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Militanza e politica, connubio inscindibile
 
di Giorgio Merlo
 

La profonda trasformazione dei partiti, la scomparsa delle tradizionali sezioni dove la politica era confronto e scontro, il superamento di ogni forma di formazione e preparazione della futura classe dirigente, ripropongono anche un tema che apparentemente è antico ma che, al contrario, conserva tutta la sua modernità: e cioè, il tramonto della cosiddetta "militanza politica".
Intendiamoci, nessuno vuole riproporre nell'attuale contesto politico italiano quella militanza che era funzionale a partiti che erano soggetti strutturati, radicati nella società e con un contatto frequente, se non quotidiano, con il proprio elettorato e con l'intera opinione pubblica. Partiti del genere richiedevano una presenza di uomini e donne che dovevano veicolare il "messaggio" e il "progetto" politico del partito nei territori e nei gangli vitali della società in modo continuativo e permanente.
Con l'avvento dei "partiti personali" e dei "partiti del leader" è persin scontato che la militanza della politica e nella politica diventi un oggetto del passato. Ma la scomparsa definitiva della tradizionale o della recente militanza a vantaggio di una concezione della politica intesa come investimento personale o come occupazione del potere, non può non avere ricadute concrete per lo stesso sistema politico italiano.
Certo, non ci sono rimedi del passato alla concreta situazione del presente.
Ma un fatto è indubbio: senza il recupero di una concezione popolare, partecipativa e democratica della politica difficilmente si riuscirà a conservare una politica credibile, trasparente e autentica. Non tutto quello che proviene dal passato dev'essere archiviato o definitivamente gettato alle ortiche. Partiti che diventano oggetto del "capo di turno" o docili strumenti elettorali funzionali alla volontà del leader, non possono che ridursi a soggetti privi di personalità politica e sostanzialmente estranei a ogni cultura politica che dovrebbe, invece, sempre ispirare e orientare la stessa presenza dei partiti. Perché, alla fine, tutto si tiene. E senza il recupero, seppur in forma aggiornata e adeguata alla stagione contemporanea, di una militanza disinteressata e trasparente, sarà la stessa politica a uscirne sconfitta ed umiliata.
Almeno quella politica che non si riduce e non vuol ridursi solo a potere, carriera personale e spregiudicatezza cinica e immorale.


Luchino Antonella - 2015-11-13
I politici del passato scendevano tra la gente per mantenere il contatto con la realta' e capire le problematiche di questo o quel territorio. Oggi invece stanno seduti nei salotti televisivi o dialogano servendosi degli strumenti informatici. In questo modo hanno perso completamente la realta' della quotidianita'. E se ne vedono gli effetti......
Dino Ambrosio - 2015-11-11
La tendenza di molti è quella di idealizzare il passato e ritenere meno buono e meno bello, a prescindere, la realtà attuale. A me sembra però che non sia poi così tanto vero. E vero che oggi con i soldi, le televisioni e le varie agenzie di informazione è più facile raccogliere il consenso dei più sprovveduti ma è anche vero che anche in passato c’erano i canali attraverso i quali si veicolavano e spesso venivano assimilati in modo spesso acritico i messaggi ed i progetti politici. Credo che i due più grandi partiti politici del dopoguerra, la DC ed il PC, abbiano approfittato alla grande della loro rete di sezioni di partito per veicolare più che i messaggi politici il loro potere politico, talvolta rivolto al bene comune ma talvolta rivolto al bene di pochi o a rafforzare le loro ideologie. Quanto negli anni scorsi le scelte politiche più importanti fossero effettivamente discusse e scelte dai militanti non so dire perché non ho mai frequentato molto le sezioni dei partiti, ma credo che la situazione non fosse molto meglio di oggi. Credo che fossero comunque in pochi a fare le scelte davvero importanti. Quello che invece oggi c’è ed in passato non c’era è la facilità di espressione anche per via informatica. Forse oggi dobbiamo ancora capire che la facilità di comunicare non ci autorizza a dire tutto quello che ci passa per la testa. Impareremo, ma credo che, nonostante tutto, tra le giovani generazioni, si stiano creando le condizioni per una maggiore capacità di critica e maturità politica. La scuola ha reso i giovani più critici ed indipendenti e poi credo che i giovani che stanno faticando a trovare lavoro siano più disincantati dei sessantottini e delle generazioni che hanno trovato tutto facile. “Militanza disinteressata e trasparente” cioè “onesta” nella sua accezione più profonda è l’obiettivo del futuro che credo sapremo raggiungere oggi più di ieri anche senza partecipare a tante riunioni, o indottrinamenti, ma partecipando alle scelte con l’ausilio delle forme di comunicazione attuali, cercando di capire, di esprimere le nostre opinioni in modo da far capire a quelli che ci rappresentano quello che pensiamo in modo da indirizzarli. Il problema è forse se ci stanno a sentire. Ma se non ci stanno a sentire si vedranno sostituiti senza troppi problemi, senza quei vincoli di appartenenza politica che invece nel passato condizionavano e rendevano statica la situazione politica e favorivano le lobby di potere. Esiste è vero il problema del populismo che riguarda una percentuale di persone più semplici o interessate ma le nuove generazioni mi sembra che siano più attente e partecipano in modo disincantato. Si creeranno così le condizioni per una maggiore fluidità politica se sarà il bene comune a guidarci nelle scelte. E’ il bene comune che supera ogni rapporto personale di appartenenza, o amicizia o cos’altro di precostituito. Sul futuro della rappresentatività non son pessimista.
Giuseppe cicoria - 2015-11-11
prima Craxi, poi Berlusconi, adesso Renzi. Speriamo di non tornare al passato più lontano...!
Umberto Cogliati - 2015-11-11
Ha ragione Merlo, ma la sua "nostalgia" per la politica del passato, che è anche la mia, è giusto evocarla ma non basta. Nel concreto quella stagione (i partiti che facevano i partiti, le discussioni, la formazione, la selezione dei preparati a gestire le istituzioni, a partire dalle più piccole, i Comuni, ecc.) ha avuto una conclusione che è quella che, consentendo la nascita dei partiti personali, cioè di cosa completamente diversa da prima, dichiara di fatto la sua inadeguatezza, se non il suo fallimento ha guidare una società nel momento che diviene più complessa. Non voglio dire che la politica partitica di prima sia da condannare, tutt'altro, ci sono vissuto anch'io dentro là e non me ne pento, ma allora occorre approfondire l'analisi e spiegarci come mai è nata la metamorfosi. Si potrebbe dire, ma è sbrigativo, che la "nuova politica" è così perchè ha dato ascolto alla sirena che fa preferire l'interesse personale più di quello collettivo. Forse l'approfondimento và spinto chiamando in causa i grandi motori generatori dell'impegno politico di quegli anni: ne cito uno: la funzione propulsiva all'impegno per il bene comune che era nella chiesa, nei preti (quanti di noi hanno avuto accesso all'impegno politico spinti dall'ambiente dell'oratorio fatto bene), è obiettivamente venuta calando, se non sparita. Non è da escludere che anche quegli ambienti siano stati tentati dagli stessi vizi che oggi attribuiamo in esclusiva ai politici. Credo che sia venuta meno, molto meno, la spinta della religione, non sembri un linguaggio, il mio, fuori luogo. Ma questo è discorso da prossime puntate.
Andrea Griseri - 2015-11-11
In compenso i cittadini si radunano quando sono sollecitati da qualche emergenza o dal richiamo di un qualche impegno solidale.Spesso è l'opposizione a qualcosa a fare da catalizzatore: è la politica dei "no" che talora è poco o nulla costruttiva ma non sempre immotivata: il no a certe scelte che impattano pesantemente sul territorio, sull'ambiente, sulla fiscalità generale dovrebbero essere da una politica seria e coscienziosa attentamente vagliate ( dove sono i cattolici doc? Oltre alla questione delle unioni civili c'è la questione ..Laudato si'..). E allora perché dall'interno dei partiti non provare ad aprire un dialogo vero e non strumentale con l'associazionismo spontaneo? Non per normalizzarlo ma per aiutarlo a operare sui binari della razionalità e mettere a fattor comune la sua energia che è al di là dei contenuti di volta in volta implicati: pura energia democratica.