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Meno democrazia? Pare di sì
 
Riuscito dibattito con Bodrato, Tonini e Zagrebelsky
 

Abbiamo fatto centro invitando a dibattere sul tema “Meno democrazia?” due riconosciuti “saggi” del mondo politico e culturale torinese come Guido Bodrato e Gustavo Zagrebelsky, insieme all’autorevole senatore PD Giorgio Tonini, convinto sostenitore di Renzi e delle sue riforme. Assente l’altro relatore del PD, il senatore bersaniano Miguel Gotor, colpito da influenza alla vigilia. Un’assenza che ha tolto qualcosa al confronto di attualità tra le due principali anime del partito di governo, ma non penalizzato il tema del dibattito, profondo e avvincente per gli oltre cento convenuti nel Salone delle Pace al SERMIG di Borgo Dora sabato mattina. Persone con riferimenti culturali diversi, ma accomunate dal condividere fondate preoccupazioni per il futuro della nostra democrazia.
Dopo il saluto di Francesco Pallante, referente torinese di Libertà e Giustizia, e l’introduzione al tema di Alessandro Risso, presidente dei Popolari piemontesi, i tre relatori hanno proposto per due ore e mezza considerazioni, affondi e repliche, con Bodrato e Zagrebelsky nel ruolo di attaccanti e Tonini impegnato a rintuzzare le critiche e spiegare la necessità delle riforme istituzionali ed elettorale.

Di seguito alcuni spunti colti negli interventi di Bodrato:
“La democrazia non è per sempre”.
“Non esiste una legge elettorale neutrale. Specie negli ultimi anni le proposte di cambiamento sono state ispirate solo da convenienze di parte”.
“Per Tonini la strategia del PD è riassumibile con ‘primarie e leader’: ci andrei cauto”. “Chiediamoci sempre dove si decidono le candidature. Il nodo è che occorrono sempre partiti democratici al loro interno”.
“Si ricorda continuamente il 40,8% ottenuto dal PD alle ultime elezioni europee. I voti assoluti sono però diminuiti. Se le percentuali elettorali si alzano grazie all’astensionismo, la democrazia è malata”.
“Non si può riformare la Costituzione allo stesso modo con cui si discute un decreto legge: tempi e modalità devono essere diversi o non si arriverà ad alcuna conclusione. Bisogna discutere di più, non troncare il dibattito. Ed è improprio dire ‘ci troveremo quando ci sarà il referendum confermativo’, questo rischia di allontanare ulteriormente le posizioni. Bisogna cercare il confronto”.

In parte sovrapponibili, in parte complementari le considerazioni di Zagrebelsky. Eccone alcune:
“Sono 40 anni che si parla di riforme costituzionali. Chiediamoci in che direzione vanno quelle che sono in cantiere: in quella di aprire spazi alla politica e alla democrazia o piuttosto di favorire il potere esecutivo? Viviamo in un’epoca ‘esecutiva’, e la riforma proposta non va nella direzione di valorizzare il Parlamento, ma in quella di ridurne il ruolo, per deprimerlo ulteriormente”.
“Si parla tanto del referendum confermativo come di una garanzia democratica. Stiamo però attenti: se è richiesto dal Governo sarà un plebiscito e sarà un voto di schiacciamento da una parte o dall'altra. Si sta giocando una partita che può essere terribile”.
“Il presidenzialismo sarebbe funzionale ai poteri oligarchici, e negli aspetti sostanziali la riforma proposta dal governo lo sta introducendo”.
“Chiediamoci se sono più importanti le regole costituzionali o la qualità di chi le fa funzionare: perché una cattiva Costituzione nelle mani della buona politica produce comunque risultati accettabili, mentre la migliore Costituzione nelle mani di cattivi politici produce risultati cattivi".
“Si pensa a una legge elettorale con premio di maggioranza oltre la soglia del 40%, con un secondo turno se questa non venisse raggiunta: ma ce lo immaginiamo un ballottaggio Grillo-Salvini? Oggi questa riforma è discussa nella prospettiva di uno scenario diverso. Ma gli scenari non li governano le Costituzioni”.

Tonini ha difeso le riforme in corso soprattutto giustificandole per la loro necessità di arrivare finalmente a un traguardo che non può essere sempre allontanato.
“La nuova legge elettorale permetterà subito di sapere chi ha vinto, e chi avrà vinto potrà governare da solo e senza condizionamenti. Permetterà di non fare più governi di larghe intese. Si è cercato un accordo con Berlusconi per non dover più fare in futuro governi con Berlusconi. È un sistema elettorale misto, certamente con dei difetti. Ma non esiste il sistema perfetto.”
Sulle riforme costituzionali ha premesso una considerazione ricavata da una citazione di Aldo Moro: “La democrazia non è facile. È difficile”. E in democrazia “non c’è niente di peggio di una politica che non è in grado di decidere. Ricordo un pensiero di Giuseppe Dossetti: se ci sono alti principi ma istituzioni deboli, non si riesce a governare”.
“Non è più sostenibile il bicameralismo perfetto e da qui la necessità di cambiare la natura del Senato. Poi è innegabile che sia in atto un processo di ricentralizzazione delle funzioni di governo”.
Su questo punto sarebbe stato necessario addentrarsi nei giudizi sulla legge Delrio, uno degli argomenti toccati dalle numerose domande del pubblico – gestite dal moderatore Cesare Martinetti de "La Stampa" – che non hanno potuto essere sviluppate per mancanza di tempo. Pensiamo di darne conto in un prossimo articolo. E certamente su questo sito terremo alta l’attenzione sulla evoluzione/involuzione della nostra democrazia
In calce all’articolo trovate i collegamenti per gli articoli usciti a commento del convegno sulle edizioni on-line di "Repubblica", "La Stampa" e "Il Fatto Quotidiano".

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