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Unioni civili e questione cattolica
 
di Giorgio Merlo
 

Come da copione, ogni qualvolta l’agenda politica suggerisce un tema riconducibile ai cosiddetti “valori sensibili” o “non negoziabili” si sarebbe detto qualche tempo fa, riemerge il capitolo della “questione cattolica”. Ovvero, ci si accorge che anche nell’attuale stagione esistono i cattolici in politica.
Sappiamo già tutti che la presenza politica, e quindi nelle assemblee legislative, dei cattolici democratici e dei Popolari di ispirazione cristiana è, oggi, sostanzialmente scomparsa. Dopo gli ultimi sconvolgimenti politici e la profonda trasformazione dei partiti, è stata cancellata una specificità che proprio nel nostro Paese ha rivestito, nel corso dei decenni, un ruolo politico, culturale e anche legislativo centrale. E quando si parla, ad esempio, della riforma delle unioni civili non si può non tenere in seria considerazione questa costante che, purtroppo, è destinata a caratterizzare la stessa dialettica politica italiana. E, di conseguenza, le riflessioni, le proposte e gli stessi emendamenti avanzati da alcuni cosiddetti esponenti cattolici presenti nei vari partiti vengono giustamente interpretati come richieste “clericali, confessionali, faziose se non settarie”. D’altronde, quando si resta in letargo politico per 11 mesi dell’anno si è difficilmente credibili nel momento in cui si avanzano proposte a nome e per conto dei cattolici.
Anche se il pluralismo politico dei cattolici è un dato ormai storicamente acquisito e nessuno, ma proprio nessuno, oggi può parlare e avanzare proposte pensando di rappresentare il variegato e composito mondo cattolico. E chi lo fa, mi si permetta il giudizio, rischia di cadere nella perlomeno nella goffaggine, se non nel ridicolo.

Nello specifico delle unioni civili, e senza entrare nel merito del provvedimento, c’è un solo aspetto che nella concreta dialettica politica e parlamentare italiana si può ottenere. Ovvero, garantire la piena e incondizionata libertà di voto a ciascun parlamentare senza alcun vincolo di partito, di maggioranza o di chicchessia. Come, del resto, dovrebbe sempre capitare di fronte a temi ed argomenti che interpellano direttamente la coscienza di ciascun legislatore. Una libertà di voto che potrebbe anche sfociare in una convergenza trasversale di esponenti dei vari schieramenti di chi ritiene, in virtù della propria cultura e dei propri convincimenti etici, di non approvare sino in fondo il DDL Cirinnà sulla riforma delle unioni civili. Nello specifico, il capitolo della adozione di un bambino da parte di genitori dello stesso sesso. Come, specularmente, si possono verificare convergenze politiche sulla approvazione di questa proposta che prescindono da qualsiasi confine di maggioranza e di coalizione di governo.
Insomma, anche dalla riforma delle unioni civili può scaturire un confronto fecondo e proficuo sulla sostanziale irrilevanza del cattolicesimo politico nella attuale vita pubblica del nostro Paese. Un tema però che non può continuare ad essere rimosso e banalmente rubricato di serie B.


Oreste Calliano - 2016-01-12
Ecco un altro dibattito stimolante e direi "critico". Non si tratta tanto del ruolo dei cattolici democratici nell'incontro-conflitto con i "laicisti" presenti sia nell'area c.d. "conservatrice" che c.d. "progressista", quanto di un cambio di paradigmi antropologici. Iniziato a fine settecento in Scozia ( nascita dell'individualismo metodologico ) e evolutosi in Francia con la visione "deista" che relegava la religione, e le sue manifestazioni e scelte sociali alla sfera privata, si è poi esacerbato in Stati Uniti dove la frontiera e lo sviluppo economico legato alla produzione di massa hanno costruito l'homo economicus, cioè un uomo non persona totale, ma settoriale: sei uomo riconosciuto se produci,consumi e quindi, proprietario dei beni voluttuari, sei libero. Con la rivoluzione del '68 e la critica all'uomo ad una dimensione si è proclamata la libertà individuale come valore assoluto e irrinunciabile, pena la sottomissione alle regole costrittive della società e all'autoritarismo delle istituzioni. Di qui si è diffusa l'idea che ogni individuo ha la "proprietà del corpo", la " proprietà dei figli desiderati", e quindi il diritto allo "scarto" dei figli non desiderati, la "proprietà del proprio DNA" che si può cedere a scopo lucrativo a fini di ricerca, la "proprietà del proprio utero o sperma" che si può affittare, come se si trattasse di una attività economica. Questa concezione parte da un presupposto, a mio avviso, errato, che la libertà sia un valore e non un mezzo per la realizzazione di qualcos'altro: "la libertà di". La libertà di circolazione, la libertà di scambio, la libertà di associazione, la libertà di cooperazione e di reciprocità, la libertà di donare,la libertà di realizzare la propria personalità. Esiste anche la "libertà da": dal bisogno, dalla fame, dalla guerra,e quindi stimoli a realizzare il diritto al lavoro, la cooperazione internazionale, la pace, che la nostra Costituzione impone al legislatore ordinario di sempre più sviluppare, scegliendo fra le risporse disponibili. Ma non la "libertà contro": contro valori ritenuti dalla società sin'ora "sacri" cioè inviolabili e irrinunciabili. I valori della difesa della vita,i valori della genitorialità bisessuale, i valori della non mercificazione del corpo. Per questo io fui , pur ritenedo il matrimonio un vincolo "sacro", favorevole al divorzio per chi, non credente, riteneva che tale valore fosse non universale, ma di un gruppo "sale della terra". Fui però contro l'aborto non giustificato da gravi motivi psico-sanitari o socio-economici. Ed ebbi con Pannela uno scontro affermando che si poteva eliminare il valore della vita se lo si sostituiva con un altro valore "sacro", cioè comunitariamente condiviso, non con il "nulla", in quanto ogni società si fonda su valori fondamentali. Pannella deviò e non mi rispose, evidenziando che chi ricerca "solo" la libertà (di sessualità, di droga sia pur leggera, di contestazione) ha qualche problema personale che proietta sull'intera società. Si obietta che la società è cambiata e che la famiglia in crisi dà spazio a plurime forme di convivenza, che l'adozione consente di dare a bambini abbandonati una qualche forma di affetto unigenitoriale o omogenitoriale, che l'evoluzione bio-tecnologica apre nuove prospettive alla bio-politica. Posso comprendere l'ansia di rinnovamento della società occidentale in crisi dal 1918 ed in particolare dalla scoperta che altre società premono con loro diversi valori e esigenze incomprimibili.Ma allora si sviluppi la creatività non verso il conflitto, foriero di dissolvimento della società,ma elaborando nuovi valori, nuove "parole", nuove regole.Non si scimmiotti il linguaggio tradizionale : "matrimonio", "filiazione", "adozione", con le loro regole acquisite,il che è indice di complesso di inferiorità, e non della "responsabilità" richiesta a chi vuole innovare. Responsabilità degli scienziati, ma anche dei politici, dei genitori, delle madri e padri che la "Laudato si'" e "La famiglia genera il mondo" di papa Francesco ci richiama tutti a sviluppare e a richiedere agli altri, in particolare a chi è delegato a prendere decisioni "paradigmatiche".
Giuseppe Ladetto - 2016-01-08
Il dibattito in merito al diritto delle coppie omosessuali di contrarre matrimonio e a quello di adottare bambini viene presentato dalla più parte dei commentatori politici e dei mezzi di informazione in termini di conflitto tra laici e cattolici, una rappresentazione che ritengo interessata da parte di chi preferisce non entrare nel merito delle questioni. E’ più facile, per costoro, dire che occorre stare al passo con i tempi. Solo i cattolici, ancorati alle loro concezioni dogmatiche, si oppongono al nuovo. Bisogna avere pazienza dando loro qualche momentanea concessione, tanto sarà l’inevitabile evoluzione dei tempi a spazzare via questi preconcetti che purtroppo hanno ancora un qualche peso nel nostro paese. Ma le cose non stanno così. L’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali, gli uteri in affitto, la fecondazione eterologa (che riduce il ruolo del maschio a quella di un fuco) ci riportano ad una questione centrale, quella antropologica riguardante la definizione di che cosa sia un essere umano ed il quesito se esista o meno una natura umana inerente alla psiche. Ora questa è una questione che ci riguarda tutti, credenti di varie confessioni o atei od agnostici. Non è infatti necessario essere credenti per respingere quella concezione radical-liberale per la quale la natura dell’uomo consiste nel non avere natura e nel determinare la propria storia attraverso le proprie scelte, una concezione che ci ha condotti a rifiutare ogni limite, sia nella vita individuale che nella dimensione collettiva. E dobbiamo ricordarci che alla base di ogni visione del mondo c’è sempre la concezione che si ha dell’essere umano. Quale politica è possibile praticare senza possedere o valorizzare una visione del mondo? Trovo curioso che si senta dire, da autorevoli commentatori politici, che bisogna lasciare fuori dalla competizione politica le questioni etiche e le concezioni antropologiche. Se in argomento, aggiungono, ci saranno leggi da approvare, i parlamentari eletti si esprimeranno secondo libertà di coscienza. Discorso inaccettabile: quale rappresentatività in materia avrebbero costoro per imporre al paese le loro personali idee? Una politica che non si fondi su una visione del mondo e che non tenga conto anche dei valori si riduce a semplice amministrazione. Su tali questioni, lascia campo libero al mercato che oggi, grazie alla pubblicità, alle mode e ai conformismi che suscita, è diventato l’unico arbitro della graduatoria dei valori, assumendo funzione di regolazione anche in quegli ambiti di vita finora tenuti insieme normativamente da valori etici condivisi dalla comunità, dai costumi e dalla religione. Certo sono d’accordo con Andrea Griseri quando dice che la relativizzazione della famiglia naturale fa parte di un disegno complessivo di "liquidazione" della società che bisogna arginare. Quindi la priorità è la battaglia contro questo disegno, una battaglia che deve essere condotta su un fronte molto vasto, ma senza lasciare sguarnite postazioni (come quella della bioetica), magari per compiacere potenziali alleati.
Andrea Griseri - 2016-01-08
Chi ha riferimenti cattolico-democratici avrebbe spazi e praterie di fronte a sè, altro che svegliarsi dal letargo quando entrano in gioco i cosiddetti temi sensibili; la tradizionale dottrina sociale (il termine tradizionale deriva da traditio che non è concetto statico e conservatore ma indica un divenire, un'evoluzione), il magistero sociale degli ultimi due pontefici, dovrebbero sollecitarci a criticare propositivamente tutto un impianto economico e sociale ormai privo di prospettive. La relativizzazione della famiglia naturale( quella natura che è anche fondamento del diritto) fa parte di un disegno complessivo di "liquidazione" (per dirla con Baumann) della società che bisogna arginare. A proposito del decreto: i conti del potenziale impatto sui costi pensionistici sono da ricalcolare! Questa leggerezza da parte della classe politica, che ha archiviato senza batter ciglio la tetra riforma Fornero, è imperdonabile.