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Senza idee-forza non si affronta il futuro
 
di Giuseppe Ladetto
 

Quest’estate, mettendo un po’ di ordine nella mia biblioteca, mi è capitato fra le mani un ritaglio di una pagina di “Tuttolibri” del settembre del 1992 in cui viene recensita una raccolta (La strage delle illusioni) di pensieri storico-politici di Giacomo Leopardi. Nella pagina ritagliata, sono presentati quattro pensieri commentati da nostri illustri contemporanei. Due di tali pensieri mi sembrano dire cose molto interessanti anche per chi vive l’attuale stagione politica, e pertanto voglio presentarli agli amici di “Rinascita popolare”.

Primo pensiero: “L’ubbidienza è sottomissione totale al principe, e l’esser pronto a servirlo; non è insomma altro che un sacrificio al bene comune, un esser pronto a sacrificarsi per gli altri, un contribuire pro virili parte al bene pubblico. Dico quando la detta sottomissione è spontanea. Ma l’egoismo non è capace di sacrifici. Dunque la detta sottomissione spontanea non era più da sperare; la comunione degli interessi d’ogni individuo coll’interesse pubblico era impossibile. Nato dunque l’egoismo, né il popolo poteva più ubbidir se non era servo, né principe comandare senza essere tiranno”.
Commento di Sergio Quinzio: “Non so quando l’egoismo sia nato, ma sul fatto che la comunione degli interessi d’ogni individuo con l’interesse pubblico sia impossibile, e che non resti spazio se non per i servi e i tiranni (o clienti e protettori) non mi pare sia lecito, oggi, alcun dubbio. Leopardi avrà avuto la gobba, ma vedeva molto bene. Ci furono epoche che conobbero davvero il sacrificio al bene comune, non come eccezione ma come regola? Credo molto ragionevole la tesi di Durkheim, che affermò la sostanziale coincidenza tra religione e vincolo sociale. Tolto il vincolo unitario della religione (che può essere duro, crudele, e anche ingiusto), la coesione della società si disfa. Questo mi pare un fatto accertato”.

Secondo pensiero: “O la immaginazione tornerà in vigore, e le illusioni riprenderanno corpo e sostanza in una vita energica e mobile, e la grandezza e la bellezza delle cose torneranno a parere una sostanza, e la religione riacquisterà il suo credito, o questo mondo diverrà un serraglio di disperati, e forse anche un deserto”.
Commento di Luciano Canfora: “Non si deve dimenticare che con illusioni e immaginazione Leopardi intende le favole antiche e l’infanzia dell’umanità e non le illusioni (o ideologie) politiche. Tuttavia, preso per sé, questo pensiero sembra dunque avere una portata vastissima. Lo tradurrei così: senza le grandi utopie, le grandi fedi, le grandi idee-forza che sorreggono l’azione, questo mondo diverrà un serraglio di disperati. Condivido in pieno, anche se prevedo tutte le critiche possibili. Alle quali sommessamente obietto ricordando che, compiuti i cento anni e persa l’utopia, un partito carico di storia come il PSI è ridotto a computare davanti ai giudici quante tangenti ha intascato”.

Quinzio, cattolico, e Canfora, marxista, ci dicono che una politica tesa al bene comune, o al bene collettivo, non può sussistere senza il sostegno di una fede religiosa o di una visione utopica. Certo bisogna tenere a mente che la religione può condurre all’intolleranza, o peggio al fondamentalismo, e che dalle utopie possono nascere mostri. Tuttavia senza delle idee-forza non si va da nessuna parte, e meno che mai quando la società è contrassegnata da un ideologia fondata su un individualismo estremo e l’unico orizzonte è quello economico, ove domina l’interesse personale.
Anche Ernesto Galli della Loggia ha affrontato questo tema, attualizzandolo, in un articolo sul “Corriere della Sera” dello scorso 1° settembre. Nel mondo, ci troviamo di fronte a rilevanti mutamenti climatici e a degrado ambientale indotti dalle attività umane, in parallelo al progressivo esaurimento delle risorse. A ciò si aggiunge, nei Paesi sviluppati, l’incapacità strutturale di assorbire mano d’opera per la robotica introdotta nei sistemi industriali e la telematica nel settore dell’impiego e dei servizi. Inoltre, si assiste al crollo demografico delle popolazioni europee: tedeschi, italiani, spagnoli, portoghesi, austriaci, polacchi e ungheresi manifestano i più bassi indici di fecondità mondiali così che, ai ritmi attuali, ogni nuova generazione avrà il 30-35% e talora il 40% di soggetti in meno rispetto alla generazione precedente. Infine ci troviamo di fronte alla migrazione di masse crescenti di esseri umani dal Sud del mondo verso i Paesi più sviluppati, e verso quelli europei in particolare. Sono quattro fattori di crisi, ciascuno dei quali dirompente di per se stesso, che sovrapponendosi e intrecciandosi finiranno per produrre il punto di rottura degli assetti politici, economici e sociali attuali, e per dare luogo a un salto di epoca storica verso un mondo oggi non prefigurabile, ma che comunque desta inquietudine.
Ora, secondo Galli della Loggia, pare evidente che le nostre società europee non siano in grado di fronteggiare i singoli fattori di crisi e ancora meno la situazione che viene a determinarsi dal loro confluire. Le democrazie europee vivono alla giornata: i politici pensano solo alle scadenze elettorali; su di esse pesa il vincolo del consenso, in base al quale non c’è spazio per fare progetti, investimenti e sacrifici che diano frutti sul lungo periodo senza alcun vantaggio a interessi organizzati qui ed ora. Inoltre, affrontare questioni quali la denatalità o il consumo selvaggio di risorse implica la messa in campo di valori e comportamenti individuali incompatibili con quella dominante visione liberale che si esprime nella sempre più autonoma manifestazione della soggettività. Un impegno arduo di tutti, di lunga lena e di scarso appagamento nell’immediato, per affrontare gli scenari negativi che incombono sul nostro futuro prossimo, si scontra con l’assenza nei Paesi europei di un sentimento collettivo di appartenenza e di destino, riferiti a un ethos condiviso dai più. Un sentimento e un ethos che un tempo avevano la loro premessa tipica nella fede religiosa o nel patriottismo, due cose che la secolarizzazione individualista-cosmopolita dominante ha demolito senza sostituirle con altre motivazioni di analoga efficacia.

Come si vede la conclusione di questo discorso di Galli della Loggia è in sintonia con quanto avevano detto Sergio Quinzio e Luciano Canfora già alcuni decenni fa, prima della crisi economica, alla quale troppo spesso oggi si riconducono tutte le cause del disagio attuale. Forse sarebbe il caso che, nel mondo politico e in quello della comunicazione, si mettessero da parte le questioni di piccolo cabotaggio (che risultano tali a fronte dei fattori di crisi sopra indicati) sulle quali gli esponenti di tali mondi amano confrontarsi improduttivamente, e si cominciasse a discutere seriamente delle ragioni di questa incapacità della società europea di affrontare il futuro. Prima che i fatti, non più governati, la travolgano insieme alle sue istituzioni.


Marco Calgaro - 2015-11-12
Grazia, bellissima riflessione