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Le lezioni del voto francese
 
di Giorgio Aimetti
 

I due turni elettorali del complesso e impietoso sistema vigente in Francia sono bastati per dare di quel Paese un'immagine duplice e contraddittoria. Il mistero per chi non è avvezzo alle cose d'oltralpe consiste nel vedere che il Fronte Nazionale “vincitore” di una settimana fa, ha riportato una sconfitta su tutti i fronti nel secondo appuntamento con le urne.
Si è puntato l'accento sul forte aumento della partecipazione al voto (un fenomeno che in Italia non avviene mai nei casi di ballottaggio) quasi che il partito di Le Pen sia stato respinto dall'onda della “riserva della Repubblica” o dal pentimento di tanti votanti che avrebbero cambiato parere grazie alle ultime parole d'ordine pronunciate dai leader dei maggiori partiti tradizionali, quelli battuti al primo turno.
Le cose non stanno proprio così. Fuor di dubbio ha prevalso la conventio ad escludendum che vige in Francia nei confronti della destra più estrema, cosicché i socialisti di Hollande sono stati portati a preferire i candidati della destra moderata di Sarkozy a quelli che si ispirano alla xenofobia, all'antisemitismo, al razzismo o addirittura alla tradizione controrivoluzionaria.
Ma non è vero che Marine Le Pen abbia perso voti, né in assoluto, né in percentuale: il Front National è stato battuto non perché, passata l'onda emotiva degli attentati di Parigi, i cittadini elettori siano tornati a votare come prima, ma perché quel partito non ha alcuna capacità di coalizione con altre forze politiche (e quella più affine, la destra di Sarkozy, gli è addirittura la concorrente più forte e accanita).
Così il successo di una settimana fa, troppo esaltato da Salvini e dai media, si è rivelato effimero anche se il Front National ha addirittura guadagnato qualche consenso nell'elezione di ballottaggio.
Il problema del voto di protesta contro i partiti tradizionali e la politica che essi si trovano a interpretare resta però inalterato: resta la paura per gli stranieri che stringe al cuore la gente comune, restano le conseguenze della crisi che tolgono le speranze a una generazione, crescono i localismi, resta l'incapacità dei maestri di pensiero e dei leader politici democratici di intercettare, educare e piegare le pulsioni irriflessive di tanti elettori francesi. Ma non solo francesi.
Tra poco si voterà in Spagna e nel 2017 in Germania, e si vedrà allora il senso di questi timori. Quando si voterà in Italia, già esistono forze pronte a interpretare, a destra come a sinistra (ma chissà se poi è sinistra...), i sentimenti che hanno gonfiato le vele di madame Le Pen. Il fatto è che da noi non esiste, né nella cultura, né nell'informazione, né nel pensare della gente (e forse neppure in vari segmenti dello Stato) quel sentimento trasversale di rispetto delle istituzioni che, almeno fino ad ora, ha protetto la Francia da avventure temibili.


giorgio merlo - 2015-12-16
Giorgio si conferma, ancora una volta, quel fine analista che da sempre lo contraddistingue. Sin dai tempi in cui scriveva con impeccabile efficacia sulle colonne di "Terza Fase" e "Lettere Piemontesi".L'intelligenza, quando c'è, non tramonta. Anche nella terza repubblica...
Gianfranco Guazzone - 2015-12-15
NON FA UNA GRINZA E CONDIVIDO APPIENO SIA L'ANALISI CHE LA POSSIBILE PROSPETTIVA, IN PARTICOLARE PER IL NOSTRO PAESE. Per la PACA ero molto meno ottimista dell'amico Campia perche' temevo un collante tra l'estrema destra e gli "irriflessivi" piu' o meno momentanei, rafforzati dall'individualismo esasperato e egoistico dei cosiddetti benestanti.
Franco Campia - 2015-12-15
Condivido le osservazioni di Aimetti. Personalmente ritenevo ampiamente prevedibile l'esito finale, con qualche dubbio solo per la regione PACA (Provenza-Alpi-Costa Azzurra), dove infatti la Le Pen jr è andata intorno al 44%. Ci sono due aspetti che vorrei ancora sottolineare, ambedue ascrivibili allo spappolamento dei partiti tradizionali, che si manifesta anche in Francia. Da un lato il clima da tifoseria di stadio nei comizi, dominati dall'emotività e carenti di reale spessore programmatico, dall'altro l'estrema personalizzazione della proposta politica, giocata sul modo di presentarsi dei candidati e sulla capacità di "bucare" lo schermo. Ho visto del materiale di propaganda di Marion Marechal Le Pen: una bella ragazza, che sa parlare con convinzione, proponendo ricette semplificatorie e dure con suadente moderazione. Che poi una venticinquenne senza seria esperienza amministrativa potesse guidare una importante Regione, per quasi la metà degli elettori, evidentemente non ha fatto problema. Questa personalizzazione spinta, che anche da noi dilaga, è la vera morte della politica.
umberto cogliati - 2015-12-15
Giusto. Quel "sentimento trasversale" di cui qui parla Aimetti, manca davvero. A ben vedere la nostra Italia è ben diversa dalla Francia. Basta un esempio: Il Front National dovrebbe fare il paio con La Lega italiana e Sarkozi analogia con berlusconi e soci? No, non ci siamo! A volo d'uccello: da noi far capire che le regole(che devono valere per tutti) sono cosa diversa dalla propria convenienza, è cosa impossibile. La invocata trasversalità che da noi lamentiamo ne vediamo la mancanza nella formazione delle compagini partitiche. Prima ho finto di fare il paio tra le destre francesi e quelle italiane, ma c'è dell'altro che non quaglia. Il Movimento 5 stelle con chi fa il paio in Francia? Da noi si "gioca a inventare nuovi partiti; cos'è questo se non la volontà di far prevalere la propria opinione di nicchia e dall'altro canto la predisposizione ad allearsi alla "greppia" che vince. Siamo in un Paese nel quale, mentre si invoca uno sbocco maggioritario per garantire la governabilità, la classe politica si spezzetta come se fossimo nel proporzionale. Negli ultimi mesi sono "nati" ancora nuovi partitini, sia a destra che a sinistra. Intanto, con uno spettacolo che dire indecoroso è poco, il Parlamento Italiano non riesce a eleggere tre giudici costituzionali. Ma come si fa per cambiare questo stato di cose? Prendiamo il recente esempio dalla Francia o comperiamo un lanciafiamme?