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Manca la fiducia per investire
 
di Alessandro Risso
 

“Non sono qui a rappresentare la CISL. Espongo appunti di viaggio di un ex sindacalista, oggi impegnato nel sociale e continuamente interpellato da coloro che il lavoro non lo hanno”. Così ha esordito Nanni Tosco, presidente dell’Ufficio Pio San Paolo dopo aver lasciato la responsabilità di segretario della CISL torinese, ospite con Enrica Valfrè della CGIL al seminario dei Popolari torinesi su COME CREARE LAVORO.
“Il problema vero la è consapevolezza di cosa stiamo attraversando. Rischiamo di non incidere sulla crisi se non la comprendiamo. Questo territorio ha vissuto crisi e cambiamenti ogni dieci anni circa (1970, 1980, 1992-93, 2000, 2009). Ma quello di oggi è un cambiamento d’epoca. Anno bruttissimo il 2009, dove anche le classi più agiate hanno patito una perdita di reddito, con una seconda forte ricaduta nel 2012”. Dalla sua lunga esperienza di sindacalista, Tosco afferma di non aver mai visto una crisi del genere: “Prima avveniva che entrava in crisi la manifattura, dopo i servizi; poi si riprendeva la manifattura e a ruota si riprendevano i servizi. Oggi non è così. Ci troviamo in un contesto epocale. Papa Francesco non ha torto quando parla di ‘terza guerra mondiale’, perché questa è una stagnazione lunga, paragonabile solo a quella del ’29”. Non possiamo sperare in una ennesima ripresa? “A chi vuole una politica industriale, chiedo quale politica industriale, in quali settori, che si sono mescolati. Oggi le condizioni di carattere esterno alle imprese sono favorevoli: l’euro si è svalutato, il petrolio costa poco, la BCE pompa liquidità a tasso zero nel sistema. E sono condizioni che possono durare ancora un po’ di tempo. Ma in un mercato aperto si creano sempre delle controindicazioni: ad esempio, la Russia introita meno vendendo energia e compra meno. E poi si avverte una preoccupante mancanza di governo del Mondo: più nessun G20, né riunioni del WTO”. È come se mancasse una regia capace di tenere in equilibrio il sistema, con una globalizzazione che ha reso l’economia mondiale simile a una giungla priva di regole, se non preda della legge del più forte. Ma una Nazione come l’Italia, può far qualcosa per creare lavoro? “Si possono dare risposte all’emergenza, ma chiedendosi se ciò che si crea durerà nel tempo. Anche la crescita che tutti auspichiamo potrebbe creare ulteriori disuguaglianze, perché i benefici della ripresa potrebbero riguardare solo una parte della società. Oggi serve creare lavoro, ripartire quello che c’è, e sostenere chi non ha reddito, come voi popolari avete già scritto. Vanno fatte queste tre cose perché bisogna salvaguardare la coesione sociale. Con ruoli diversi, perché creare è opera dell’impresa, ridistribuire è compito della politica, condividere e donare riguarda prima di tutto le persone”.
Quindi per creare lavoro servono sempre gli imprenditori. “Come si fa a creare ricchezza senza investimenti? Diciamolo chiaro, mancano gli investimenti privati. In Italia sono stati conteggiati 100 miliardi di euro non investiti, e di questi 50 sono stati spesi all’estero. Ora ci sono aziende che stanno riportando stabilimenti in Italia, perché hanno riscontrato problemi di qualità nella produzione e cominciano a pagare le migliori condizioni richieste dai lavoratori nei Paesi esteri. Occorre favorire questi ritorni: compito della politica e del sistema pubblico è creare le condizioni per gli investimenti”. Quindi il rispetto dei diritti dei lavoratori non sarebbe un peso insostenibile… “Adesso seguo proprio il welfare da vicino, e vedo che molte aziende medio grandi hanno creato pezzi di welfare parallelo. È quindi possibile coniugare produttività e welfare, in forme nuove. E senza andare dalle banche. Ma c’è un’altra condizione indispensabile per destinare investimenti alla creazione di lavoro, e riguarda l’intera classe dirigente: la fiducia. Per creare fiducia occorrono stabilità e rispetto delle regole. Lo Stato deve garantire questo, pretendendo in cambio dagli imprenditori impegni che devono essere rispettati. Ha ragione il Bodrato ricordato da Frigero, le ricchezze ci sono, i depositi bancari in questi anni sono aumentati, per fortuna. Ma sono soldi fermi, perché manca la fiducia, che è alla base degli investimenti. Il vero ‘voto di fiducia’ a cui dovrebbe aspirare un governo è la disponibilità a investire”.
Una parte della stagnazione dipende da questo. Ma un’altra parte dipende dal reddito insufficiente, in genere di chi non ha lavoro o ha un lavoro precario e sottopagato. “Certamente. Infatti una misura nazionale di contrasto alla povertà è una priorità. E deve essere universale, che non significa venga data a tutti, ma che sia aperta a tutti. Purtroppo la categoria dei poveri vale poco, elettoralmente parlando, e non riesce a fare lobby. I privati – Caritas, Ufficio Pio, Fondazioni, ONLUS, volontariato – dovrebbero solo integrare una politica nazionale di contrasto della povertà.
Ogni provvedimento preso oggi deve riuscire a prevedere quale impatto avrà sulle generazioni successive, in un contesto dove lo Stato deve riprendersi il ruolo di coordinamento esercitato male dalle Regioni. Queste ultime dovevano essere riviste e ridimensionate. Non abolire le Province…”

Le domande dei presenti hanno toccato e ampliato diversi temi: la carenza di imprenditori innovativi, la degenerazione della politica che riduce la fiducia ai minimi, la scomparsa del lavoro manuale sostituito dalle macchine, il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle imprese tedesche, la poca tutela del risparmio che genera diffidenza e non fiducia, la troppa attenzione alle grandi opere a scapito di investimenti più piccoli e mirati, le difficoltà del volontariato e del welfare nel dare risposta a bisogni crescenti, il problema di dare rappresentanza ai più deboli in una società dominata da caste e corporazioni in lotta per difendere privilegi. Su tutto questo riportiamo una scelta di battute dalla replica di chiusura dell’incontro.
“Non credo che i poveri possano avere una loro rappresentanza, perché devono diventare un tema centrale della politica del Paese. Quando si parla di reddito di cittadinanza, il primo modulo di inclusione sociale costerebbe come il presunto tesoretto, quel miliardo virgola 7 di cui si è parlato, ma nessuno pone la questione. La povertà sembra un problema confinato al Terzo settore. Poi il Terzo settore, va specificato meglio. Sarebbe come considerare il terziario un blocco unico.
Ci sono migliaia di associazioni che operano nel sociale. Come le piccole imprese, tantissime. Noi abbiamo spesso fatto polemica con le grandi aziende, con molte buone ragioni. Ma abbiamo pensato per decenni – sbagliando – che piccolo fosse bello. Ma le piccole aziende non hanno saputo mettersi insieme per fare rete e competere nel mercato globale. Per capirlo, in Italia ci abbiamo messo troppo tempo: i tedeschi sono andati in Cina 25 anni fa e ora vendono là 10 milioni di auto l’anno. Noi disperdiamo i fondi europei, non riusciamo a fare scelte necessarie. In Germania hanno fatto scelte forti e difficili, anche se poi prima Kohl e poi Schroeder hanno perso le elezioni.
Ma guardiamo alla Germania, dove stanno lavorando alla “fabbrica della conoscenza”. La BASF, un gigante dell’economia tedesca, insieme ad altre 123 imprese, ha preso contatti con scuole materne ed elementari per introdurre l’uso delle lingue straniere e degli strumenti informatici in tenera età, dato che studi recenti ritengono già decisivo per l’apprendimento il periodo da 1 a 3 anni. Paesi nella Vecchia Europa come noi si stanno muovendo, ma hanno una visione del futuro.
Noi navighiamo a vista, anche se non siamo i soli”.


Pozzan Sergio - 2015-05-11
Buona sera, mi chiamo Pozzan e sono un piccolo imprenditore con una piccola ditta che si trascina tra mancati pagamenti, quindi rincorsa dei crediti. Si fanno molte parole sulla ripresa, l'unica ripresa che ci può essere è quella dal far girare l'economia. Se non non si garantisce il credito le aziende chiudono, anche se sono in attivo (sulla carta) ma non possono far uso dei propri denari, perchè li hanno i clienti che non pagano. Quindi non si investe e l'economia non gira, la gente non investe, la FIAT è andata via e nessuno ha chiesto di restituire quanto preso in passato. A parole non si va avanti, ci vuole la garanzia del credito, cosa che i nostri politici non capiscono. Saluti.