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Helmut Schmidt, uno statista europeo
 
di Aldo Novellini
 

L'ex presidente francese Valery Giscard d'Estaing nelle sue memorie, “Le pouvoir et la vie”, ricorda la telefonata di congratulazioni ricevuta in tarda serata da Helmut Schmidt, dopo il successo del suo partito centrista alle elezioni legislative del 1978. Il cancelliere tedesco, pur essendo socialdemocratico, e dunque in teoria più prossimo al Partito socialista di François Mitterrand, pareva quasi sollevato - sottolinea con malcelato compiacimento Giscard - della riconferma elettorale dei moderati a spese della sinistra social-comunista. Forse la chiamata notturna voleva essere un gesto di cortesia istituzionale verso il presidente francese in carica ma è comunque certo che la Spd era qualcosa di ben diverso dal Ps, all'epoca ancora intriso di cultura marxista. Per di più Schmidt rappresentava l'anima centrista della socialdemocrazia tedesca, quanto di più lontano, dunque, dal socialismo mitterrandiano e forse davvero più contiguo al saldo europeismo giscardiano.
Helmut Schmidt, cancelliere dal 1974, dopo esser succeduto a Willy Brandt, al 1982, quando venne rovesciato dal ribaltamento di alleanze dei liberali che abbandonarono la Spd per seguire la Cdu di Helmut Kohl, è stato uno dei massimi leader tedeschi ed uno dei più convinti assertori del percorso di integrazione europeo. Celebre per il suo pragmatismo, spinto quasi agli eccessi, testimoniato dalla sua famosa frase “chi ha delle visioni dovrebbe andare dal medico”, fu in verità, come spesso capita a chi è molto realista, un uomo politico di grandi prospettive. In politica interna fu sempre attento agli equilibri di bilancio e, non a caso, nel 1976 pretese dei seri impegni dall'Italia del compromesso storico alle prese con una faticosa opera di risanamento dei conti pubblici e alla ricerca di un sostegno finanziario europeo. Anticomunista sino al midollo si schierò a favore dell’installazione degli euromissili, in linea con quanto auspicato dalla Casa Bianca. Ancora oggi è il cancelliere Spd rimasto più tempo al potere, avendo contribuito alla definitiva trasformazione dei socialdemocratici in autentica forza di governo. Sempre concreto ed efficiente nella sua azione politica, come si era dimostrato sin dall’inizio della carriera pubblica alla guida del lander di Amburgo, sua città natale. Restò memorabile la capacità organizzativa messa in campo durante l’alluvione che nel 1962 colpì la capitale anseatica.
Sulla scena europea divenne decisiva la sua forte intesa con Giscard a corroborare quell’asse franco-tedesco inaugurato da De Gaulle ed Adenauer e, ieri come oggi, insostituibile pilastro del processo di integrazione. Il socialdemocratico Schmidt e il liberale Giscard: coppia al vertice di Francia e Germania come lo saranno Kohl e Mitterrand e poi Chirac e Schroeder, in quella curiosa asincronia politica per cui, salvo rare eccezioni (Merkel-Sarkozy), ad un cancelliere tedesco di sinistra è sempre corrisposto un presidente francese di destra e viceversa. In quegli anni vennero così gettate le basi per il serpente monetario, primo embrione della futura unificazione delle diverse valute nazionali e della nascita dell'euro. Un impegno europeista culminato proprio in quegli anni, con la prima elezione a suffragio universale del Parlamento di Strasburgo. Schmidt uscì di scena nel 1982, “vittima”, per così dire, di una mozione di sfiducia costruttiva, primo, e sinora unico, cancelliere ad aver subito a sue spese questo peculiare tratto del sistema politico tedesco.
Da quel momento in poi divenne, insieme a Brandt, uno dei padri nobili della socialdemocrazia tedesca ed europea. Seguì da vicino l’avvento alla cancelleria di Gerhard Schroeder, sicuramente più erede suo che non di Willy Brandt, continuando ad osservare, con l’inseparabile sigaretta tra le labbra, le vicende politiche di questi ultimi trent’anni. Molti dei traguardi raggiunti dell’Unione europea in termini di integrazione sociale, economica e culturale, sono frutto di alcune lungimiranti scelte che negli anni Settanta lo videro tra i principali artifici. Davvero niente male per uno statista che considerava inutile avere delle visioni politiche.