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PD: correnti insostituibili
 
di Giorgio Merlo
 

Correnti, per il PD sono come il pane. Come tutti sanno.
Non ho mai creduto ad un partito – democratico al suo interno e plurale nella sua composizione – senza correnti. Non lo era il più grande partito della Prima Repubblica, la DC. E non lo è, come è evidente a tutti, il più grande partito contemporaneo, il PD. Sempreché, come dicevo, si voglia costruire e consolidare un partito né personale, né proprietario e né appaltato a qualche guru o santone indiscusso e indiscutibile. Sempre fin che dura.
Ora, per fermarsi al PD, tutti sanno che è un partito rigorosamente e quasi strutturalmente organizzato per correnti. E fin qui nulla di strano. Lo era con Veltroni, lo era con Franceschini, lo era con Bersani e lo è con Renzi. Con leader diversi, profondamente diversi, il profilo di un partito rigorosamente organizzato per correnti è rimasto intatto. Soprattutto a livello locale dove la frammentazione correntizia, o per bande a volte, è persin eccessiva. Ma ciò vuol dir che un partito "plurale", anche quando è dominato da una forte leadership nazionale, non può fare a meno di
una struttura fortemente correntizzata. Certo, per uno come me che è arrivato alla DC in quanto esponente di corrente – la sinistra sociale di Carlo Donat-Cattin – questa struttura del PD è come un invito a nozze. Ma, al di là delle vicende personali, quello che continua a stupire è che molti nel partito – anche autorevoli e di primo piano – sostengono che il PD è un partito privo di correnti, senza distinzioni organizzative e addirittura senza articolazioni significative al proprio interno.
Tutti sanno che i vari dirigenti parlano a nome e per conto del proprio capocorrente o della propria corrente e tutti sanno, al contempo, che il partito – dal Trentino alla Sicilia – è fisiologicamente organizzato per correnti, sottocorrenti e gruppi e gruppuscoli più o meno decifrati e più o meno decifrabili.
La domanda, quindi, è molto semplice: ma perché negare l'evidenza? Anzi, ma perché non ammettere che la vita democratica all'interno di un partito si basa prevalentemente, se non esclusivamente, sul pluralismo delle varie opzioni politiche e culturali? Certo, la distinzione – nel passato come nel presente – è sempre la stessa: e cioè, si tratta di correnti che producono politica, alimentano cultura politica, rappresentative di interessi sociali o sono solo, come purtroppo capita sempre più spesso, agglomerati di tessere e di difesa di ruoli di potere personale e istituzionale? Perché se il tutto si riduce allo scontro tra pacchi di tessere – che puntualmente crescono alla vigilia di ogni stagione congressuale per poi attenuarsi puntualmente quando i congressi si allontanano – allora ha ragione da vendere Renzi nel denunciarne la nascita. Se, invece, cercano di rispondere ad una domanda politica – come le due correnti che fanno capo al segretario nazionale e Premier che sono nate in questa ultima settimana – credo sia un'operazione del tutto legittima.
Insomma, delle due l'una. O si vuole consolidare un partito democratico, plurale e fortemente dialettico al suo interno – seppur guidato da un leader forte, riconosciuto e dinamico – e allora le correnti sono quasi un fatto fisiologico e necessario. Oppure prende corpo un partito personale, dal pensiero unico e che dipende unicamente dalla "voce" del capo. Francamente non vedo, almeno per ora, il PD che si riconosce nel secondo modello.
Per questo le correnti organizzate – senza chiamarle ipocritamente, come si sente qua e là, aree, tendenze, profili, forum, focus, strumenti, luoghi e baggianate simili – nel PD hanno, e avranno, ancora un ruolo centrale e insostituibile.