solo una minima percentuale del nostro fabbisogno energetico di idrocarburi viene estratto da queste piattaforme.
Devo confessare che non ho ancora deciso quale sarà il mio voto, incerto tra contrastanti valutazioni che esporrò tra poco. L’unica certezza che ho al momento è la determinazione a esercitare il diritto al voto garantito dalla nostra Costituzione. Non mi farò ammaliare dai novelli Craxi che consigliano di disertare le urne: scelta di comodo per far fallire il quesito, valido solo se parteciperà il 50% più uno degli aventi diritto al voto. Oggi che l’astensionismo rilevato dai sondaggi, in ipotetiche elezioni politiche, è superiore al 40%, sarebbe miracoloso se questo referendum riuscisse a ottenere il quorum. Ma la deriva antidemocratica che il nostro Paese sta subdolamente attraversando – con una sequenza di governi non espressi dal voto e in sella grazie al trasformismo parlamentare, con riforme che aboliscono il libero voto dei cittadini nella scelta dei loro rappresentanti (Senato e Province) – richiede la più semplice risposta di mobilitazione democratica: andare a votare.

E passiamo al merito del referendum.
Le piattaforme di estrazione che lambiscono le nostre coste non sono certo un abbellimento del paesaggio. Chi ritiene che il vero petrolio del Bel Paese consista nel nostro incomparabile patrimonio artistico legato alla bellezza dei luoghi, non ha dubbi a schierarsi per il SÌ.
Abbiamo capito da tempo che nell’economia globalizzata noi italiani siamo sicuri di mantenere solo le eccellenze irriproducibili: Roma, Venezia, Firenze, la Torino barocca e le altre decine di città d’arte disseminate per la penisola. E poi le mille San Giminiano, le valli montane le colline e le coste che le speculazioni dell’uomo non sono riuscite a imbruttire del tutto. Siamo il museo del mondo, abbiamo un’enogastronomia da sogno e il turismo è la nostra mission. Il tessile, la chimica, l’auto erano eccellenze di un passato travolto dalla globalizzazione più ancora che dagli incompetenti e dagli speculatori. Mani straniere potranno anche comprare il Colosseo, Ponte Vecchio o la Mole, ma non sradicarli da Roma, Firenze e Torino. Ecco perché investire nella cultura e nell’arte, nella tutela dei monumenti e del paesaggio, è strategicamente logico. Il governo stesso ha già deciso che non saranno più concesse nuove autorizzazioni per la ricerca di idrocarburi lungo le coste. Il SÌ al referendum limiterebbe la vita di quelle esistenti (salvo possibili proroghe) alla fine delle concessioni, fra 5, 10 o 15 anni. In teoria il nostro paesaggio si libererebbe prima dalle trivelle in mare che lo imbruttiscono.
Ragionamenti di questo tipo mi orienterebbero verso il SÌ.

Bisogna però anche dire che l’Italia rimane, seppur indebolita, una delle potenze industriali del pianeta. E non può non avere una politica energetica. Allora: il nucleare lo abbiamo già escluso in un celebre referendum, quello sì epocale; il petrolio nostrano lo stiamo man mano escludendo, e ricordiamo le campagne contro quello importato per il pericolo latente rappresentato dalle petroliere; si parla tanto delle energie rinnovabili, ma non mancano gli oppositori né a nuovi bacini montani, per incrementare la produzione idroelettrica, né a impianti di pale eoliche e di fotovoltaico che deturperebbero il paesaggio. Ha scritto argutamente qualcuno – parafrasando Clemenceau, che parlava di guerra e militari – che l’ambiente è troppo importante per lasciarlo in mano agli ambientalisti…
Anche l’economia necessiterebbe di mani abili, capaci a progettare nel tempo un piano di politica energetica in grado di coniugare la produzione di energia con la migliore tutela ambientale. In un Paese poverissimo di materie prime, abbiamo avuto il dinamismo di Enrico Mattei negli anni del boom economico, poi i suoi eredi all’ENI che si sono barcamenati tra una sequela di scelte politiche e retromarce che hanno reso l’Italia una delle nazioni sviluppate con il più alto costo dell’energia elettrica. Opporsi a qualunque politica energetica non può funzionare, neppure se i volenterosi ecologisti si mettessero tutti a pedalare incessantemente su cyclette dotate di dinamo per produrre e immagazzinare corrente. Senza contare che la chiusura anticipata delle 48 trivelle ci priverebbe di un pezzo di quel poco di produzione nostrana di idrocarburi e taglierebbe qualche altro centinaio di posti di lavoro, cosa di cui non si sente proprio il bisogno.
Riflessioni di questo tipo – anche sostenute e argomentate da Romano Prodi, non uno qualunque – mi farebbero propendere per il NO.

Su questi pensieri si è poi aggiunta l’attualità, e il fresco scandalo che ha provocato le dimissioni del ministro Guidi, con solerti faccendieri (e politici?) pronti a servire dietro compenso le multinazionali del petrolio, ha certamente dato vigore alle ragioni del SÌ. Così come le esortazioni di papa Francesco al rispetto del Creato nella Laudato si’ ci impegnano a una ancor maggiore attenzione verso la tutela ambientale.
Consideriamo poi che l’utilizzo sine die del giacimento permette alle società petrolifere di estrarre secondo convenienza: poco o nulla con bassi prezzi, a ciclo continuo quando riprenderà la domanda. Ma che effetti produrrà questo prolungamento nel tempo sugli impianti, sulla loro sicurezza? E quali garanzie abbiamo sullo smantellamento delle piattaforme una volta finito il tempo della concessione o all’esaurimento del giacimento? Su questo punto essenziale, ci garantisce meglio il SÌ o il NO?

Dubbi, buone ragioni e debolezze contrapposte possono rendere la decisione di noi elettori neutrali incerta e opinabile. Ma, ripeto, la vera scelta da compiere è quella di uscire di casa domenica 17 per recarsi al seggio a votare.
Su questo non possiamo avere incertezze.


Arnaldo Reviglio - 2016-04-16
OK !!! Alla faccia delle indicazioni di Renzi e Napolitano! Che begli esempi ... Chi ha riempito di bolli la tessera elettorale (e ne ha richiesto una nuova) dovrebbe ricevere il riconoscimento di "cittadino virtuoso" e loro non lo sono! Ad Avigliana molte sono le richieste delle nuove tessere, ciò è un buon segnale... per la democrazia, prima di tutto. Grazie.
Giuseppe Ladetto - 2016-04-14
Sono completamente d’accordo con tutto quanto scrive Andrea Griseri (nucleare compreso). A chi definisce inutile il referendum vorrei ricordare che questo è l’unico rimasto in piedi dei sei proposti dalle Regioni, cinque dei quali sono venuti meno (ancor prima che la Consulta li dichiarasse inammissibili per ragioni formali) per il fatto che il Governo si è visto costretto a modificare quanto stabilito nella legge di stabilità (compresa l’autorizzazione a trivellare entro le 12 miglia). Quindi altro che inutilità: hanno centrato l’obiettivo. Resta quest’ultimo referendum (di cui non si annullano i costi restando a casa): io andrò a votare sì perché ritengo inammissibile che in qualunque ambito si possano assegnare concessioni di fatto illimitate nel tempo. Non creiamo precedenti.
giuseppe cicoria - 2016-04-14
devo constatare che purtroppo, tra i nostri lettori prevale un atteggiamento negativo o addirittura dispregiativo sulla questione. Sono rammaricato per questo. Non vi nascondo che se questi signori non sono solo lettori ma iscritti, debbo seriamente valutare se, forse, sono capitato in un posto sbagliato!
Umberto Cogliati - 2016-04-13
La ricchezza di argomentazioni nel pezzo di Risso, inversamente alla intenzione di chiarire le ragioni da apportare al referendum trivelle, finiscono per confonderle, non per colpa dell'autore, il quale in sostanza non prende posizione, ma perchè il contesto politico non "concede" al cittadino di capire esattamente cosa significhi questo referendum. Già il "sì" o il "no" su una questione complessa sono una modalità incongrua per esercitare, come si dice, un grande diritto democratico, se poi non viene acconciamente chiarito, la chiamata alle urne è falsa democrazia. Nel nostro caso, infatti, è verosimile la convinzione che il popolo, prima di quest'ultimo mese non sapesse nè delle trivelle, nè delle 12 miglia, nè se gas o petrolio e nemmeno se il "ricavato" serva all'Italia o sia venduto. In più, noto, sento poco il latrare delle lobby sul tema, e questo mi fa nascere almeno il dubbio che quegli interessi, indubbiamente esistenti, si sia scelto di difenderli col silenzio/astensione. Per questa ragione andrò a votare e voterò "sì". Una mezza protesta? Forse...
Andrea Griseri - 2016-04-13
Che lo strumento del referendum vada utilizzato con discernimento è cosa sacrosanta; ma affermare che questo referendum sia inutile o fuori luogo è inappropriato. Intanto i proponenti (non un manipolo di grillini ma 5 consigli regionali) hanno ottenuto il rispetto del limite delle 12 miglia. E il quesito rimanente riguarda la durata delle concessioni e la conseguente responsabilità dei concessionari circa la messa in sicurezza dei pozzi da cui non è più conveniente estrarre petrolio. Ne parlavo l'altro giorno con la signora che ci aiuta nelle faccende domestiche: è una donna intelligente con in tasca un diploma di terza elementare e questa cosa la capiva perfettamente. Anziché trattarli, con vago compiacimento, da caproni, dobbiamo semmai aiutare gli italiani a crescere e a capire. Questa è precondizione della democrazia e della libertà.
giuseppe cicoria - 2016-04-13
A queste considerazione vorrei aggiungere: è bene estrarre un po' di petrolio nostrano. Non si sa mai....! Il fatto è che si scopre che quello estratto (con inquinamenti ed avvelenamenti vari) per la legge di mercato può essere esportato dalle compagnie concessionarie... quindi... non rimane affatto tutto in Italia. Le royalty spesso sono quasi inesistenti giacché si produce frequentemente al minimo per essere esentati del tutto dai pagamenti. Sicuramente rimane ,però, l'inquinamento e lo Sky-line sul mare deturpato. La necessità di dire SI significa imporre un termine di sfruttamento che non conviene dilazionare a seconda delle opportunità fiscali o dei prezzi di mercato. Lo Stato, con il SI ,conserva sempre, alla bisogna, la possibilità di dilazionare ad altra scadenza lo sfruttamento. Qualora se ne privasse alle compagnie verrebbe concesso il diritto di non smantellare mai gli impianti che marcirebbero sine die in mezzo al mare. Si tratta quindi di cancellare un provvedimento maldestro che ha concesso ai petrolieri un diritto di guadagnare e di inquinare senza limiti o controlli. Per quanto riguarda l'occupazione, poi, sarebbe utile una verifica. I petrolieri hanno pompato in maniera vergognosa i dati. Le notizie sull'argomento mettono in evidenza che la mano d'opera veramente occupata è risibile in quanto gli impianti sono quasi tutti automatizzati.
Mario Rey - 2016-04-13
Mi asterrò dal partecipare al referendum sulle trivelle del 17 aprile. Tre le mie motivazioni. 1. A parte poche occasioni (divorzio, aborto) il referendum non si presta ad affrontare materie complesse. Solo le mediazioni delle democrazie rappresentative, con le loro compensazioni, consentono soluzioni eque ed efficaci. 2. Lo strumento della democrazia diretta si presta a fuorvianti deviazioni dettate da logiche populistiche, demagogiche, localistiche, come dimostra la recente esperienza europea. La democrazia plebiscitaria è l’anticamera dei regimi autoritari. 3. Nel merito del quesito, poiché sono orientato per il NO, ne deriva che devo far fallire il SI. L’astensione dal voto è lo strumento più efficace per conseguire questo risultato. Non sentirò la macanza dell’attestato di buona cittadinanza che il Presidente Grossi si sente titolato ad elargire.
Mario Chiesa - 2016-04-12
Sto con Prodi per il NO, se andrò a votare. Il ritornello politicamente corretto che bisogna comunque andare a votare non mi convince. Chi bacchetta gli astensionisti (in questo caso), sia pure il presidente della Corte Costituzionale, forse potrebbe fare altrettanto con tutti coloro che nelle varie assemblee fanno mancare il numero legale. Fatte le regole, le si usa nel modo che si ritiene più efficace per ottenere il risultato.
Paolo Picco - 2016-04-12
Per l'appunto si tratta di questione marginale. Gli italiani, tutti, devono essere consultati con enorme dispendio di risorse, su questioni tecniche di cui ignorano ancorchè i titoli? Evidentemente no. Fareste decidere agli abitanti del quartiere come arredare il vostro salotto o vi rivolgereste ad un bravo architetto? Orbene ci sono persone che, per via della loro preparazione specifica si occupano di questioni tecniche (e ogni tanto hanno provato anche a fare i politici, coi risultati alterni che sappiamo) e persone che sono votate (e pagate) per prendere decisioni. E basta. Il compito dei cittadini è vigilare a che lo facciano nell'interesse comune e non di qualcuno. Ora mi pare non solo inopportuno ma anche un pelo berlusconista aggrapparsi alla retorica dei governi non eletti dal popolo, perchè si rischia di dimenticare decenni interi di "larghe intese" prodotte da elezioni incerte. Tornando al merito dei referendum, è profondamente ingiusto, quasi diseducativo, scomodare questo importante istituto così spesso e su questioni, ripeto, su cui tutti facciamo fatica a farci un'idea: andrebbero riservate, queste consultazioni, a decisioni che realmente toccano la vita pratica della gente; e magari si dovrebbe rendere più difficile la promozione degli stessi, magari aumentando il numero delle firme... ma questo è un altro discorso, già fatto e disfatto ampiamente. Gran parte del difetto grave ed intrinseco del M5S è proprio l'eccesso di "consultazione", nel loro caso on-line ovviamente: non ci si faccia trascinare sul loro terreno populista! Dunque io, che mi ritengo strenuo sostenitore del voto sempre, in questo caso (e nel caso di moltissimi quesiti referendari degli ultimi anni) sostengo l'opportunità "politica" dell'astensione, per dare un messaggio chiaro: la democrazia non è un gioco (e ci sono seri dubbi anche sul suffragio universale...) ;-) ---faccina che fa l'occhiolino--- Far fallire referendum poco "seri" o mal posti è un modo di schierarsi: certo, accettando il rischio di passare per antipolitica, lo ammetto.
Dino Ambrosio - 2016-04-12
Complimenti per l'esame completo delle problematiche e delle argomentazioni. Ora sta a noi decidere. Se però il PD avesse un piano energetico sarebbe più facile.
Andrea Griseri - 2016-04-12
Grazie per il lucido contributo, questa "partita doppia" delle regioni del si e del no spesso sui giornali non è così chiara. L'Italia non ha una vera, organica, seria politica energetica. Come non ha almeno dai tempi in cui Siro Lomardini era ministro una vera politica industriale. L'assenza di un quadro di riferimento su questa decisiva materia facilita la vita alle improvvisazioni speculative e ai lobbismi (come si è visto). Il referendum tecnicamente si limita ormai alla questione della durata sine die delle concessioni: chi voterà sì (e io sarò tra questi) esprimerà la volontà di indurre i concessionari ad attivarsi per la chiusura in piena sicurezza delle piattaforme. Ma dietro al quesito circoscritto preme la grande questione del modello di sviluppo, del modello energetico, della differenziazione delle fonti, dell'uscita dall'era degli idrocarburi, del cambiamento climatico... Questioni che si dovrebbero affrontare in primo luogo con razionalità. Capire di quanta energia (limitandoci all'Italia ma l'orizzonte dell'analisi deve essere globale) avrà bisogno una società come la nostra, in quale misura la tecnologia e un nuovo stile di vita potranno ridurre i consumi, quali fonti dovremo utilizzare. Si parla per esempio sempre più insistentemente di mobilità elettrica: ottima cosa, le città tornerebbero a respirare ma il trasporto sarebbe un convitato formidabile alla tavola dell'energia: forse le rinnovabili (che oggi sciaguratamente il governo sta disincentivando) non basterebbero. E allora il nucleare: saggia fu la scelta, io credo, di fermare le centrali di vecchio tipo che hanno l'inconveniente di generare grandi quantitativi di scorie: ma in attesa della fusione, che vedranno probabilmente i nostri figli, sono già all'opera sperimentalmente i 4gen reactors: immergono il nucleo nel sodio liquido e hanno la proprietà di bruciare tutto il fuel senza lasciare o quasi scorie (e senza offrire la possibilità di utilizzare plutonio per scopi bellici). In molti contesti la parola nucleare suona come una bestemmia ma una centrale di 4° generazione offre garanzie ambientali enormemente superiori a una centrale a carbone o a a turbogas; l'idroelettrico è una fonte rinnovabile ma la realizzazione di una diga spesso comporta un impatto devastante. La questione non è semplice. Sarebbe bello se l'Associazione organizzasse qualche conferenza in cui affrontare con razionalità queste tematiche.