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Classe dirigente al ribasso
 
di Giorgio Merlo
 

A ogni dibattito politico cui si partecipa fa capolino ormai con regolarità una considerazione di fondo: e cioè la classe dirigente del passato – intesa come quella della Prima Repubblica – era di maggior spessore e di maggior "qualità" rispetto a quella contemporanea. A prescindere dalla conclusione, forse un po’ ingloriosa della Prima Repubblica travolta da tangentopoli e dal finanziamento illegale alla politica e ai partiti.
Ma al di là della corruzione e del malaffare – purtroppo presenti oggi come ieri, se non di più proprio oggi – è indubbio che la classe dirigente del passato era mediamente superiore rispetto al "pappagallismo" e alla "sola propaganda" che caratterizza larga parte di quella contemporanea. Certo, un tempo esistevano i partiti politici e non solo i comitati elettorali; esistevano le scuole di
formazione e non si appaltava il tutto alle primarie, prevalentemente "farlocche" come verifichiamo ormai quotidianamente; i leader politici di corrente o di partito indicavano i quadri su cui si poteva puntare e su cui si doveva scommettere e il gregariato, la fedeltà al ribasso e l'adulazione al capo non erano i criteri essenziali e principali su cui si fondava la classe dirigente politica.
Andava tutto bene, dunque? Certamente no, come è evidente. Ma è indubbio che quando, oggi, hai l'opportunità di ascoltare una conferenza di Guido Bodrato, o di leggere una intervista di Emanuele Macaluso o di assistere a un intervento di Rino Formica o Claudio Martelli, e li confronti con qualche "pappagallo" dei vari talk televisivi, non hai manco la possibilità di tracciare un confronto. Sarebbe come, senza offesa per nessuno, assistere ad una partita tra Torino-Roma e poi paragonarla a una partita del Campionato di serie D.
Certo, parlando dei politici, è sempre dibattito. È sempre politica ed è sempre scontro tra idee e visioni della società. Ma ieri si ascoltava e si imparava – e capita ancora oggi, ascoltando i leader di ieri – mentre oggi ascolti vuoti slogan e poi ti addormenti o cambi canale...
Insomma, c'è un deficit di autorevolezza, di credibilità e di qualità dell'attuale classe dirigente politica rispetto a quella della tanto vituperata Prima Repubblica. Che, come tutti sappiamo, non è da ingigantire o, peggio ancora, da santificare. Per le note vicende a cui abbiamo assistito nella sua fase finale. Ma un dato è certo: quando la politica non è più progetto, elaborazione culturale, visione della società e programma di governo a lunga scadenza, il tutto si riduce a pragmatismo, gestione del potere per il potere, propaganda e, purtroppo, anche affarismo...
Ecco perché il capitolo della selezione e, soprattutto, della formazione della classe dirigente politica nel nostro Paese non può più essere rubricato a un problema di serie B. Attiene non solo alla qualità del personale politico nazionale ma alla capacità di saper affrontare i problemi sempre più complessi del Paese ridando credibilità e autorevolezza alla politica e alle stesse istituzioni democratiche. Sarà compito dei partiti, o dei comitati elettorali come ormai sono ridotti i soggetti politici organizzati nel nostro Paese, affrontare la "questione" della formazione e della selezione della classe dirigente politica. Tanto a livello nazionale quanto a livello locale. Per il bene della politica, dei partiti e, soprattutto, della stessa democrazia.