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Vince l’astensionismo, perdono in tanti
 
di Alessandro Risso
 

Passata l'ondata dei commenti e confrontate le opinioni con alcuni amici Popolari, possiamo provare a mettere in fila le più importanti indicazioni emerse dal voto per i Presidenti e i Consigli regionali. Un'unica osservazione preliminare: nulla di ciò che è accaduto ci ha sorpresi perché, viste le premesse, le indicazioni e i risultati emersi dal voto erano tutti ampiamente prevedibili.

1. Il dato più inquietante è il galoppante astensionismo: nelle Regioni in cui si è votato, è aumentato dell’11%, con i votanti diminuiti dal 64 al 53% in 5 anni. Si tratta di un balzo clamoroso, che dovrebbe far sobbalzare e preoccupare ogni sincero democratico. Il disgusto verso la corruzione, gli sprechi di denaro pubblico, l’egoismo di caste e corporazioni, si somma alla sfiducia accumulata in questi anni di crisi e condita delle tante vacue promesse di una ripresa economica che ancora non si intravede. Inoltre l’astensionismo, che in misura fisiologica riguardava prevalentemente la quarta età e la popolazione più povera e meno scolarizzata, si è esteso prepotentemente al ceto medio e rappresenta ormai la più praticata forma di protesta contro il sistema dei partiti. Lo avevamo già visto nell'anticipo delle regionali 2014 in Emilia-Romagna, con la bassissima affluenza alle urne (37.7%), inferiore persino alle concomitanti elezioni in Calabria. C’è chi minimizza il fenomeno dell’astensione, ricordando le basse affluenze nei Paesi anglosassoni e quasi plaudendo a questo allineamento con quelle che definiscono “democrazie mature”: noi sentiamo puzza di marcio in questa presunta maturità, sia perché la malapolitica ne è una causa scatenante, sia perché l’indifferenza dei cittadini è il miglior brodo di coltura per affaristi e aspiranti “uomini forti”.

2. La perdita di votanti ha comportato, com’è ovvio, una perdita di voti per le varie liste concorrenti. Le analisi post-voto dell’Istituto Cattaneo ci dicono che solo la Lega ha aumentato il proprio consenso rispetto alle più recenti consultazioni elettorali, le Europee del 2014 e le Politiche del 2013, rispettivamente con 280mila e 400mila voti in più (si tratta di voti assoluti conteggiati nelle Regioni in cui si è votato il 31 maggio scorso). Le paure della gente trovano in Salvini una risposta.
Per tutti gli altri – destra, sinistra e gli “antisistema” – possiamo parlare di una vera emorragia di voti: sempre solo nelle Regioni in cui si è votato, Forza Italia e Movimento 5 Stelle ne hanno persi quasi due milioni rispetto alle Politiche, di cui 850mila circa solo nell'ultimo anno. I berlusconiani pagano la crisi di credibilità del proprio leader, incapace ormai di trattenere le varie cricche interne in lotta tra loro. I grillini pagano invece l’onda lunga del gran rifiuto ad assumersi qualsiasi responsabilità di governo dopo le Politiche: l’unica colpa che l’elettorato non perdona a coloro che innalza sino alla soglia della stanza dei bottoni.
Per il Partito Democratico invece si conta un milione di voti in meno rispetto al 2013 (le elezioni “non vinte” da Bersani) mentre il saldo negativo con le Europee è di 2 milioni e 143mila voti. Una cifra enorme, in un solo anno e in sole 7 Regioni.

3. Il risultato del PD di Renzi merita un approfondimento. I dirigenti del partito (Guerrini, Serracchiani e Orfini alla conferenza stampa post-voto, mentre Renzi è volato in Afghanistan) hanno proclamato la vittoria elettorale per aver mantenuto 5 Regioni su 7, ma le loro facce per prime non erano così convinte della bontà del risultato. Ricordiamo tutti l’enfasi con cui è stato esaltato fino alla noia il 40,8% ottenuto alle Europee (che nelle 7 Regioni al voto il 31 maggio era il 41,6 %) per non giudicare assordante il silenzio sul 25% circa ottenuto dal simbolo PD alle Regionali. Anche aggiungendo le liste collegate ai candidati presidente, un altro 5%, e facendo i dovuti distinguo tra elezioni differenti, vediamo che il partito è rientrato nei confini percentuali ottenuti da Veltroni e Bersani. Il percorso di trasformazione del PdR – Partito di Renzi – nel PdN – Partito della Nazione, perno della Terza Repubblica – ha subito una brusca stroncatura.
Si è poi visto che la candidate più “renziane”, Paita in Liguria e Moretti in Veneto, hanno ottenuto i peggiori risultati, anche per propri evidenti limiti, sottovalutati a priori. Va però evidenziato che la maggiore emorragia di voti il PD l’ha avuta nelle tradizionali “Regioni rosse” (Toscana, Umbria, Marche, che si aggiungono all'Emilia) dove pure ha vinto, ma ora diventate “rosa-pallido”, secondo la definizione data dal politologo di “Repubblica” Ilvo Diamanti. Le stesse regioni in cui l’astensionismo è stato più accentuato, al 13% circa, anche se non si sono raggiunte le punte clamorose toccate lo scorso anno in Emilia.

4. Nel Sud il PD si è affermato con due personalità locali. Emiliano ha vinto in Puglia per la sua credibilità, anche favorito dalla spaccatura nel centrodestra. In Campania ha vinto De Luca, diventato un caso politico nazionale: secondo la nota legge Severino – la stessa che ha costretto il condannato Berlusconi a lasciare il Senato – dovrà decadere da presidente a causa di una condanna per abuso d’ufficio passata in giudicato. Per questo si tratta di un candidato “non presentabile”, cioè “im-presentabile”, finito nella lista divulgata alla vigilia del voto dalla Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi. Non abbiamo sufficienti informazioni per esprimere un giudizio su De Luca, personaggio controverso in una realtà difficile, apprezzato e criticato in egual misura. Ma ci chiediamo perché sia stato candidato dal PD alla guida della Regione sapendo che per legge – giusta o sbagliata che sia – sarebbe decaduto. È penoso sentire ora parlare di cavilli giuridici per mettere una toppa, inaccettabile pensare a una modifica ad personam della legge…
Renzi, segretario del PD prima ancora che premier, si è mangiato una fetta di credibilità con questa scelta, che di fatto ha avallato perché De Luca è stato un suo grande procacciatore di voti alle primarie che lo hanno incoronato segretario (“Forte del sostegno di De Luca, soltanto a Salerno città Renzi ha incassato il 97,12% dei consensi”, scriveva “Il Mattino” del 18/11/2013).
È poi curioso che si sia letto da varie parti che De Luca non sarebbe un candidato “renziano”: per il Rottamatore è meglio cercare di prendere tardivamente le distanze da un “impresentabile? Quello che si capisce bene, per dirla in latino, è che – oltre alla pecunia – anche suffragium non olet…

5. C’era attesa per verificare in Liguria il risultato di Pastorino, il candidato civatiano concorrente del PD. Il fatto che abbia ottenuto poco meno del 10% non è stato né un flop (stimato intorno al 5%) né un exploit (valutabile al 15%). Ma il risultato ottenuto è bastato a determinare la sconfitta della Paita e la vittoria di Toti: nel PD ligure sono ai ferri corti, ma si è trattato solo del secondo tempo di una partita iniziata con le opache primarie che hanno indotto Cofferati ad andarsene dal partito sbattendo la porta.
Il dato politico rilevante della vicenda è un altro: oltre il PD esiste un ampio spazio politico, ma sinora un’impostazione marcatamente di sinistra – mettendo insieme SEL, Civati, Landini, un pezzo di CGIL – non pare in grado di fare breccia più di tanto nell'elettorato. Tanti a sinistra guardano a Tzipras e a Podemos, ma non hanno ancora compreso quello che può insegnare l’esperienza dell’Ulivo.


giuseppe cicoria - 2015-06-12
Sono veramente preoccupato per il fenomeno che al di là delle dichiarazioni di facciata esaudisce esattamente il progetto di quei politici che hanno come obiettivo l'eliminazione della democrazia universale. I cittadini, purtroppo, non se ne rendono conto e pensano di fare un danno ai partiti che ormai "odiano". Non si rendono conto, invece, che essi, con l'astensione, facilitano la presa del potere assoluto con un pugno di voti prevalentemente dati da personaggi direttamente o indirettamente coinvolti nella gestione del malaffare. Salvo qualche eccezione i mass-media sono tutti anch'essi coinvolti in questo malsano progetto. I partiti, quindi, non sentono alcuna necessità di migliorare la gestione della cosa pubblica perché ciò causerebbe il ritorno degli elettori alle urne: non conviene...! Nessuno lancia chiaramente questo allarme e noi ci prepariamo a toccare il fondo di questo abisso. Mala tempora currunt.