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Le morti, nascoste, che ci interrogano
 
di Giuseppe Ladetto
 

Sul tema dell’immigrazione (di cui ho già scritto in passato su “Rinascita popolare”), trovo che oggi sia difficile parlare serenamente. Assistiamo a uno scontro di sapore ideologico tra cattivisti e buonisti, tra chi vuole erigere muri impenetrabili e chi vuole porte spalancate a flussi crescenti sempre meno governabili. Il comportamento generale che alimenta lo scontro è paragonabile a quello di due medici (di differente scuola) che litighino sulla terapia da praticare a un paziente grave senza aver debitamente rilevato le condizioni del malato con i necessari esami, senza una anamnesi e senza aver quindi fatto una diagnosi corretta della malattia. Così qualunque terapia non dà risultati. Certamente nell’emergenza non è facile stabilire che cosa fare; temo che, se la pressione immigratoria si farà molto più marcata, saranno i fatti stessi ad imporre misure che oggi non riteniamo praticabili.
Benedetto XVI è andato al cuore del problema quando ha affermato che i fenomeni migratori sono causa di sofferenza per quanti ne sono implicati e pongono difficili problemi sia nei Paesi di origine dei migranti (aspetto questo totalmente ignorato dai media), sia in quelli di approdo. La strategia principale per affrontare il fenomeno, ha aggiunto, consiste nel migliorare la situazione e le condizioni di vita delle persone nel loro Paese di origine affinché non siano costrette a emigrare. Ovviamente è questo un percorso che richiede tempo, ma fin da oggi occorre definirne il tracciato perché a creare inquietudine e paura nella gente è proprio la mancanza di una strategia e di un traguardo all’orizzonte.
È stato autorevolmente e giustamente detto che il mondo non può continuare a procedere a due velocità. È questo il cuore del problema. Ci sono Paesi nei quali il PIL pro capite annuo va da 20.000 dollari (come la Grecia che è tra i Paesi ricchi) a 60.000 dollari. Altri Paesi vedono un Pil pro capite annuo compreso tra i 300 e i 5.000 dollari. Questo divario è il motore che alimenta la migrazione per ragioni economiche, quella numericamente più rilevante.
Bisognerebbe allora sempre chiedersi, di fronte a ogni misura da prendere nei più diversi ambiti, se questa aumenta o diminuisce il distacco, o il divario tra le due velocità.
Ad esempio, la tanto invocata ripresa dei consumi nei vari Paesi occidentali in che direzione porta? Non sono certo i Paesi poveri a poter raggiungere i nostri consumi perché altrimenti ci vorrebbero parecchie Terre per soddisfarli. E ancora, in che direzione conduce la fuga dai Paesi poveri di quanti hanno una certa istruzione, qualche competenza professionale, qualche mezzo e comunque sempre una maggiore intraprendenza rispetto a chi non è in grado di mettersi in cammino? Accresce o diminuisce il divario? E così via.
Ma il clima oggi non pare adatto a un discorso pacato. C’è anche troppa strumentalizzazione. Abbiamo visto quante volte è stata mostrata o citata l’immagine del bambino annegato nel mar Egeo. È ovvio che susciti una diffusa emozione. Ma tutti i giorni (365 giorni ogni anno) muoiono di stenti nell’Africa nera tra gli 8.000 e i 10.000 bambini. Ciò non fa notizia. Le immagini di bambini denutriti, prossimi alla morte, ci vengono presentate in TV nella pubblicità di una ONG. Eppure queste immagini dovrebbero essere messe in prima pagina tutti i giorni. Forse si preferisce girare la testa da un’altra parte, perché affrontare questa tragedia implica la messa in discussione dell’attuale modello di società.
Anche i fenomeni migratori sono frutto della distruzione economica e sociale che il turbocapitalismo produce in vaste parti del mondo in contemporanea con la crescita e lo sviluppo di luoghi privilegiati dagli investimenti dei capitali. Infatti i capitali vengono sempre investiti dove il rendimento è massimo. A ciò tutto il resto deve essere subordinato, a partire dalle persone, che devono spostarsi (quelle in grado di farlo) dove la crescita richiede mano d’opera o sembra dare loro qualche opportunità. Così si predano le risorse del pianeta, si provocano danni ambientali e si distruggono relazioni sociali, modi di vita, culture.
Il mondo non può andare avanti così, ma tutto questo non viene preso in considerazione, neppure per porsi delle domande in merito.


Umberto Cogliati - 2015-10-13
L'analisi che fa Ladetto è condivisibile, non potrebbe essere altrimenti. Lo abbiamo affrontato più volte il tema della fame, dell'ignoranza in gran parte del mondo e, per contro, il comportamento dei Paesi ricchi, le "potenze" che non mostrano interesse più di tanto per quei giganteschi problemi. Aggiungo, sullo stesso filone, l'episodio dell'Expo a Milano: la mia non vuole essere una pregiudiziale voce fuori dal coro, ma rispetto al tema, all'obiettivo che quell'evento si è dato, è lecito nutrire dei dubbi sul rapporto tra l'impegno e i risultati ottenuti. Ora cambio registro. Affermo che l'unico soggetto in grado, se lo vuole, di aggredire con larghissime vedute, impegni e risorse potenti, è la politica, non certo le multinazionali o soggetti definibili neo colonizzatori. Però con proposte chiare e concrete. Quali i soggetti della politica, delle istituzioni, possono pensare di mettere in agenda qualche proposta che superi le solite analisi o i libri delle buone intenzioni? L'ONU no, l'Europa no, purtroppo. Il nostro continente si sta dimostrando incapace di grandi idee; di questo passo l'Europa sarà vinta da quella parte del mondo che l'Europa oggi dimentica ma che un giorno o l'altro diverrà egemone. Plaudo a quel Bernardino Leon e alla sua fatica per dare un governo unitario alla Libia. Ci auguriamo che questa intesa duri. Ma perché sulla scia di questo avvio di successo non viene una proposta per sviluppare una economia libica in Libia? Lì ci sarebbero le condizioni di fertilizzare una parte del deserto, disponendo di tanta energia per dissalare l'acqua del mare e realizzare maxi oasi che diano vita e lavoro a centinaia di migliaia di persone che sceglierebbero di stare dove sono come tutti invochiamo. Ahimè, purtroppo l'Europa si limita a litigare su dove mettere i migranti, come se il problema si risolvesse così. Non sarà mai finita fin quando non daremo una speranza al nord Africa di vivere sulla loro terra.