Stampa questo articolo
 
I diritti acquisiti non sono intoccabili
 
di Alessandro Risso
 

Dalla serata organizzata dai Popolari piemontesi a Torino con relatori il costituzionalista Andrea Giorgis e l’ex ministro Elsa Fornero è emersa una risposta netta al nostro interrogativo di fondo: i diritti acquisiti non sono un tabù e non sono intangibili. Ma andiamo per ordine.
La certezza del diritto è un cardine di ogni convivenza civile. I diritti devono quindi avere delle certezze per il cittadino. A questo principio occorre però aggiungere l’ovvia considerazione che ogni diritto comporta delle spese: “Il diritto alla sicurezza, ad esempio, richiede che una fetta di spesa pubblica vada per le forze di polizia, il sistema carcerario, la pubblica illuminazione, la videosorveglianza di spazi pubblici”, ha spiegato Giorgis. Dato che le risorse sono per definizione limitate, ogni diritto è quindi condizionato alla loro disponibilità. Se la coperta è corta, si garantiscono alcuni diritti e non altri, oppure si garantisce lo stesso diritto ad alcuni e non ad altri che avrebbero gli stessi requisiti per ottenerli. Questa disparità di trattamento è contraria alla Costituzione, perché i diritti non possono mai trasformarsi in privilegi di alcuni – tanti o pochi che siano – a danno di altri che ne vengono esclusi. Se avviene questa disparità di trattamento, anche i diritti acquisiti possono venire ridotti: “Potremmo dire che è in un certo senso ‘obbligatorio’ intervenire per garantire a tutti analoghe prestazioni, secondo gli inderogabili principi di eguaglianza sanciti nella Carta costituzionale”. Il riequilibrio dei diritti è quindi auspicabile e necessario, anche attraverso una loro riduzione che, “come ha ribadito la Consulta in successive sentenze, deve essere graduale, proporzionata e ragionevole. Sono tre ricorrenti aggettivi – che Giorgis ha scandito per fissarli nella memoria del pubblico – cui deve conformarsi ogni intervento economico”. Ma allora sarebbe possibile ridurre le “pensioni d’oro”? “Sì, certamente, con l’unico vincolo costituzionale di non compromettere una vita ‘libera e dignitosa’. Su questo concetto le interpretazioni possono essere diverse, ma comunque non c’è nessuna prestazione intangibile per principio”.
Sgombrato il campo dal macigno giuridico della presunta intoccabilità dei diritti acquisiti, per quale motivo la Corte Costituzionale ha bocciato il contributo di solidarietà sulle pensioni più elevate deciso dal governo Monti? “Non penso si sia trattato di un conflitto d’interessi – ha risposto sorridendo Elsa Fornero, che di quel provvedimento era tra i promotori – ma certamente la Corte ha posto l’attenzione su un aspetto formale discutibile (l’equiparazione della prestazione pensionistica al salario e del contributo di solidarietà a una imposta, ndr) vanificando lo spirito del provvedimento. Rimane l’esigenza di garantire una società inclusiva, attenta all’equità e al tema della redistribuzione. Un sistema pensionistico è un contratto tra generazioni, che deve essere sostenibile tra generazioni successive”. In Italia non era così. Una generazione si è garantita condizioni ottime, purtroppo non replicabili e sostenibili per i figli e i nipoti. “Il cambiamento demografico nel nostro Paese è stato dirompente, e non si sono considerati per tempo gli effetti di squilibrio che avrebbe provocato”. Si sono così create stridenti diseguaglianze tra individui e generazioni, con diritti stabiliti in passato sulla base di requisiti che non hanno più alcune sostenibilità contabile nel presente e nel futuro. Molti provvedimenti sono stati presi per compiacere questa o quella categoria, in modo da ottenere un tornaconto elettorale. Prassi ancora più deprecabile quando leggi di favore sono state fatte a vantaggio proprio (vitalizi di parlamentari e consiglieri regionali, ad esempio). Più che di “diritti acquisiti” in molti casi si dovrebbe parlare di “regali acquisiti”. “E sui regali si ridiscute – ha affermato perentoria Elsa Fornero –. Quando il regalo è piccolo, anche se riguarda milioni di persone, sarebbe sbagliato intervenire, non solo per ragioni di opportunità politica, ma perché si colpirebbero le fasce basse e medie della popolazione, che di quei soldi in più, anche non giustificati dai contributi versati, hanno bisogno per vivere con dignità. Ma i regali grandi richiedono tagli severi perché non sono più sostenibili né moralmente né finanziariamente”.
Nello stesso giorno l’ex ministro del Lavoro aveva scritto una lettera ai quotidiani torinesi per rispondere agli ex consiglieri della regione Piemonte che si oppongono al taglio dei propri vitalizi in nome proprio del diritto acquisito “in realtà una bandiera per difendere privilegi. Come può definirsi ‘diritto acquisito’ un vitalizio votato dalle stesse persone che ne beneficeranno e il cui costo ricadrà in buona misura su altri contribuenti, magari più poveri dei primi? Un vitalizio che raramente rispecchia i contributi versati e ancor meno l’aspettativa di vita al momento in cui il beneficiario inizia a usufruirne? Quando si trattò di fare la riforma delle pensioni per salvare il debito pubblico dall'insolvibilità ed evitare conseguenze catastrofiche, agli italiani furono chiesti rilevanti sacrifici e la riforma non mancò di produrre, oltre agli effetti positivi, anche situazioni di grave disagio. Dopo tre anni è tempo di guardare a questi pseudo diritti acquisiti tagliandone una buona fetta, magari per destinarla alle situazioni più problematiche generate dalla riforma e ancora non risolte. Sarebbe il modo migliore per proseguire sulla strada dell’equità tra le generazioni iniziata dalla riforma”.
Ma oltre a intervenire su questi ambiti ristretti, cosa si potrebbe fare in concreto sulla platea più vasta? I nostri relatori, richiesti di immedesimarsi in Matteo Renzi, hanno sostanzialmente condiviso alcune proposte avanzate nel recente passato dagli economisti Tito Boeri – da poche settimane al timone dell’INPS – e Tommaso Nannicini. Ma su queste vale la pena soffermarsi in un successivo articolo.


Antonella Luchino - 2015-04-08
Buongiorno, i diritti acquisiti non si toccano solamente agli "intoccabili". Sono entrata nel mondo del lavoro che la regola prevedeva l'andata in pensione dopo 35 anni di lavoro. Come mai piu' nessuno mette in evidenza che nemmeno l'ergastolo dura piu' di 40 anni? Anzi tra benefici di legge, leggine fatte ad hoc, eccetera, alla fine chi delinque esce dal carcere anni prima! E chi si e' sempre sforzato di lavorare e di comportarsi onestamende, secondo il senso civico, alla fine si ritrova (passatemi il termine) cornuto e mazziato. Oramai l'Italia e' diventata un paese dove solo chi si comporta disonestamente ha vita facile. Quanta amarezza.......... non datemi della populista.
giuseppe cicoria - 2015-04-03
Non si possono confondere i furti perpretati dai politici verso la collettività che hanno considerato il denaro pubblico come "cosa loro" e le pensioni maturate dopo decenni di lavoro a persone in età avanzata, rispettando leggi fatte da altri e su calcoli econometrici attendibili. L'unica eccezione sicuramente platealmente scorretta è quella che riguarda centinaia di migliaia di impiegati statali che sono andati in quescienza dopo 15 anni 6 mesi ed un giorno: erano quasi bambini altro che anziani! I fondi pensione categoriali avevano riserve matematiche corrette ma sono state costrette ad essere inglobate nel mare magnum dell'INPS dove i conti erano saltati. Se il livellamento doveva avvenire, ciò doveva interessare gradualmente solo le nuove pensioni in maturazione e non quelle già liquidate, come sembra voler fare il sig Boeri. Chi sta giocando la partita della vita ha tempo per prendere provvedimenti ma quelli che la partita l'hanno già giocata non debbono essere toccati. Se viene fatto penso che il provvedimento sia illegale ed incostituzionale checchè ne dicano la Fornero e Giorgis. Trattasi, infatti un prelievo fiscale patrimoniale che deve riguardare in pari misura tutti i cittadini percettori di reddito di stesso livello.