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Il leader della “sinistra sociale”
 
di Giorgio Merlo
 

Venticinque anni fa, per l'esattezza il 17 marzo 1991, ci lasciava Carlo Donat-Cattin. Uno statista, un leader politico, un giornalista di razza e un uomo di cultura. Nonché un coraggioso sindacalista. La personalità e il magistero politico di Donat-Cattin, comunque sia, sono destinati ancora a segnare in profondità la politica contemporanea. E questo per la semplice ragione che attraverso la sua azione politica e culturale ha contribuito a delineare un “pensiero” che non può essere sacrificato
Sull’altare di nessun nuovismo o maldestra modernità.
Certo, i tempi mutano e le stagioni politiche si susseguono rapidamente. Ma una esperienza politica come quella vissuta da Donat-Cattin nel cuore della società e delle sue contraddizioni, continua a far discutere, ad alimentare curiosità e, soprattutto, a ispirare la concreta militanza di molti cattolici democratici. E non solo.
Sono almeno tre i tratti costitutivi che possono essere tranquillamente richiamati oggi, a 25 anni dalla sua scomparsa.

Innanzitutto Donat-Cattin è stato un vero leader politico, uno statista. Caratteristiche che vengono riconosciute non solo dagli amici, ma anche e soprattutto dagli avversari che individuano nel “Ministro dei Lavoratori” un vero e proprio “cavallo di razza” della vecchia Democrazia Cristiana. Un leader che aveva il coraggio di sfidare, come sindacalista, sul terreno dei contenuti la famiglia Agnelli a Torino; il dirigente politico di una corrente – la sinistra sociale di Forze Nuove – che contava il 6/7 per cento ma condizionava la strategia e l’azione del più grande partito italiano, la DC. Celebre la sua sferzante ed efficace osservazione che “il carisma o c’è o non c’è. È inutile darselo per decreto”. Era una battuta riferita a uno dei tanti segretari della DC che non riscontrava il suo gradimento...
Ma la leadership di Donat-Cattin non fu un prodotto da laboratorio o legata alla sola politica spettacolo che dura, normalmente, sino a quando il volano interessato della propaganda mediatica ti sostiene. La sua era una leadership maturata sul campo. Per questo viene ricordata con forza e convinzione.

In secondo luogo, Donat-Cattin è sempre stato un uomo “di sinistra”. Certo, la vulgata lo ricorda anche come l'uomo del “preambolo”, l’ormai celebre documento politico da lui direttamente scritto che nello storico congresso del 1980 sbarrò ai comunisti la strada al governo del tempo. Ma la sinistra di Donat-Cattin – “sinistra sociale”, appunto – era legata sempre alla reale e non virtuale promozione dei ceti popolari. Era una sinistra che partiva dalle esigenze e dai bisogni dei meno abbienti e che cercava, attraverso gli strumenti concreti della politica e del Governo, di rimuovere quegli ostacoli che bloccavano al palo intere fasce sociali.
Su questo versante non si può non ricordare uno dei capolavori della storia democratica della Repubblica italiana, quello Statuto dei Lavoratori del 1970 che rappresenta uno dei pilastri fondamentali del riformismo democratico e della vera – non finta e “salottiera” – cultura progressista e di sinistra nel nostro Paese.
E la sua corrente, Forze Nuove, ha rappresentato, del resto, nella cinquantennale storia della Democrazia Cristiana un unicum inimitabile e irripetibile: una “sinistra sociale” con valenza politica e capacità progettuale che univa la rappresentanza dei ceti popolari con una raffinata e qualificata elaborazione politica e istituzionale. Un “capolavoro” politico, destinato a restare nella storia del riformismo cattolico.

E Donat-Cattin, in ultimo, era anche e soprattutto un cattolico impegnato in politica. Quando la politica era “servizio verso gli altri” e ricerca del “bene comune”. Uno di quei Popolari che, come i grandi cattolici democratici della Costituente, sapevano essere leader politici ma, al contempo, anche punti di riferimento per la stessa comunità ecclesiale, interlocutori del vasto e articolato associazionismo cattolico italiano. La sorgente spirituale e incessante dell’ispirazione cristiana ha sempre accompagnato la sua intensa e profonda elaborazione politica, culturale e istituzionale.
Una appartenenza reale al mondo cattolico, frutto e prodotto di una generazione che dopo aver combattuto nella Resistenza è approdata al sindacato e poi alla politica. Una appartenenza che, però, si è sempre distinta per la sua autonomia laicale e una forte assunzione di responsabilità. Una posizione improntata a una forte e marcata laicità dell’azione politica che l’ha sempre tenuto lontano da ogni tentazione clericale o deriva confessionale. Altroché i “cattolici professionisti” o i “baciapile a contratto”, tanto per citare una celebre definizione di Mino Martinazzoli riferibile a tanti che oggi imperversano in quasi tutti gli schieramenti politici.
Una generazione di cattolici di cui oggi, purtroppo, si sente una forte mancanza. A prescindere dal susseguirsi delle stagioni politiche e delle fasi storiche.

Ecco perché chi, come me, ha avuto la possibilità e la fortuna di essere “educato” alla politica da uomini come Carlo Donat-Cattin dall’inizio degli anni ‘80, sente anche quotidianamente il limite e l’insufficienza della propria militanza politica e culturale. Ma con la consapevolezza, comunque, di aver potuto conoscere e sperimentare la grandezza di uomini che hanno saputo testimoniare nella società e nella politica valori e principi con la forza disarmante delle idee, della coerenza, del coraggio e della fedeltà alle proprie radici. Anche quando questo significava solitudine, isolamento e impopolarità.