A beneficio dei soci che non hanno potuto partecipare all’Assemblea di sabato 12 marzo – e di tutti i lettori interessati – pubblichiamo la relazione introduttiva del presidente dei Popolari piemontesi Alessandro Risso, che ha ripercorso l’attività svolta nel triennio e delineato alcuni caratteri identificativi dell’Associazione nel complesso quadro sociale e politico dei nostri tempi.
Al termine dell’ampio dibattito, l’Assemblea ha proceduto all’elezione del nuovo Consiglio direttivo e ha rieletto all’unanimità Risso presidente fino al 2019, un anno significativo in cui si ricorderà il centenario di fondazione del Partito popolare italiano.
Care amiche, cari amici,
ci ritroviamo qui dopo tre anni per fare doverosamente il punto sull’ultimo tratto di cammino percorso e per fissare alcuni punti di impegno per il prossimo futuro.
Il tempo che scorre, in un sodalizio in cui tanti hanno i capelli bianchi, ogni tanto fa passare dall’altro lato del cammino qualche amico di vecchia data. Ricordo i torinesi Beppe Mainardi, Gianni Fiorio Plà, Cornelio Valetto, poi Riccardo Coppo a Casale e Franco Fornara a Pettenasco, sindaci, punti di riferimento per le loro comunità. Per questi amici, per gli altri nostri soci che non ci sono più, e per tutti coloro che volete accomunare nel ricordo, vi chiedo un momento di raccoglimento.
Grazie. Passiamo al bilancio di questo triennio, che è stato un triennio di forti cambiamenti. Ricorderete che la prima incombenza di questa gestione è stata l’abbandono della storica sede di via Stampatori, non potendo più contare sulla sinergia con un parlamentare che potesse coprirne i costi. Questo fatto ha rappresentato per tutti noi un dispiacere, un forte dispiacere, ma non si poteva fare altrimenti. E se da un lato ha portato beneficio per la cassa, come avete sentito dalla relazione del nostro Tesoriere, ha anche reciso qualche legame, dato che una sede vissuta genera senso di appartenenza. Aggiungiamo il fatto che per contenere i costi e fronteggiare qualche debito residuo, non abbiamo più realizzato e inviato Rinascita popolare in versione cartacea. Era quindi da mettere in conto che alcuni ci avrebbero dimenticati, se non fossero stati in grado di mantenersi in contatto tramite internet. Meno comprensibile invece che un certo numero di amici impegnati nelle istituzioni, politici e amministratori locali, non abbiano più dato segnali di presenza. Ma questo dovrebbe dipendere da altri fattori, che riguardano la seconda parte di questa relazione.
Per i motivi appena accennati, è così proseguita la diminuzione costante del numero di soci, che nei primi anni di vita dell’Associazione erano oltre 300. Vi incuriosirà sapere che i soci iscritti nel corso degli anni al nostro sodalizio – costituito il 2 agosto 2002 – sono a oggi 444.
Dall’archivio digitale ricaviamo i numeri degli iscritti a partire dal 2009, quando si contavanio 272 adesioni: 238 nel 2010, 192 nel 2011, 183 nel 2012, 156 nel 2013, 114 nel 2014. I soci 2015 sono stati 117: per la prima volta da quando esiste l’associazione abbiamo aumentato gli iscritti rispetto all’anno precedente. Questa è una notizia, una piccola notizia ma una buona notizia. Vedremo se questa inversione di tendenza è solo un caso oppure l’inizio di un trend in ascesa.
Il Consiglio Direttivo si è riunito 12 volte, in media 4 all’anno. Ringrazio le amiche e gli amici che ne fanno parte per la loro presenza e il loro impegno di questi anni. Abbiamo anche introdotto la figura del Consigliere “aggregato”, invitato alle riunioni per dare un contributo senza l’incombenza di dover garantire il numero legale alle sedute.
Nel triennio abbiamo realizzato 15 iniziative. Ricordo i titoli, in ordine di tempo:
– Un nuovo umanesimo salverà l’economia? Con i professori Ciravegna e Pavanelli.
– L’operazione è tecnicamente riuscita, il paziente è morto. Ovvero, l’Europa di Maastricht e l’economia reale. Con i professori Abate e Calliano.
– Regolare i partiti per salvare la democrazia. Con i professori De Martin, Grosso, Giorgis e l’onorevole Vitelli.
– Dal “porcellum” al “porcellum-bis”? Con la professoressa Poggi e i senatori Lepri e Olivero.
– Arriva la Città metropolitana. Con gli assessori Lubatti e Avetta.
– Meno democrazia? Si sono confrontati Bodrato, il senatore Tonini e il professor Zagrebelsky, con la partecipazione eccezionale di 130 persone nel salone del Sermig.
– I diritti acquisiti. Con l’ex ministro Fornero e il professor Giorgis.
– Come creare lavoro. Quattro incontri con il professor Frigero, i sindacalisti Tosco e Valfrè, il professor Ciravegna e Palmeto dell’API, gli esperti di formazione Nicoli e Tamiatti.
– I corpi intermedi. Con il professor Satta della Cattolica.
– L’etica dell’impresa. Considerazioni dopo il caso Volkswagen. Con il professor Calliano.
Come partecipazione l’incontro al Sermig è stato la punta di diamante, perché abbiamo anche avuto serate con una quindicina di presenze. Quello che possiamo dire senza tema di smentita è che chi ha partecipato è sempre uscito soddisfatto dagli incontri grazie al valore dei relatori e allo spazio riservato al dibattito. Sembra una banalità, ma i tempi per chiedere chiarimenti ed esprimere opinioni si stanno riducendo. All’ultimo incontro politico cui ho partecipato, poche settimane fa, dopo le relazioni dei due politici presenti, il moderatore-presentatore ha esordito dicendo: “Se qualcuno ha la domanda della vita la faccia, altrimenti chiudiamo qui e andiamo a dormire per una volta presto”. Tutti si sono adeguati e nessuno ha chiesto la parola, ma non ero l’unico perplesso all’uscita.
Torniamo però alle nostre iniziative. Due incontri sono stati fuori capoluogo:
– a Sant’Antonino di Susa “Cattolici in politica”. Organizzato dai nostri amici della Valle con Bodrato e Merlo
– a Vercelli per festeggiare i 100 anni dell’onorevole Franzo, per iniziativa di nostri amici vercellesi.
L’attività fuori Torino è un tasto dolente. Dico solo che per fare di più è indispensabile l’iniziativa degli amici delle province. Non possiamo organizzare da Torino per Novara, Cuneo o Alessandria. Possiamo partecipare, contribuire a trovare i relatori, ma non far cadere una iniziativa da fuori. L’interesse deve partire localmente.
Per compensare un tasto dolente passo subito a un fiore all’occhiello: l’inaugurazione di Corso Luigi Sturzo a Torino, un’arteria periferica dal ponte diga sulla Stura a Borgata Sassi, nel verde, con pochissime abitazioni ma grande flusso di traffico. La nostra istanza di ricordare nella toponomastica cittadina il fondatore del Partito popolare è stata accolta, e in tempi anche brevi. Pensiamo però che, più che un favore al nostro mondo, sia soprattutto stata la Città a colmare una inspiegabile lacuna.
Parallelamente agli incontri pubblici che ho ricordato, abbiamo lavorato su alcuni temi (riforma degli Enti Locali, status giuridico dei partiti, riforma elettorale, città metropolitana, come creare lavoro) in incontri seminariali, una dozzina in tutto, conclusi con la stesura di documenti che ci hanno permesso di fissare le idee e argomentare in forma scritta le nostre proposte.
Potremmo dire di aver messo qualche punto fermo, che forse verrà ripreso tra 50 o 100 anni in qualche tesi di laurea. Ma il materiale più corposo per qualche studioso del futuro lo abbiamo fornito con Rinascita popolare on-line.
Sul nostro sito nel triennio abbiamo pubblicato qualcosa in più di 300 articoli, cui si aggiungono oltre 700 commenti dei lettori. I commenti hanno la caratteristica di essere generalmente puntuali, ampi e significativi. Alcuni sono stati rilanciati come articoli. Purtroppo i commenti sono troppo pochi.
La mailing-list che ci serve per segnalare le nuove pubblicazioni è passata nel triennio da 1000 a 1700 indirizzi, ma non siamo in grado di sapere quante vengono lette e quante cestinate. Sappiamo di avere un record di 174 lettori in media al giorno su base mensile, e una media annua di circa 130 lettori giornalieri.
I lettori abituali possono essere ragionevolmente considerati tra i 300 e i 400, cui si aggiungono nell’anno un migliaio di lettori saltuari.
Cosa ci dicono questi numeri? Che siamo una presenza di nicchia.
Cerchiamo di adeguarci ai nuovi mezzi di comunicazione, di ampliare la nostra presenza attraverso i social media. Grazie all’impegno di Marco Verga siamo presenti su Facebook, dove abbiamo 270 “mi piace”, il nuovo termometro della popolarità sul web.
Se pensiamo che Novella 2000 arriva a 45.000 “mi piace”, che Fabrizio Corona ne ha 770.000 e Mario Balotelli supera i 10 milioni, abbiamo la dimensione della nostra nicchia nel mondo dei cosiddetti “social media”. Non siamo nativi digitali, fatichiamo a stare al passo con i nuovi vorticosi tempi della comunicazione, diffidiamo dell’inglese così diffuso nel linguaggio della politica italiana – a “Jobs act” preferiamo “Legge sul Lavoro”, a “stepchild adoption” “adozione del figliastro”, perché così tutti capiscono –, crediamo che in 140 caratteri di stampa, con un tweet, si possano esprimere slogan ma non analisi politiche adeguate alla complessità del presente. Siamo un po’ a disagio, ma accettiamo la sfida dei tempi.
Lascio a voi giudicare se quanto abbiamo fatto è stato positivo, tanto o poco. Sarà un argomento del dibattito.
Certamente ciascuno di noi poteva fare di più, scrivere o segnalare un articolo in più, commentare 1, 5, 20 volte in più.
La vivacità del sito, su cui oggi misuriamo la vitalità dell’associazione, dipende dalla nostra voglia di interagire.
E, diciamocelo con franchezza, è comprensibile che la voglia di impegnarci si affievolisca.
Siamo cittadini di un mondo che fatichiamo a sentire nostro. Lasciamo perdere i pensieri che possono venire dopo aver sentito che due giovani benestanti hanno seviziato e ucciso un amico “per veder che effetto fa”…
Ci sarebbe molto da dire sull’individualismo egoista che permea la nostra società. Limitiamoci però alla politica, il nostro campo di interesse.
Il discredito che la avvolge non promette nulla di buono. Ai continui episodi di corruzione e malcostume politico la risposta più facile è il qualunquismo populista, anticamera della dittatura. Parallelamente aumenta il fronte di chi getta la spugna e ingrossa le fila dell’astensionismo. Abbiamo già avuto consultazioni regionali con il 37% di affluenza alle urne. Alcuni sondaggisti parlano del 42% degli italiani intenzionati a non votare alle prossime politiche.
Le ultimissime vicende romane ci dicono che il “popolo delle primarie” – la più recente forma di consultazione democratica – in soli tre anni è diminuito almeno del 60%, salvo trucchi per nascondere una affluenza ancora più fallimentare. Un tracollo di votanti più che giustificato dal marciume emerso con “Mafia Capitale”.
Ma questo è solo un esempio, dato che tutti gli schieramenti politici, a tutte le latitudini della penisola, contribuiscono al discredito della politica con casi di corruzione, di malcostume, di inettitudine.
Qui in Piemonte, dopo la fine ingloriosa della giunta Cota per lo scandalo delle firme false, sono riusciti a replicare il copione alla prima occasione utile. Stupidità? Presunzione? Disorganizzazione? Non sappiamo, forse tutto insieme. L’unica certezza è che diventa sempre più difficile controbattere ai molti che pensano: “Sono tutti uguali”.
Eppure sappiamo che la buona politica esiste, che ci sono persone capaci e perbene che si occupano della cosa pubblica. Ma affermare questa verità diventa arduo come decantare il potere nutritivo della carne a un convegno di vegani. Rischiamo di dipingere un mondo che non esiste più, come se fossimo il soldato giapponese ritrovato nella giungla dopo anni dalla fine della guerra.
In realtà siamo i testimoni di un modo di vivere il civismo e la politica che cercano di tenere accesa una fiammella, i valori del popolarismo sturziano, che sono quelli del cattolicesimo democratico.
Già il nome POPOLARI non ci aiuta.
C’è una confusione che non ci rende riconoscibili. Troppi si dichiarano “popolari”. Ha cominciato Mario Baccini (Federazione dei Cristiano Popolari, 2008, una delle sigle riunite nel PDL e ora confluito nel NCD), poi Totò Cuffaro (Popolari di Italia Domani, 2010, nato da una costola dell’UDC) poi Mario Mauro (Popolari per l’Italia, gennaio 2014, scissione da Scelta Civica), infine Maurizio Lupi e Renato Schifani (Area popolare, dicembre 2014). Ciò che accomuna tutti costoro e i loro seguaci è il fatto di appartenere alla galassia opportunista del centrodestra. Tutti protagonisti o comprimari del ventennio berlusconiano.
Dopo tutto il Partito Popolare Europeo è il contenitore dei conservatori. Per Sturzo, dei fossili. Ma senza scomodare il fondatore, tutti noi possiamo biasimare il fatto che il maggiore partito italiano nel PPE è Forza Italia.
Se dal PPE passiamo a pensare all’Europa, la nostra delusione aumenta. Noi che siamo realmente gli eredi culturali di De Gasperi, non possiamo che disapprovare una Unione Europea senza anima e progetto, solo preoccupata dal rispetto di parametri di bilancio, ostaggio di una burocrazia ottusa, incapace di una visione che possa rispondere alle emergenze del tempo, prima fra tutte la tragedia delle guerre che generano milioni di migranti.
Di Europa, grazie anche a Guido Bodrato, abbiamo parlato spesso su “Rinascita popolare”, dove affrontiamo altri grandi temi: democrazia, migrazioni, bioetica, sostenibilità ambientale, individuo e libertà nella società globalizzata. Grazie a quanti ci permettono di pubblicare dei contributi originali di assoluto valore. Per la continuità del suo impegno nel proporci argomenti di riflessione alta, mi permetto di ringraziare qui, in particolare, il professor Ladetto.
Quando però ci addentriamo nelle beghe della politica nostrana, c’è più vitalità, come dimostra il superiore numero di commenti.
Siamo sinceri, un po’ patiamo la lontananza dalla politica attiva, rimpiangiamo i tempi in cui il gonfalone con la scritta POPOLARI era stampato sulle schede elettorali e rappresentava politicamente il mondo in cui ci riconoscevamo. Lo si vede dalla passione che tracima da interventi letti sul web o ascoltati in Direttivi o serate pubbliche.
Non siamo più protagonisti dell’agone politico, non siamo un partito, non possiamo esserlo per Statuto. Molti di noi, dopo la chiusura dell’esperienza del Partito Popolare con Martinazzoli, Marini, Castagnetti, hanno proseguito il proprio impegno nella Margherita, poi nel Partito Democratico. Ad ogni passaggio si è però ingrossato il gruppo di coloro che si sono fatti da parte. Oggi, con il Partito della Nazione alle porte – o già nei fatti, se diamo credito a D’Alema – il gruppo di chi si è tirato fuori è ancora più numeroso.
Noi Popolari siamo un’associazione culturale, che si occupa di politica. Contribuiamo al confronto di idee per conoscere i problemi del nostro tempo ed elaborare qualche modesta proposta per cercare di risolverli.
Abbiamo un patrimonio di valori e idee che ci è prezioso per leggere le novità dei tempi nuovi. Come una bussola che ci orienta anche in mari inesplorati. Faremmo torto a noi stessi e a ciò che rappresentiamo se ignorassimo le idee guida del popolarismo nel valutare le vicende che l’attualità continuamente propone.
Crediamo nella moralità, e non possiamo dimenticare il valore dell’etica dei comportamenti, quella spesso richiamata nei libri di Pietro Scoppola, e praticata da Sturzo, De Gasperi, Dossetti, Moro, dai nostri Donat-Cattin e Bodrato, da tanti altri amici cattolici democratici. Confrontiamo il loro esempio con i continui e crescenti esempi di malcostume pubblico.
Crediamo nella centralità dell’uomo, e non possiamo accettare lo strapotere dell’economia globalizzata che tende sempre più a schiavizzarlo.
Crediamo nella giustizia sociale e non possiamo accettare che la forbice dei redditi si divarichi sempre più. Nel 2014 metà dei redditi mondiali equivaleva ai redditi di 85 supermiliardari; due anni dopo bastano i 62 più ricchi a pareggiare il reddito di mezzo mondo. Così come vediamo in Italia un divario sempre meno sostenibile tra una generazione che ha avuto troppo e quelle successive che guardano con grande preoccupazione al loro futuro.
Crediamo nella libertà di espressione e nel confronto di idee, e non possiamo tacere la progressiva perdita di democrazia nel nostro Paese e una preoccupante ascesa del leaderismo.
Crediamo nel ruolo delle autonomie sociali e locali, e non possiamo accettare il loro soffocamento ad opera di un montante centralismo.
Crediamo nella bontà della nostra Costituzione, nata dalla Resistenza. Una Costituzione che va restaurata con cautela e non trattata con l’arroganza e la superficialità che abbiamo visto.
Crediamo nella dottrina sociale della Chiesa, negli insegnamenti del Concilio. E ci pare un eloquente segno della pochezza dei tempi che l’eccezionale magistero di papa Francesco non abbia al momento suscitato una rinnovata presenza di laici impegnati a riformare il presente ispirati da un esempio così in linea con i principi del Vangelo. Su “Rinascita popolare” abbiamo già dibattuto a lungo sul silenzio dei cattolici in politica, e non mi dilungo su questo punto che deve però interpellarci nel profondo.
Infine, crediamo nella verità. Sappiamo bene tutti che oggi in Italia manca la fiducia, un requisito indispensabile sia per la ripresa degli investimenti e sia per un recupero di credibilità della politica e delle Istituzioni. Ricercare la fiducia, invocarla, è quindi comprensibile e auspicabile. Il disfattismo è nemico della fiducia. Non tutto è sbagliato, non tutto è da rifare, non è vero che, tanto, sono tutti uguali, come ripetono i troppi italiani che sempre più ingrossano l’astensionismo.
Si ottiene fiducia se si è credibili, genuini, veri.
Dobbiamo però domandarci se i toni da convention – una parola e un modo di far politica che arriva dall’America e che potrebbe a novembre incoronare un presidente come Donald Trump -, se il trionfalismo, l’ottimismo ostentato, contribuiscono a infondere fiducia oppure, al contrario, generano diffidenza.
Sbagliamo a pensare che la verità, unita alla coerenza delle scelte, sia il requisito indispensabile per immettere in circolo la fiducia nel futuro?
Nel nostro piccolo cerchiamo di capire, di promuovere un confronto, di sintetizzare e divulgare qualche buona idea. Sono generalmente proposte che affidiamo al dibattito politico perché ne venga fatto il miglior uso. Negli ultimi anni le nostre convinzioni ci hanno messo ai margini dei processi decisionali. Forse troppo vecchi e inadeguati a capire i necessari cambiamenti, non abbiamo condiviso le principali riforme dibattute e approvate. Forse un po’ gufi, o solo ostinati nel ragionare sul merito delle questioni, abbiamo criticato la riforma degli enti locali, la riforma elettorale, la riforma costituzionale.
Ci siamo anche sentiti accusare di appartenere alla specie di coloro che non vogliono cambiare nulla.
Niente di più falso. Le nostre proposte lo testimoniano.
Ma siamo tra quelli che ritengono inaccettabile la scelta tra il “fare male” e il “non fare”. Noi crediamo che esista una terza opzione da perseguire: quella di “fare bene”.
Se siamo convinti che 2+2 faccia 4 e non 5, non ci può far cambiare idea chi viene a raccontarci che 5 è un risultato migliore, più moderno, più adeguato ai tempi nuovi.
E se 2+2 non faceva 5 né ieri né l’altroieri, non può fare 5 neanche oggi o domani, neppure se venisse a proporci questa nuova aritmetica un amico o nostro fratello.
Il nostro è un impegno che non deve avere paura a schierarsi per valutazioni di convenienza e opportunità. Non ci spaventa andare controcorrente.
Ci preoccupa di più il conformismo al pensiero dominante.
Non saremmo dei “liberi e forti” se non esprimessimo con chiarezza i nostri punti di vista.
L’unico obbligo che abbiamo è rispettare le nostre radici culturali, i nostri valori di riferimento. Non preoccuparci di compiacere il potere del momento. Non preoccuparci di essere conservatori o progressisti: ciò che è ingiusto, inefficiente, corrotto va cambiato; ciò che è giusto, efficace, onesto va mantenuto.
Così come non dobbiamo preoccuparci di apparire vecchi: uno dei capisaldi dell’impegno sociale dei cattolici democratici è la “Rerum Novarum” di Leone XIII. Allora erano “cose nuove” e per certi aspetti, rivoluzionarie. Oggi sono passati 125 anni, un’eternità. Se è per questo allora, i Vangeli sono vecchi di 2000 anni. Ma crediamo tutti che conservino intatta la freschezza del loro messaggio.
Bene, il tempo riservato alla relazione introduttiva si è esaurito. Possiamo procedere con la parte centrale della nostra assemblea, il dibattito. Spero di aver colto alcuni aspetti significativi per stimolare i vostri interventi.
Concluderemo la mattinata con le votazioni del Presidente e del Direttivo prossimi. Abbiamo di fronte un triennio impegnativo, partendo dal referendum costituzionale dell’autunno che ci vedrà impegnati in un confronto interno ed esterno, per arrivare al 2019, anno in cui ricorderemo il centenario di fondazione del Partito Popolare italiano, un anniversario da celebrare degnamente.
Se mi vorrete ancora alla guida della nostra Associazione, sono pronto, insieme a coloro che vorranno impegnarsi nel prossimo Consiglio Direttivo, a proseguire nel lavoro iniziato.
Per mantenere vivi, con coerenza e orgoglio, i valori in cui crediamo. |